Di Pietro e Beppe Grillo? Un matrimonio impossibile

Intervista ad Alberico Giostra, autore de Il Tribuno: «Di Pietro è individualista, non può fare il numero due. E la sua classe politica è incompatibile con il M5S»

Aria di bufera in casa Italia dei Valori: tra una puntata di Report sui conti del partito, un’intervista al Fatto Quotidiano in cui Antonio di Pietro si è scagliato contro «un sistema politico e finanziario che non ha più bisogno di noi», non è mancato lo scambio di cortesia con Beppe Grillo. «Faremo le primarie in rete, con un sistema elettronico come quello che usa Grillo, perché dovete sapere che lo ammiro e lo copio» ha detto il leader dell’Idv. Mentre l’ex comico sul suo blog ha elogiato «l’unico in Parlamento che si è opposto in tutti questi anni al berlusconismo», caldeggiandolo, provocatoriamente o meno, come uomo giusto per il Quirinale. Un’ipotesi, quella di un ticket Grillo-Di Pietro, che non è piaciuta al Pd e nemmeno a molti dipietristi. Il più furente è stato Massimo Donadi, capogruppo Idv alla Camera, secondo il quale un’alleanza del genere sarebbe «come il Messico di Pancho Villa e Zapata». A che pro, allora, questo avvicinamento reciproco? Lo abbiamo chiesto ad Alberico Giostra, autore de Il Tribuno (Castelvecchi editore) in cui già nel 2009 tratteggiava un ritratto umano e politico del leader Idv, fra vizi e virtù.

Che idea si è fatto dell’endorsement a favore di Di Pietro al Quirinale? Una mano tesa o un abbraccio mortale per cannibalizzare i voti dell’Idv?
Mi sembra una mossa di pietà nei confronti di una persona a cui ha sempre voluto bene. Una pacca sulla spalle mediatica. Non dimentichiamo che la Casaleggio gestisce il blog di Grillo, e anche quello di Di Pietro. Pubblica i dvd di Marco Travaglio, che spinge per un matrimonio fra i due. Ma è un matrimonio impossibile. Di Pietro si ritroverebbe con dieci deputati circondati da decine di giovani, eletti col Movimento Cinque Stelle, politicamente vergini, potenzialmente esplosivi.

Un accordo Di Pietro-Grillo funzionerebbe, al di là dei numeri?
Di Pietro è allergico alle alleanze. E qualunque forma di disciplina, di strategia di gruppo, la fa saltare in aria. Perché è individualista, un po’ anarcoide, non può reggere nel ruolo di alter-ego. Non avrebbe futuro. D’altra parte si ritrova con un partito ridotto ai minimi termini, che è tornato ai numeri del 2008, quando senza Veltroni non sarebbe neanche entrato in Parlamento.

Antonio Di Pietro ha detto che «l’Italia dei Valori è morta con Report». Se lo aspettava?
Mi ha molto colpito il fatto che abbia fatto passare la trasmissione come una sorta di complotto contro di lui. Ma quale sistema? È semplicemente ridicolo pensarlo, e lui non solo l’ha pensato, l’ha detto. È sorprendente anche che un’inchiesta ben fatta, ma in cui non si diceva nulla di nuovo, abbia suscitato tutto questo clamore. È l’Hiroshima di Di Pietro. Ed era inevitabile: quando ci sono delle contraddizioni laceranti, prima o poi esplodono. O per via di un fuori-onda, come è accaduto a Grillo, o per via di una serie di proprietà immobiliari.

Massimo Donadi sembra avere già un piede fuori dal partito: ha annunciato un’assemblea di auto-convocati, in cui chi rappresenterà la minoranza se ne andrà. C’è aria di scissione?
Certamente sì. Questa resurrezione interna, di una classe dirigente nascosta dalla figura del suo leader, è iniziata con l’uscita di scena di Berlusconi. L’anti-berlusconismo è stato il collante di un universo composito, un motivo per serrare le fila. Senza, il partito fatica a trovare la sua ragion d’essere. E se il Pd ha saputo diversificare la sua azione politica, senza seguire i dettami di Marco Travaglio, l’Italia dei Valori è stata incenerita.

C’è anche chi vede nell’alleanza con Grillo lo sbocco naturale della politica di questi anni, come Fabio Evangelisti, vice-presidente vicario del partito alla Camera. Quali sono i dipietristi convinti, chi sta con Donadi, chi sono gli incerti?
Il grosso della classe dirigente, e anche dell’esecutivo nazionale, è composto da persone incompatibili con Grillo, sia per motivi politici che anagrafici. Basta guardarli in faccia, sono tutti reduci dalla Prima Repubblica: le famose “facce nuove” di Di Pietro non ci sono mai state.

@SirianniChiara

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