Dov’è la montagna di prove schiaccianti? Del Turco: «Non c’è, ma il pm ha chiesto 12 anni»

Delle presunte tangenti di “sanitopoli” non si è trovato un euro. Contro di lui i pm hanno in mano solo qualche foto sfuocata. Parla Ottaviano Del Turco

Il 17 giugno 2013 è il trentennale dell’arresto di Enzo Tortora. Questo è il primo ricordo di Ottaviano Del Turco, l’ex presidente della Regione Abruzzo, nella sua conversazione con Tempi: «Ci incontrammo a un congresso del Psi e nacque subito una bella simpatia. All’epoca era già stato assolto. Ricordo che entrò e si sedette vicino a me in tribuna, fece un sorriso e cominciò a parlarmi come se ci conoscessimo da sempre». Del Turco sospende per un istante le parole. Poi riprende: «Io non ho voluto che si parlasse della mia malattia, e ho evitato in ogni modo che si desse pubblicità alla cosa. Ho temuto che si stabilisse una sorta di equivalenza tra la vicenda di Tortora e la mia. Conosco la regola secondo la quale se una cosa si manifesta due volte allo stesso modo, e la prima è stata un dramma, la seconda rischia di essere una farsa. Il silenzio è stata la mia forma di autodifesa».

Del Turco è accusato di aver incassato presunte tangenti (5,8 milioni di euro) da un imprenditore della sanità privata abruzzese, Vincenzo Angelini. I capi di imputazione sono un terribile elenco, per un uomo che ha sempre cercato, nel suo lungo percorso politico, di agire con un profondo rispetto per le istituzioni. Associazione a delinquere (con Del Turco è imputata metà della sua giunta e mezza opposizione), concussione, falso, abuso e truffa: per questi reati i pubblici ministeri di Pescara, Giampiero Di Florio e Giuseppe Belelli, lo scorso 13 giugno hanno chiesto per Del Turco 12 anni di reclusione senza attenuanti.

L’ex governatore è stato arrestato il 15 luglio 2008. Dopo 28 giorni di custodia cautelare in carcere, sono seguiti 5 mesi tra domiciliari e soggiorno obbligato, e un processo il cui primo grado si concluderà il prossimo 18 luglio, dopo quattro anni. Al momento dell’arresto, il procuratore capo di Pescara, Nicola Trifuoggi, parlò di una «montagna di prove schiaccianti» contro Del Turco. La montagna però sembra aver partorito solo tanti piccoli topolini, o proprio nulla. La “prova regina” su cui si è costruito il processo, ovvero le foto consegnate ai pm da Angelini nel 2006 e che avrebbero dovuto dimostrare la consegna delle tangenti, è un esempio evidente che di prove schiaccianti in questo processo proprio non ce ne sono. L’altro esempio sono le stesse mazzette di cui ad oggi non si è trovata alcuna traccia, dopo indagini patrimoniali, bancarie e rogatorie all’estero.

La consegna della mazzetta
Quando nel 2007 iniziò a collaborare con la procura di Pescara, Vincenzo Angelini consegnò alcune fotografie realizzate con una macchina digitale dal suo autista e che ritraggono l’imprenditore nel momento in cui avrebbe consegnato alcune delle presunte tangenti all’allora governatore nella sua abitazione a Collelongo. Si trattava di alcuni scatti – a detta di Angelini – realizzati subito prima e dopo un incontro con Del Turco, il 2 novembre 2007, che mostravano le mazzette di banconote consegnate in un sacchetto blu, e alcune mele verdi che sarebbero state regalate ad Angelini in cambio delle tangenti. Sono le uniche foto “distinguibili”, ma sono state realizzate nella clinica di Angelini, e quindi non provano nulla, perché potrebbero essere state fatte da chiunque e in qualunque occasione. Le altre foto per l’accusa dovrebbero provare lo scambio, o quantomeno Angelini e Del Turco insieme al sacchetto. In realtà sono immagini tanto sfocate da rendere impossibile distinguere un essere umano da un semplice muro o da un lampione. Eppure su queste foto si è concentrato gran parte del processo. Gli scatti sono stati sottoposti a tre perizie (una dell’accusa, una della difesa e una super partes del tribunale) per accertarne la datazione. Sono state effettuate perizie fisiognomiche per risalire all’altezza delle persone raffigurate nelle foto e capire se si possa trattare di Angelini e Del Turco. Malgrado questo dispendio di energie e denaro, resta un dato oggettivo: «In queste foto non si vede nulla, solo ombre», ha dichiarato in aula il presidente del tribunale, Carmelo De Santis. Tuttavia il pm Di Florio, nella sua requisitoria, ha rilanciato la loro totale attendibilità, come prova delle tangenti. «È Angelini quello che nella foto entra in casa di Del Turco».

