Docente brasiliana dà lezioni all’Italia: «Così abbattiamo la disoccupazione»

Yone Frediani, docente dell'università Unifieo di San Paolo, spiega perché il Brasile, nonostante la recessione, ha un tasso di disoccupazione più basso di quello italiano: «Lo Stato ha facilitato la crescita con una politica di detassazione, così che la popolazione di basso reddito ha potuto acquisire beni che prima non poteva permettersi»

In Brasile il tasso di disoccupazione si è stabilizzato nel 2010 intorno al 6%. In Italia, dato Istat dell’1 aprile, siamo all’8,7%. Yone Frediani, docente dell’Università Unifieo di San Paolo e della Fondazione Armando Alvares Penteado, racconta a Tempi la ricetta brasiliana per superare la recessione. Giunta in Italia in occasione del Convegno Internazionale in memoria di Marco Biagi («E’ conosciuto in tutto il mondo, anche in America, per tutto ciò che ha fatto nel diritto del lavoro»), Yone Frediani, intervenuta a proposito della flexicurity nella legislazione lavoristica brasiliana, parla anche della situazione del lavoro nel paese sudamericano.

Prof.sa Frediani, cosa ha fatto il governo brasiliano per contrastare la recessione, favorire la crescita economica e abbattere la disoccupazione?

Lo Stato ha facilitato la crescita con una politica di detassazione, così che la popolazione di basso reddito ha potuto acquisire beni che prima non poteva permettersi. C’è stato per questo un importante sviluppo, il tasso di disoccupazione nel 2010 è sceso al 6%. Il Brasile, uscito molto velocemente dalla crisi, ha avuto una crescita anche in termini di immagine e di appeal per gli investitori. Si tratta comunque di un paese lontano anni luce dall’Europa e dal trattato di Lisbona.

In che senso?
Le leggi sono simili a quelle di uno Stato autoritario, l’interferenza del governo è continua. Però c’è molta flessibilità per le imprese, che dal punto di vista delle relazioni industriali sono fortissime: possono licenziare come e quando vogliono, c’è poco controllo del sindacato. Ma più che altro è la legge che è debole.

A proposito delle leggi che regolano il mercato del lavoro, qual è la situazione in Brasile?
Le regole devono andare d’accordo con i cambiamenti del mercato. Prima il diritto del lavoro dava molta protezione al lavoratore, oggi bisogna capire che tipo di tutele possano esistere in un’economia diversa. In Brasile c’è una forte interferenza dello Stato, sia nel diritto individuale che in quello collettivo. Il sindacato pensa solo a mantenere i posti di lavoro e non a migliorare e favorire la produttività, per esempio attraverso una migliore organizzazione del lavoro e la possibile riduzione degli orari per salvare i posti di lavoro in tempo di recessione. Bisogna conservare gli imprenditori, perché se falliscono loro si perdono anche i posti di lavoro e fallisce l’economia intera. Nel mercato del lavoro ci sono tre cose che non si possono dividere: l’imprenditore, lo Stato e i dipendenti. Ognuno dipende dall’altro. Se non c’è unione in questi tre settori, non andiamo da nessuna parte. Lo Stato dovrà fare qualche rinuncia per favorire l’impresa, che deve fare di tutto per sviluppare il lavoro e non licenziare.

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