Come ti privatizzo i cieli d’Italia

A Carlo De Benedetti, la compagnia di bandiera, a Goldman Sachs gli aeroporti di Milano. Così volerà il paese nei progetti della grande finanza internazionale

«Perché gli stranieri vogliono comprare britannico?». Questa la domanda che si poneva il Daily Telegraph per analizzare sviluppi e ricadute dell’acquisizione da parte del consorzio spagnolo Ferrovial della Baa, l’ente britannico che gestisce gli aeroporti londinesi di Heathrow, Gatwick e Stansted oltre a Southampton, agli scali scozzesi di Edimburgo, Glasgow e Aberdeen, a quello napoletano di Capo di Chino, al 20,9 per cento dell’aeroporto australiano di Sidney, con partecipazioni minori in quelli di Melbourne, Perth e Darwin. Un’operazione da 10,1 miliardi di sterline che ha visto per mesi fronteggiarsi l’un contro l’altra armate due potenze finanziarie spaventose: il consorzio iberico Ferrovial legato alla banca d’affari australiana Macquarie (già detentrice del 44,74 per cento di Aeroporti di Roma) e una cordata capitanata dalla statunitense Goldman Sachs, già uscita sconfitta lo scorso anno dalla gara per la privatizzazione del 30 per cento di Sea.
Ma cosa c’entra lo scontro in Gran Bretagna con il destino di Alitalia? È presto detto, gli attori di quanto accadrà sono sempre gli stessi. Domenica 25 giugno Repubblica sparava la notizia in base alla quale il governo sarebbe pronto a mettere la ex compagnia di bandiera sul mercato dopo un semestre di super-commissariamento stile Parmalat per preparare al meglio le mosse. Nonostante la cura Cimoli, infatti, il gigante italiano dell’aria perde qualcosa come 100 milioni di euro al mese e le riforme interne tanto attese (come la creazione di una base di armamento a Malpensa) sono rimaste lettera morta. Perché? Semplice, chi tocca Alitalia muore. Politicamente, s’intende. Non è un caso, infatti, che il giorno seguente la sparata di Repubblica il leader della Cisl Raffaele Bonanni abbia subito stoppato il governo: cedere ora la compagna sarebbe una svendita. Ma chi potrebbe comprarsi un simile pozzo senza fondo di debiti? L’aumento della quota azionaria del fondo britannico Walter Capital Management, passato lo scorso 11 maggio dall’8,187 al 10,24 per cento, lascia intendere un interesse chiaro dei grandi raider finanziari verso un’azienda che, una volta risanata a colpi di licenziamenti di massa, potrebbe tornare competitiva. Oppure divenire oggetto di cannibalismo, con slot e tratte che fanno molta gola. L’alleanza con Klm-Air France, evocata da molti al fine di evitare la dura legge del mercato, non è infatti sufficientemente strutturale.
E quindi? E quindi torniano agli affari inglesi appena citati, poiché guarda caso il dossier Alitalia giace sul tavolo di Massimo Tononi, 41enne sottosegretario dell’Economia e per 17 anni dipendente della Goldman Sachs. Forte della liquidità risparmiata dalla mancata acquisizione di Baa, Goldman Sachs potrebbe mangiarsi Alitalia in un boccone ma l’operazione sarebbe troppo sfacciata (vista anche la presenza in Bankitakia di un altro uomo Goldman, Mario Draghi) e a Palazzo Chigi corre voce che per la disastrata compagnia si sia fatto avanti Carlo De Benedetti. Con un patto implicito che vedrebbe Goldman Sachs gettarsi a capofitto su Sea con il beneplacito del governo dell’Unione, nonostante il parere negativo del Comune di Milano, principale azionista dell’azienda. «Per quanto ne sappiamo non ci sono piani per tornare sul mercato, Sea dovrebbe entrare in Borsa con l’attuale assetto», fanno sapere dal quartier generale. Proprio sicuri?

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