Chiedo la canonizzazione di Salvatore e Zaccaria, angeli senza fissa dimora

Salvatore e Zaccaria credo siano due angeli molokani. Che ci versino latte dal cielo.

Articolo tratto dal numero di Tempi di ottobre

Ho ricevuto una lettera, qui in Armenia, dove vivo tra i molokani, bevendo latte, lavorando e pregando. Veniva da Roma. Forse voi non lo sapete, del resto la cosa è ignorata da tutti. I barboni che voi incontrate nelle città, addormentati negli androni, bivaccanti, sereni o angosciati custodiscono tra loro un segreto. Alcuni di loro sono angeli; alcuni altri sono molokani. Talvolta le due categorie di esseri si confondono, ma sono entrambe dotate di una natura buona e artistica. La lettera mi comunicava due nascite al cielo o ritorno tra le schiere celesti, infatti non è chiaro se le due persone di cui mi venivano raccontati gli ultimi tempi su questa nostra crosta così arida e così bella fossero uomini-molokani o angeli sotto vesti umane.

Il primo si chiamava Zaccaria. Si professava musulmano, ma parecchio infedele, per due ragioni. La prima è che beveva come una spugna. La seconda che mai e poi mai avrebbe considerato l’amico che mi ha raccontato della sua morte come un miscredente benché cristiano. Zaccaria era marocchino. Dormiva sul sagrato di Santa Maria in Aquiro, in piazza Capranica a Roma. Si addossava al portone. È stato cacciato di lì da clochard violenti, barboni sul serio, che volevano il suo posto. Si rimise a circolare per il centro di Roma col volto tumefatto, in cerca di una cuccia. Era molto gentile. Aspettava il mio amico, tendeva la mano senza pretendere, senza lamentarsi. È deceduto la notte della vigilia di Natale, davanti al chiostro del Bramante, in via della Pace. Ha vomitato bile gelata, era stata una notte molto fredda quella notte. Non ho nessuna intenzione di scorgere poesia in quel suo morire con fegato esploso per l’alcol e il rigore dell’inverno, è stato orribile per il mio amico vedere dopo qualche giorno i segni di quel vomito. Quella notte – come sempre a Natale – ci fu una nascita e una morte, come scrisse Eliot. Messe si celebrano per lui nella chiesetta dell’Oratorio del Crocifisso. Non so se di suffragio o di implorazione.

Il secondo aveva, anzi ha tuttora per nome Salvatore Fogliani. Era un grande artista. Una malattia mentale lo trasferì sui marciapiedi. Andava a dormire dalle parti della fontana di Trevi. All’aurora si imbeveva di quella luce unica che entra in quella piazza angusta dando grandezza e immensità alle acque. Questo lo ispirava, ma prima un caffè e liquore, e questa luce e il cognac si intrecciava con una follia nervosa che lo rendeva inquieto, ma sopra un enorme giacimento di bontà fanciulla. Aveva le ali sotto la camicia. Si alzava dal giaciglio sotto l’uscio di San Gaspare del Bufalo, e si spostava all’oratorio del Crocifisso. Entrava durante la Messa delle 7, si sedeva accanto a Lorenzo, pregava, le suore gli offrivano la colazione. Un giorno volle fare un dono a queste grandi donne, “Missionarie di Gesù Eterno Sacerdote”, così si chiama la congregazione. Disegnò l’Ecce Homo. Ora sta nella piccola cappella accanto all’oratorio. L’amico l’ha fotografato e l’ha spedito, si vede male, ma mi dice che è un autoritratto di Salvatore.

Le suore non lo vedevano più arrivare al mattino. Hanno provato a chiedere in giro. È arrivata notizia da dei preti polacchi che hanno in cura la chiesa di San Gaspare del Bufalo che in un’alba d’estate era stato trovato in deliquio e portato in qualche ospedale, non si sa quale, ma di certo pochi giorni dopo era morto.

Nell’oratorio del Crocefisso la notizia è arrivata a settembre. Il borbottare ridente di Salvatore è stato ricordato da padre Jakub. Il quale si è ricordato di quel quadretto che qui vedete in pagina. Nella lettera c’è anche scritto che un segno angelico toccò Salvatore la notte precedente la gloria di Madre Teresa di Calcutta in piazza San Pietro. Teresa fu fatta santa – dice l’epistola romana recapitata in Armenia – il 4 settembre 2016, quel mattino Salvatore si svegliò sanguinante: un ratto gli aveva mangiato il braccio e un po’ della guancia. Lui diceva che però era stato delicato, e aveva fatto in modo di non svegliarlo. Noi molokani non siamo favorevoli alle canonizzazioni, a queste adunate effimere: siamo solitari, in comunione, ma senza apparati visibili, siamo stati resi guardinghi da troppe persecuzioni. Ma quel giorno di Madre Teresa avrei voluto esserci, a costo di essere rosicato dai topi come Salvatore, perché lì sta la perfetta letizia. Salvatore e Zaccaria credo siano due angeli molokani. Che ci versino latte dal cielo.

Foto Ansa

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