Il Mondiale di Vida, leader non protagonista

Il difensore con la faccia truce della Croazia (oggi alle 16 contro il Giappone) non ha ancora giocato in Qatar. Storia di una "rock star" in patria che alleva maiali e spera di scendere in campo per il suo ultimo ballo

Vida (al centro) prima della partita tra Croazia e Belgio. Il difensore croato non ha ancora giocato al Mondiale (foto Ansa)

C’è una caratteristica che riassume tutta l’essenza di Domagoj Vida, difensore della Croazia che oggi scende in campo contro il Giappone negli ottavi di finale del Mondiale in Qatar. Ed è la sua straordinaria capacità di racchiudere in un’unica persona elementi contrapposti, quasi inconciliabili. Una dote molto lontana dal superpotere, che negli anni si è sublimata in sabotaggio di se stesso. Il centrale croato ha odiato la sua più grade passione, ha giocato in cinque Paesi diversi ma è riuscito a creare un incidente diplomatico, è sposato con Miss Croazia ma è felice quando affonda gli stivali nel fango del suo allevamento di maiali.

Vida, leader senza essere protagonista

Faccia da Targaryen e lingua affilata, a trentatré anni cerca le ultime luci della sua carriera in un Mondiale che aveva rischiato di guardare in tv. Colpa di un sovraccarico muscolare che gli ha fatto saltare tutte le partite del girone, degradandolo da ministro della difesa a soldato semplice. Eppure Domagoj non si è scomposto. Perché ha imparato che si può essere leader anche senza dover essere protagonisti. Un concetto che gli ha spiegato suo padre Rudika, un attaccante dallo stacco così imperioso da essere soprannominato Air, come Michael Jordan, ma con i piedi pan piantati a terra.

Il passato di Rudika si incastra tutto fra due squadre della Slavonia: Osijek e Belišće. La paga del club è bassa. Molto. Così l’attaccante è costretto a trovarsi un latro lavoro. Eppure il calcio è un richiamo troppo forte per essere ignorato. Nel 1993 si prende un anno di ferie non pagate pur di giocare il campionato con il Belišće. E alla fine segna 26 gol in 34 partite. Un prodigio che resta incompiuto. Rudika è terzo nella classifica cannonieri, il club addirittura dodicesimo nella graduatoria finale. Domagoj vede in televisione le partite del padre e inizia a costruire il suo immaginario. Il calcio diventa prima elemento familiare, poi passatempo, infine vocazione.

Un senso perenne di nostalgia

Rudika non interviene in questo romanzo di formazione. Ogni tanto porta i figli al parco, tira qualche calcio al pallone insieme a loro. Poi quando Domagoj compie 10 anni, il padre si trova di fronte a una scelta. Gli amici dell’Osijek vorrebbero tesserare il figlio. Rudika è contrario. Fermamente. Poi pian piani si ammorbidisce. «Non volevo – dirà al sito croato Express – ma ho anche capito che se non gli davo quell’opportunità avrebbe potuto covare un senso di risentimento». Il suo inserimento nel club è un trauma. Per il ragazzo. Per la sua famiglia. Le elementari e le medie sono un viaggio nella solitudine. Suo padre si mette in ferie per portarlo agli allenamenti. Ma la situazione non è sostenibile. Così il club gli trova un alloggio. Domagoj viene fagocitato da un senso perenne di nostalgia. Chiama la madre in continuazione. Piange, si sfoga, si rincuora per qualche minuto.

«Ricordo che un anno dopo che era arrivato a Osijek gli avevano dato una camera tutta sua – racconterà – ma lo infastidiva il fatto che lo controllassero costantemente. Così ha preso un trapano e ha fatto uno spioncino sulla porta, in modo da vedere chi bussava alla porta. Lo hanno buttato fuori e ho dovuto cercargli una sistemazione». Un giorno Domagoj evade. Il padre torna casa e se lo trova sul divano. Il calcio non è più una passione. Ora è un incubo. La sua scalata assomiglia  già a una caduta nel precipizio. Le cose piano piano vanno meglio. A 17 anni Vida fa il suo esordio nell’Osijek. Poi a 21 passa al Bayer Leverkusen. Solo che il ragazzo è troppo giovane per quella rivoluzione. In tutta la stagione gioca appena una volta, come subentrante, contro il Wolfsburg.