Lo stesso Del Turco non ha mai negato che Angelini andasse a trovarlo a Collelongo, ma ha sempre escluso di aver ricevuto tangenti e che un incontro potesse essere avvenuto il 2 novembre 2007, data presunta delle foto. Una posizione che è stata confermata anche da un’altra perizia, stavolta sui Telepass delle auto di Del Turco e di Angelini. Su 63 viaggi che l’imprenditore afferma di aver fatto per consegnare tangenti, in sole tre occasioni si sarebbe potuto incontrare con Del Turco, e all’appello manca la data del 2 novembre 2007. Così Del Turco ricorda a Tempi ciò che ha dichiarato anche in aula: «Angelini è venuto a casa mia a Collelongo credo per quattro volte, fissando un appuntamento e ogni volta precisando la ragione. L’ossessione di Angelini era la paura di un suo arresto (all’epoca l’imprenditore era già indagato dalla Finanza per gli affari sospetti delle sue cliniche, ndr), e in due degli incontri mi chiese se, dato che ero stato ministro, potessi “ammorbidire” la finanza. Ovviamente non feci nulla. Il 2 novembre 2007 è certo che non c’è stato alcun incontro con Angelini. Non c’è mai stata nessuna busta di denaro portata a Collelongo, e non ho mai sentito il bisogno di ripagare Angelini con una busta di frutta».

Del Turco prosegue, spiegando le ragioni per cui Angelini poteva nutrire un qualche rancore nei suoi confronti: «Durante l’amministrazione della Regione che ha preceduto la mia, Angelini era definito “il vitello grasso” della sanità abruzzese. La sua era la clinica che aveva realizzato il più alto numero di ricoveri impropri. Il 15 luglio 2008, il giorno dopo il mio arresto, avremmo dovuto firmare una delibera di giunta che avrebbe stroncato quel modello di sanità, decidendo di fissare un numero di posti letto e nuove tariffe per i ricoveri e le terapie che mettevano in discussione un sistema fatto solo di illeciti. A questo proposito ricordo che nella conferenza stampa dopo il mio arresto, il procuratore Trifuoggi spiegando la fretta con cui venivano eseguiti gli arresti, tra le motivazioni mise anche il fatto che “stavano per essere assunte decisioni che avrebbero portato alla rovina la sanità abruzzese”. Nessuno dei giornalisti presenti chiese quali, ma tutti oggi sanno che quelle decisioni erano controlli severi su ogni posto letto delle cliniche e riduzioni dei costi delle terapie e degli interventi».

Indagini patrimoniali a vuoto
Una delle regole auree delle investigazioni è seguire la traccia lasciata dal denaro e così scoprire l’eventuale reato. Nel caso Del Turco proprio a seguire i flussi di denaro succede il contrario. Sono state eseguite indagini sui conti e sui movimenti bancari di Del Turco, della moglie, del figlio, dei due fratelli, di un amico di infanzia, persino del sindaco di Collelongo. Sebbene il processo indaghi su presunte tangenti consegnate tra il marzo 2006 e il 2008, gli investigatori sono risaliti anche a movimenti bancari del 2001-2002. Sono stati minuziosamente ricostruiti, un bonifico dietro l’altro, un assegno dopo l’altro, i movimenti con cui Del Turco ha acquistato una casa a Roma, un monolocale in campagna a Tresnuraghes (Or), e con cui ha contribuito all’acquisto della casa romana del figlio. L’esito di questa scansione minuziosa è cristallizzato nell’ammissione fatta in aula lo scorso 26 ottobre dal colonnello Maurizio Favia, già comandante provinciale della guardia di finanza di Pescara e responsabile di queste indagini per conto della procura: «Non abbiamo riscontrato movimenti o versamenti, anche di un solo euro, che non fossero tracciabili. Cioè non c’è un euro frutto di contanti non giustificati, o di operazioni che non fossero preesistenti». Ci si potrebbe chiedere allora su quali basi si sia arrivati all’arresto preventivo nel 2008: la domanda rimane aperta. Favia in aula ha ostinatamente ribadito che nelle date in cui Angelini dichiara di aver versato tangenti, in due casi (a marzo e ottobre 2006) Del Turco ha poi fatto acquisti immobiliari. Ma lo stesso Favia ha spiegato che per fare questi acquisti Del Turco aveva sbloccato una polizza per la vita e alcuni titoli finanziari che da tempo aveva regolarmente in banca. Per qualche giorno, l’ex governatore abruzzese è addirittura andato in rosso. Però il processo è andato avanti lo stesso e l’attendibilità di Angelini non è stata discussa. «Tutti gli acquisti che ho fatto – ha dichiarato Del Turco – li ho fatti con la mia disponibilità bancaria. È questa la vera storia che sta dietro alle menzogne di cui sono stato accusato».

