Ciao

Simplicissimus di Giacomo B. Contri

Diciamo “io”, ma cosa diciamo? Io – non “l’io”, ossia un’astrazione indebita – è – ma neppure: è un’altra astrazione, dunque correggo – io, io di ognuno, sono il campo di battaglia del nostro secolo, la guerra mondiale di tutte le guerre. E non parlo metaforicamente. Alcuni discettano se sia meglio dire “io” o “individuo”. Ma no!, “individuo” mi piace, significa in-dividuo, non diviso, ossia personalità. È la personalità – concetto giuridico – a fare la persona, altrimenti questa si riduce a un vago “valore” oscuro, senza io. E il “Credo” cattolico si è curato di distinguere le personalità: Padre, poi una “generata”, e un’altra che “procede”, ossia con personalità. “Ciao!” è la parola più internazionale, più di “OK!”. Che significa? Significa, in veneto, “sciavo”, “schiavo”, come si dice “servo vostro”. Come “ciao!” i tedeschi dicono “servus!”: sono a tua disposizione, fa’ di me quello che vuoi (se lo sai fare: raro!). È la frase dell’amore. Lo schiavo-schiavo non la può dire. È la frase dell’uomo libero. Nel Vangelo di Luca la parola è “ancella”: detta da una appena diventata regina, sovrana. È nella sovranità – la libertà o è sovrana o non è – che si può farsi ancella, servo, o mendicante di un altro. Il sovrano – io – non confonde dedizione e abdicazione.

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