Così il Pci, preferendo l’egemonia al socialismo, finì per allearsi coi padroni

Anno 1975, Buttiglione spiega perché l’impostazione comunista gramsciana, incentrata più sulla «presa del potere» che sull’interesse del proletariato, non poteva che creare un «condominio fra Pci e capitalismo avanzato»

Enrico Berlinguer, segretario del Pci, durante una manifestazione a Torino nel 1980 (foto Ansa)

Quarta e ultima parte della sintesi delle relazioni tenute durante il convegno “Per una scuola libera popolare e democratica”, tenutosi a Rimini nell’agosto del 1975 e promosso da Comunione e Liberazione. Le uscite precedenti della serie sono reperibili in questa pagina.

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Nella parte conclusiva del suo intervento al convegno “Per una scuola libera popolare e democratica” Rocco Buttiglione analizza le conseguenze del prevalere dell’impostazione gramsciana nella linea del Partito comunista italiano. Il rapporto struttura-sovrastruttura viene capovolto, il proletariato non punta più alla rivoluzione socialista, ma alla conquista della società civile attraverso il partito che ne diventa la forza egemone e l’intellettuale organico.

«Il partito svolge rispetto alla classe operaia, non meno che rispetto alle altre classi sociali, una funzione di mediazione, che inserisce il suo interesse di classe all’interno di un progetto complessivo di trasformazione della società, che tiene conto delle possibilità oggettive nonché delle necessarie alleanze di classe».

A tale trasformazione storica «anche l’interesse di classe del proletariato deve essere subordinato».

«Questo spiega come le battaglie decisive combattute dal Pci siano state battaglie per l’egemonia, piuttosto che battaglie per il socialismo. La battaglia sul divorzio, per esempio, è una tipica battaglia combattuta per mostrare la propria capacità egemonica e la fine dell’egemonia della Chiesa più che per qualunque altro motivo. Questa strategia rende per il Pci. Ma implica il continuo pericolo che sia l’occasione per il costituirsi nel nostro paese di una forza politica che avvii il processo di trasformazione in atto verso un neo-capitalismo compiuto».

Il compito di contestare l’egemonia della Chiesa

Torna la questione dell’unità politica dei cattolici.

«Le battaglie per l’egemonia vedono il Pci allineato, pur se controvoglia, con le forze che sostengono apertamente la razionalizzazione del capitalismo. E questa razionalizzazione capitalista non è affatto preferibile per i cattolici al dominio completo del Pci: qui infatti, se il comunismo è battuto, lo è in nome di una forma di irreligione ancora più radicale. In questo contesto, il marxismo viene a scindersi in due aspetti: per un verso, ridotto a semplice ideologia, esso ha il compito di contestare l’egemonia della Chiesa, colpendola nel suo punto più sensibile che è l’unità dei cattolici; per un altro, come effettivo strumento di progettazione politica, esso è sostituito o almeno sostanzialmente integrato dal gramscismo.

Quando diciamo che l’unità dei cattolici costituisce il punto più delicato dell’egemonia della Chiesa sulla coscienza popolare nel nostro paese, non intendiamo affatto riferirci in modo privilegiato all’esperienza del partito cattolico e all’unità imposta in forma disciplinare ai cattolici politicamente impegnati nelle sue fila. È del tutto scontato che non tocca alla gerarchia unificare i cattolici attorno ad una linea politica e che le opzioni politiche chiamano in causa la coscienza e la responsabilità politica di ciascuno. Intendiamo piuttosto sottolineare il fatto che, dove esiste un’esperienza viva di Chiesa, esiste una tensione continua anche verso l’unità di giudizio e che il riconoscimento ed il dialogo fra i cattolici vengono vissuti come un momento prioritario, la cui incidenza è anche politica. Non ci preoccupa, quindi, la possibilità di mantenere tutti i cattolici dentro alla Dc, quanto l’insorgere di un rifiuto sistematico all’incontro e al confronto fra i cattolici.

Questo non è solo negazione di un’unità imposta in modo metodologicamente scorretto, che tanto ha danneggiato la vivacità del Movimento Cattolico in questo dopoguerra, ma è rifiutare l’importanza metodologica del confronto e dell’unità fra i cattolici, anche in quanto essa ha di vivo e di essenziale per qualunque esperienza di fede».

La strategia per la conquista della società civile

Senza di ciò, il destino politico dell’Italia è segnato:

«Il progetto di conquista della società civile, che abbiamo visto essere proprio del Pci e che ne costituisce la strategia specifica adeguata alla situazione italiana, mira a conseguire il potere per autodissolvimento degli avversari storici. L’avversario che mira a costituire delle esperienze di identità popolare a partire da un diverso progetto culturale globale, viene sconfitto mostrando il carattere velleitario del suo tentativo. L’avversario borghese, che non fonda il suo tentativo su alcuna pretesa ideale di aggregazione, ma semplicemente sulla occupazione del potere economico, non può invece essere battuto con una simile tattica: con esso è necessario venire a un compromesso. È questo elemento che rappresenta il limite dell’impostazione gramsciana, che le deriva in generale dai presupposti idealistici dai quali muove.

Mentre, cioè, essa vede molto bene le condizioni dell’autodissolvimento delle forze culturali che potrebbero contestare l’egemonia del Pci, essa resta carente davanti ad una forza le cui radici non sono culturali ma semplicemente di fatto. Per questo la forma della presa del potere da parte del Pci minaccia di essere quella del condominio fra Pci e capitalismo avanzato. […] Ed in effetti, oggi la classe economicamente dominante si domanda se non sia in fin dei conti più degno di fiducia, come gestore del potere politico, il Pci che non la Dc».

La resistenza dei cattolici

A questo si oppone la proposta del Movimento Cattolico:

«Noi diciamo che, all’interno della società esistente, la comunità cristiana è già, dove sia vissuta nella integralità delle sue dimensioni, una struttura di transizione e un brandello, o meglio, un’anticipazione di questa società nuova. Noi crediamo che svolgendo metodologicamente, in una unità di teoria e prassi, il valore di questa esperienza, sia possibile ai cattolici fare delle proposte di trasformazione capaci di aggregare il consenso di larghi strati popolari. L’ideologia spontanea delle masse popolari, i valori secondo i quali immediatamente gli uomini, i proletari, i contadini e gli altri lavoratori del nostro paese, giudicano la vita, la loro cultura, sono ancora impregnate profondamente di memoria cristiana».

«Per questo è necessario, in primo luogo, che la comunità cristiana sia soggetto di partecipazione popolare, perché solo da una simile partecipazione popolare nasce la capacità di superare la tradizionale separazione di teoria e prassi. La prima condizione è dunque un’autentica e profonda riforma della Chiesa».

Conclusione:

«Difendere il diritto della Chiesa ad esistere come comunione che giunge fino alla materialità dell’esistenza, significa oggi difendere la possibilità di una libertà effettiva per chiunque intenda tentare, all’interno di questa società divisa e autoritaria, forme di vita che combattano la divisione e preparino un’alternativa».

(4. fine)

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