Da piccoli i miei amici volevano diventare calciatori, io volevo diventare Giulio Andreotti

Lettera di un giovanissimo appassionato di politica che ha avuto «un'infanzia e una fissazione particolare». Mentre i compagni passavano ad adorare i motociclisti «io rimanevo andreottiano»

Caro direttore,

Quella per Andreotti è una fissazione.
A dieci anni una suora mi regalò un canarino e io lo chiamai Giulio, ancora adesso l’ho qui accanto quando scrivo e cinguetta allegramente.
Dicono ambisca a vedere la terza repubblica, e forse c’è quasi riuscito.

Lessi alcuni dei Diari durante le scuole medie, quando gli altri scoprivano i primi romanzi, io veleggiavo sospinto dalle correnti della DC. Tutto ebbe inizio da un libro, pungente quanto stimolante: Onorevole stia zitto, una raccolta di diverbi e battibecchi parlamentari come non se ne vedono più. Figlio di Stalin rimarrà un cult della mia prima adolescenza.

Avrò avuto dodici, forse quattordici anni quando la mia professoressa d’italiano e il prof di religione scortarono me e mio padre al Bò, la sede storica dell’Ateneo Patavino, ad una conferenza sulla Costituente a cui partecipava il Senatore. Ricordo come fosse ieri mattina don Lucio farmi sgattaiolare nell’anticamera dello studio del Rettore, prima che arrivassero i cronisti, e la salva di flash che ci colse nell’atto di farmi autografare il mio libro non più fresco di stampa.

Da allora Onorevole stia zitto è lì, in camera mia, sul comodino, perché nei momenti di tristezza possa sfogliarlo. È la migliore medicina contro le mediocrità d’ogni giorno.

Ho avuto un’infanzia particolare, lo ammetto, di solito i bambini vedono i loro miti nei calciatori, io mi ero scelto un anziano e curvo animale politico dall’umorismo bruciante. Mentre i miei amici crescendo sono passati prima ai motociclisti e poi, forse, all’abbandono totale, io sono rimasto andreottiano. Ci morirò andreottiano, come mi rimprovera bonariamente qualche simpaticone.

Ho gioito con Giulia Bongiorno quando la vidi al telegiornale mentre comunicava via telefono al Presidente la sua assoluzione, ho sofferto teneramente rileggendo le pagine scritte con affetto da Renato Farina in Non mi hanno fatto male e ho dato nuovo lustro alla mia passione con il fulminante Il potere logora… ma è meglio non perderlo.

Continuo a star male, nonostante sia prassi tristemente consueta, quando vedo e sento gli insulti e le maldicenze. Nonostante siano passati gli anni però, proprio da quelli che sarebbero dovuti essere i “suoi” persistono ad arrivare le bordate peggiori. La signorilità non è cosa che si impara a scuola, purtroppo.

“In paradiso non si va in carrozza”, diceva, e per quanto le molteplici cariche ricoperte gli abbiano dato infinita gloria, ancor più sterminato è l’eco delle calunnie.

Neppure oggi tale vile clamore si è placato, il dolore di una famiglia, di tante famiglie che in quello strano cardinale laico vedevano una persona su cui riporre fiducia non sarà rispettato da coloro i quali vivono la vita solo attraverso la cifra dell’ignoranza e del rancore.

Andreotti è stato l’Italia, nel bene come nel male. Andreotti è stato ciò che di meglio seppe esprimere una generazione uscita con le ossa rotte dalla ferocia dei totalitarismi e che da essi rifuggiva con tutte le forze. Forse per questo bistrattato da entrambi gli estremismi, perché totalmente “impermeabile” alle loro deliranti fascinazioni.

Ora mancherà qualcosa a Roma, è morto un papa laico, è finita un’epoca. Se sapremo coglierne l’eredità, forse il seme piantato da coloro i quali, spesso inadeguati e umani, ebbero l’ingrato compito di “rifare” l’Italia non sarà andato deposto invano.

Arrivederci Senatore, le ho, le abbiamo voluto bene.

Gianluca Salmaso

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