Dal caso Ruby alla riscoperta che forse è meglio farlo dopo il matrimonio

Le rivelazioni sulle serate di Arcore del presidente del Consiglio risvegliano la moralità in materia sessuale del Corriere della Sera, che smette di elogiare il "triangolo" con Melissa P. e finge di allarmarsi per chi lo fa troppo presto. Un articolo del The Economist pubblica uno studio scientifico secondo cui ha ragione la Chiesa a dire di aspettare

Se sia merito (o colpa) del caso Ruby, non si sa. Sta di fatto che persino al Corriere della Sera, almeno a prima vista, sembra che si sia risvegliata una qual certa moralità in ambito sessuale. Tanto che il quotidiano di via Solferino, dopo aver celebrato “il triangolo” dedicandogli una copertina del settimanale Sette, con tanto di Melissa P. in prima pagina, pubblica un articolo sull’età a cui le ragazze cominciano a fare sesso: 13 anni.

Comincia così: «I papà negano, le figlie fanno l’amore.
E se è vero quello che dicono i sondaggi non aspettano neppure di iscriversi alle superiori». Il pezzo riporta i dati presentati ieri a Milano dall’assessorato alla Salute e dall’Osservatorio nazionale sulla Salute della Donna.

Tutti si aspetterebbero una qualche riflessione sull’opportunità o meno di fare sesso da giovanissime, invece il Corriere si dilunga solamente sul pericolo in aumento di contrarre «malattie sessualmente trasmissibili».

Peccato perché, stando ad una ricerca diffusa dal The Economist,
chi si concede solo dopo il matrimonio ha relazioni migliori dal punto di vista della «qualità del rapporto sessuale, della comunicazione con il partner, della qualità e della stabilità della relazione». Scrive il settimanale: «Quand’è il momento giusto di farlo? Se le cose andassero a modo dei preti sarebbe dopo il matrimonio. Studi recenti dimostrano però che circa l’85% della popolazione americana approva le relazioni prematrimoniali. Messo davanti a questi numeri, quante speranze può nutrire il Vaticano [di essere seguito]»?

Commentando i dati dello studio fatto su 2035 coppie sposate, credenti e non,
e suggerendo nuove ricerche, l’articolo conclude così: «Se i risultati persistessero anche alla luce di uno studio che tenesse conto della personalità, questi costituirebbero delle armi preziose per i preti». «La castità prima del matrimonio» dunque, stando almeno al professore Dean Busby e ai suoi colleghi della Brigham Young University, nello Utah, «potrebbe avere la sua utilità».

Dove finiremo, se persino la Chiesa e la scienza
rischiano di mettersi d’accordo?

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