«L’uomo più stupido del calcio»

«A quel tempo eravamo una squadra davvero buona, abbiamo chiuso il campionato al secondo posto – racconta Stefan Reinartz, compagno di squadra del croato – Domagoj era davvero forte dal punto di vista mentale, ma la sua abilità tecnica, il suo primo tocco, il suo controllo palla e i suoi passaggi non erano un granché». L’allenatore delle Aspirine, Jupp Heynkes ripete spesso: «Ok, Vida è un buon giocatore. MI piace, ma da un punto di vista tecnico non mi soddisfa». Domagoj gioca qualche partita in Europa League, poi torna a casa, alla Dinamo Zagabria. Appena arriva si fa subito notare. Mentre la squadra viaggia per la trasferta in Coppa di Croazia per la partita contro l’NK Vrsar, Vida si sente assetato. Così afferra una lattina di birra e la apre davanti a tutti. A poche ore dalla partita. L’allenatore Ante Cacic è incredulo, fa una scenata, lo esclude dalla squadra.

Il club lo punisce con una multa da circa 100mila euro, mentre i suoi stessi tifosi lo definiscono «l’uomo più stupido nel calcio». È un’offesa che Domagoj riscatterà sul campo. I suoi piedi non sono di velluto, ma duri come una pietra. Eppure funziona. Il ragazzo inizia a lavorare su se stesso, impara a tener separato il suo spirito giocoso dalla serietà richiesta dai suoi allenatori. Fino a diventare imprescindibile. Una parabola che sembra ricordare quel verso di Antenati di Cesare Pavese: «Ho trovato compagni trovando me stesso».

Il suo ultimo Mondiale con la Croazia?

Nel 2013 passa alla Dinamo Kiev, poi sei mesi prima del Mondiale russo passa al Besiktas. Eppure il club ucraino gli è entrato sottopelle. Nei quarti di finale del Mondiale la Croazia elimina la Russia ai rigori. Grazie anche a Domagoj. Il centrale aveva segnato prima nei tempi regolamentari, poi dal dischetto. A fine partita lui e Ognjen Vukojević si riprendono in un video e dicono: «Gloria all’Ucraina!». I Russi trasecolano. Chiedono provvedimenti pesanti contro il giocatore. Pretendono sia squalificato all’istante. La Fifa è molto più democristiana. Vida se la cava con un avvertimento e con un video di scuse. Non basterà a mettere a tacere la questione. Ogni volta che tocca palla nella semifinale contro l’Inghilterra viene coperto di fischi. E la sconfitta della Croazia in finale contro la Francia sembra opera del karma.

L’estate sembra quella del salto di qualità. Vida è al centro del mercato. Lo vuole il Liverpool. Lo vuole l’Everton. Lo vuole l’Inter. Almeno sulla carta. Di offerte non ne arrivano. Così Domagoj resta al Besiktas, ancora in periferia. Poi, qualche mese fa, ecco il trasferimento all’AEK Atene. Una forza centrifuga che lo ha spinto ancora più lontano. Eppure a Domagoj non sembra importare. Ora spera di mettere qualche minuto nelle gambe in quello che potrebbe essere il suo ultimo Mondiale. Poi chissà. Al momento per essere felice gli basta pensare al suo allevamento di maiali. «Sempre più ristoranti hanno iniziato a servirsi da me, perché sanno quanto sia fresca la carne dei miei maiali». Per gli stivali ci sarà tempo. Ora Domagoj vuoi tornare a indossare le scarpette bullonate.

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