Di Vico (Corriere): «Crescita: puntiamo sull’export, ci mancano le Ikea italiane» – Rassegna stampa/2

Dario Di Vico spiega a Tempi la possibile ricetta per la crescita: «Tremonti dice che cresciamo all'1,1%, Draghi che abbiamo bisogno del 2%. Hanno ragione entrambi sulle stime ma ora bisogna coniugare rigore e crescita. Per me dobbiamo puntare tutto sull'export creando delle Ikea italiane all'estero»

Dario Di Vico (Corriere della Sera) commenta per Tempi la situazione economica italiana e quale può essere il volano per la crescita: «Tremonti e Draghi hanno ragione entrambi sulle stime, ora però devono dirci come coniugare rigore e crescita. Lancio una proposta: puntare a manetta sull’export e usare i grandi marchi come centri di distribuzione del made in Italy. All’estero adesso ci mancano le Ikea».

Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha rivisto al ribasso le stime di crescita per l’Italia: 1,1% nel 2011. E’ un risultato deludente?

Per Tremonti il nostro 1,1% vale molto di più paragonato agli altri paesi, che hanno un trend più elevato ma che possono spendere. Noi infatti non possiamo permetterci di crescere incentivando la spesa pubblica. Il risultato dunque non è da buttare via.

Allo stesso tempo il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, ha detto che abbiamo bisogno di raggiungere il 2%. Ha esagerato?
Per nulla. Anche il ministro Renato Brunetta, per citare un esponente del governo, ha fissato lo stesso obiettivo. Il 2% di crescita è il livello giusto per ridurre il debito e se non si può far leva sulla spesa pubblica bisogna trovare qualche altro modo. Tremonti e Draghi hanno ragione entrambi ma nessuno ci dà una risposta. Mentre Tremonti si merita un 8 in pagella per il rigore e il contenimento del debito pubblico, è insufficiente sull’altro versante. Come facciamo a coniugare rigore e crescita? A questa domanda, del resto, non risponde neanche Draghi ma è il vero problema.

Qualche ipotesi? Perché, come scrive Repubblica, se non raggiungiamo questi livelli ci troveremo a dover tagliare 35 miliardi di euro l’anno per rientrare nelle direttive europee.

Secondo me ci vuole un piano nazionale, dobbiamo puntare a manetta sull’export. I mercati decisivi dei prossimi anni saranno in Asia e Sud America e noi dobbiamo usare i grandi brand come portaerei, quelli che non hanno bisogno di enti statali di promozione. Per essere veramente competitivi all’estero ci mancano i binari, non abbiamo delle buone Ikea  che piazzino in tutto il mondo i migliori prodotti dell’industria italiana. Quando all’estero oltre ai negozi monomarca dei nostri stilisti avremo all’opera nuove trading company (perché non usare in modo creativo brand come La Rinascente, Parmalat, Barilla?) a quel punto avremo creato quei binari necessari per far arrivare i nostri prodotti negli scaffali giusti e nei tempi dati. Avremo creato le condizioni per una nuova specializzazione del made in Italy.

E la politica?

Seguirà, che altro può fare?

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