«In Lombardia non possiamo reggere a lungo. Libertà e responsabilità per battere il virus»

Gli errori del governo degli "incompetenti", le terapie intensive al limite, i problemi economici. Parla l'assessore regionale Cattaneo

In Regione Lombardia sono giorni di riunioni, giunte ordinarie – «ci sono provvedimenti da mandare avanti» – e straordinarie, «e ovviamente – ci spiega Raffaele Cattaneo, assessore all’Ambiente – il tema coronavirus è sempre il primo da affrontare». La locomotiva d’Italia ha dovuto rallentare bruscamente la sua corsa, riorganizzarsi, gestire l’emergenza. Cattaneo è al lavoro nel suo ufficio, che come molti s’è adeguato col telelavoro. In queste ore si parla di limitare ancor di più gli spostamenti sul territorio.

Assessore, ora anche il resto d’Italia è diventata “zona rossa” come la Lombardia. Giusto così?
È da tempi non sospetti che chiedevamo al governo di prendere un provvedimento simile. Noi, che lo viviamo in prima linea da diverse settimane, avevamo chiesto da giorni un maggior rigore in modo da evitare le decisioni drastiche che poi, come si vede, si sono dovute prendere.

Il governo ha tentennato e fatto degli errori.
Come tutti abbiamo capito, chiudere i voli dalla Cina è stato sbagliato, non potendo controllare i passeggeri che arrivavano in Italia facendo scalo su altri paesi. E l’altro giorno, la diffusione del decreto, prima che fosse condiviso con noi (l’abbiamo letto sui siti internet!), ha generato il panico con le scene nelle stazioni che abbiamo visto tutti.

Un’emergenza è un’emergenza, un po’ di caos è inevitabile.
Concordo, e infatti la Regione si è comunque posta in una posizione di collaborazione, al di là delle polemiche. Io, però, in questi giorni non ho potuto fare a meno di chiedermi: come si sarebbero comportati un Moro o un Andreotti di fronte a una situazione simile?

Cosa vuol dire?
Dico solo che questa emergenza ha portato a galla tutti i limiti, l’incompetenza e l’inesperienza di una classe dirigente che gli italiani hanno legittimamente votato, ma che è risultata inadeguata a guidare il paese in questa fase.

Ora da più parti si invoca un supercommissario. Lei è favorevole?
Sì, anche se penso che non sia risolutivo. Nel senso che più che una figura sola, il cosiddetto “uomo forte”, qui è necessario un recupero di competenze diffuse in tutta la classe politica. Abbiamo mandato al governo gli “incompetenti” e ora paghiamo dazio. Mi lasci dire che non è solo un problema della classe politica. In questi giorni ci sono state carenze organizzative anche all’interno della Protezione civile. E pure tra gli esperti e scienziati consultati dalla Regione i pareri erano molto discordanti.

Ogni giorno dagli ospedali lombardi arrivano voci che ci descrivono una situazione drammatica, soprattutto a causa della mancanza di posti nelle terapie intensive. Qual è la situazione?
Quella che lei dice è la descrizione di chi è in prima linea sul fronte del contrasto al contagio. Purtroppo, però, ancora in tanti è diffusa la convinzione che si tratti di qualcosa di un po’ più forte dell’influenza. E nel 98 per cento dei casi, è così. Non è la peste del Seicento né ebola, ma esiste un problema che non possiamo sottovalutare e che, appunto, chi lavora nelle rianimazioni degli ospedali ha ben presente perché ce l’ha sotto gli occhi.

Le terapie intensive, appunto.
Chi vi lavora vede arrivare continuamente pazienti e non sa più dove metterli. All’inizio noi avevamo 900 posti e pensavamo ne sarebbero bastati 126 in più per il Covid-19. Solo ieri erano 440. Il problema è questo: il virus è più veloce di noi, della nostra capacità di cambiare la destinazione dei reparti, di preparare dei luoghi dove mettere i malati, per dirla con parole semplici.

Se il virus dovesse propagarsi con i numeri attuali, cosa succederà?
Questa è la domanda delle domande che angustia medici e amministratori. Se i contagi dovessero diventare 15-18 mila al 26 marzo e poi crescere ancora, quanti posti saranno disponibili nelle terapie intensive? Il nostro sistema sanitario, me lo lasci dire senza retorica, è straordinario, ma ovviamente può reggere fino a un certo punto.

Anche il nostro sistema economico, però.
Come Regione Lombardia abbiamo stanziato 135 milioni di euro per la cassa integrazione in deroga a favore delle imprese lombarde. Intanto noi abbiamo dato un segnale, in attesa che il governo si muova. Tutti sappiamo che questa emergenza lascerà strascichi pesanti, ma dobbiamo chiederci se farà più danni adottare misure lievi, e continuare a far divampare l’incendio fino all’irrimediabile, oppure usare la maniere forti, stringere i denti per qualche settimana, e poi ricominciare.

Mi sembra di capire che lei è per la seconda ipotesi.
Sì, se lasciamo correre, poi quanto ci rimetteremo a mettere a posto le cose? Prima rientra il contagio, meglio è. Anche chi ha mandato messaggi rassicuranti come “Milano non si ferma”, ora forse ha capito di aver sottovalutato la questione.

Da più parti si invoca il “modello cinese”: interventi drastici, autoritari, con pochi fronzoli.
Noi non siamo la Cina, ma una democrazia liberale e questo è un valore da difendere. Quindi occorre scommettere sulla libertà dei cittadini perché ognuno faccia la sua parte, senza essere costretto dalla polizia. Ma la libertà è sorella della responsabilità per cui vedere gente che fa l’aperitivo sui Navigli o al lago ti fa capire, in un momento come questo, che una certa coscienza di popolo è davvero debole. Se non si vuole uno Stato autoritario che intervenga con l’esercito, è necessario che la società sia davvero responsabile così da essere davvero libera. Da questo punto di vista, diventa ancora più importante l’azione dei corpi intermedi che devono aiutare e favorire questa presa di coscienza. Nessuno, infatti, può affrontare da solo un lavoro simile.

Foto Ansa

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