Il 17 giugno 2013 è casualmente il giorno in cui arriva la notizia di un’asta giudiziaria: 500 opere d’arte tra dipinti, sculture, mobili e argenterie di Vincenzo Angelini, il grande accusatore di Del Turco, vengono battute per ripianare, almeno in parte, la mega bancarotta fraudolenta che l’imprenditore ha causato al suo gruppo. Dopo essersi trasformato in testimone chiave dell’accusa nel processo “sanitopoli” a Pescara, Angelini è finito sotto processo a L’Aquila e a Chieti, dove i tribunali hanno disposto la curatela fallimentare per i suoi beni e confiscato i tesori privati dell’imprenditore. Questa di Angelini è definita «la più prestigiosa asta giudiziaria di beni artistici mai lanciata in Italia». Ci sono quadri di Tiziano (uno da 950 mila euro), Rembrandt, Renato Guttuso, un pezzo del Bernini, un sarcofago romano che da solo è valutato 800 mila euro. Viene da domandarsi come e se la procura di Pescara che accusa Del Turco, non trovando riscontri alle tangenti, abbia investigato su questi beni di lusso. Di sicuro ha indagato la procura teatina, e in aula al processo Del Turco sono sfilati i consulenti dei pm di Chieti: il commercialista Sergio Cosentino, il coadiutore fallimentare Giuseppe Labonia e la curatrice di Villa Pini (la principale clinica di Angelini), Giuseppina Ivone. Dalle loro testimonianze, documentate da centinaia di riscontri bancari, emerge un ritratto di Angelini molto controverso. Cosentino, per esempio, ha documentato in aula che 15 giorni dopo l’arresto di Del Turco, Angelini misteriosamente depositò in banca 3 milioni di euro provenienti dalle casse di Villa Pini: erano soldi che, senza alcun motivo, l’imprenditore aveva prelevato (spesso in date coincidenti a quelle delle presunte tangenti, quasi a volerle provare, ndr) e mai usato nei mesi precedenti. Cosentino ha poi affrontato il capitolo delle spese compulsive di Angelini, ricostruendone alcune. Ad esempio quella da un milione di euro fatta con denaro di cui i finanzieri non hanno capito la provenienza.

Ivone ha illustrato i meccanismi con cui Angelini costantemente distraeva fondi dal suo gruppo (solo da Villa Pini 113 milioni di euro): «Ci sono importi di un certo livello che non venivano usati dall’imprenditore per la gestione dell’attività sanitaria ma per acquisti in gioielleria, in tabacchi, in abbigliamento. Acquisti documentati da fatture regolari che consegniamo adesso a questo tribunale». Nella requisitoria durata due giorni, i pm del processo Del Turco non hanno ribattuto in alcun modo a queste testimonianze, né offerto una lettura di questi comportamenti ritenuti fraudolenti dai loro colleghi. Per Di Florio, semplicemente e tout court, «Angelini è credibile, quello che ci dice sulle tangenti è riscontrato». Per questo ha chiesto la condanna complessiva per tutti gli imputati a 99 anni di carcere. «Ho pensato – conclude Del Turco – che in un processo in cui non si sono trovate le prove, la rilevanza delle accuse agli occhi dell’opinione pubblica doveva essere data dalla richiesta di condanna così elevata». La sentenza è attesa per il 18 luglio.

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