Per D’Alema 40 anni di Gheddafi sono una “bella stabilità politica”

Alla fine di ottobre si è tenuto a Roma un convegno sui deportati libici negli anni 1911-1912 con l’obiettivo di sanare una ferita che da decenni segna i rapporti tra Italia e Libia. L’ex ministro degli Interni Giuseppe Pisanu vi ha affermato che per voltare pagina serve che «la storia faccia la sua parte con l’accertamento della verità». Anche se il dolore «rimane nella coscienza del popolo», ha aggiunto riferendosi alle sorti di tremila libici deportati alle isole Tremiti, a Ustica, Ponza, Favignana e Gaeta. Un lodevole sforzo dell’Italia per riconoscere le proprie colpe durante quella dolorosa pagina del passato. Dal canto suo, il ministro degli Esteri Massimo D’Alema ha preannunciato la prossima firma di un accordo bilaterale con Tripoli, un accordo importante perché – ha detto il capo della Farnesina – «oggi la Libia è un paese di importanza crescente nel Mediterraneo, forte non solo delle risorse energetiche, ma della stabilità politica». Ma davvero? L’ammissione delle colpe del passato deve forse indurci a falsificare le verità del presente? Devono forse portarci, ad esempio, a chiamare “stabilità politica” l’affermarsi di una dittatura per quasi quattro decenni (al prezzo di altre migliaia di deportati e prigionieri, seppure per mano sorella)? I nazionalisti libici non si sono battuti contro i soldati italiani per insediare un dittatore al loro posto! La cooperazione con la Libia non può crescere senza garanzie sul rispetto dei diritti umani. Lo aveva sollecitato, a metà ottobre, Amnesty International, chiedendo agli Stati europei che ogni futuro accordo con la Libia faccia esplicito riferimento a queste garanzie. Solo allora i morti potranno riposare in pace, riconciliandosi anche con l’Italia.
    camilleid@iol.it

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