Che cosa succede in Burkina Faso e perché i cristiani sono sotto attacco

Gli ultimi attacchi alla comunità cattolica del Burkina Faso non sono un fulmine a ciel sereno

tratto dall’Osservatore Romano – Gli ultimi attacchi alla comunità cattolica del Burkina Faso non sono un fulmine a ciel sereno. Già da qualche tempo il paese è finito al centro delle vicende terroristiche internazionali, sebbene non si parli molto di questo paese africano, purtroppo ostaggio di terribili violenze. E non a caso prima degli ultimi attacchi a edifici religiosi il Burkina Faso è stato chiamato in causa addirittura nel video in cui dopo 5 anni l’Is è tornato a mostrare il suo capo Abu Bakr al-Baghdadi.

Nella conversazione registrata l’autoproclamato califfo fa riferimento alla scomparsa del proprio “Stato” fra Iraq e Siria e alla caduta dell’ultima roccaforte di Baghuz, ma vuole dimostrare che il movimento è ancora vivo e pericoloso, e così cita 92 operazioni condotte da allora in 8 paesi, tra cui proprio il Burkina Faso, elogiando gli attacchi compiuti ed esortando a intensificare quelli contro «la Francia crociata e i suoi alleati», mentre accoglie la bayah (il giuramento di fedeltà) dei gruppi jihadisti del Sahel e dell’Africa occidentale.

Il Burkina Faso è un paese della fascia del Sahel, la zona sud-occidentale del Sahara dove il deserto confina con l’Africa “nera”, e da parecchio è una delle zone più pericolose come fucina di estremismo terroristico. La minaccia è cominciata in Algeria fin dal tempo della presa di potere dei militari, è poi passata attraverso i collegamenti dei gruppi salafiti del Maghreb con Al Qaeda, con al-Zarqawi e poi con l’Is, e ha trovato nuovo alimento nell’estremizzazione delle fasce più a sud, con epicentro nel Mali, che da diversi anni è dilaniato da una guerra civile che per un periodo vide i gruppi affiliati ad Al Qaeda e i tuareg alleati nel costruire uno stato indipendente nel nord del paese.

Questa fascia di instabilità si è andata via via espandendo – nonostante un massiccio intervento militare della Francia e dell’Unione africana – andandosi a mettere in “comunicazione” con il jihadismo di Boko Haram, che a sua volta dalla Nigeria si è espanso nei paesi vicini. Mentre nuova benzina sul fuoco veniva gettata dalle nuove crisi nei paesi circostanti il Sahel, prima fra tutti la Libia precipitata dal 2011 in una guerra civile e tribale che tutt’ora sembra lontana da una soluzione. Il Sahel quindi, che con le sue ampie distese e il terreno aspro offre uno scenario ideale per nascondersi e colpire, è diventato il canale di congiunzione fra il Nord Africa e l’Africa subsahariana, permettendo di controllare le importanti e lucrose rotte – difficili da intercettare – che collegano le due aree e che sono diventate un asse fondamentale di traffici illeciti come il commercio di esseri umani, armi, droga, contrabbando.

In questa fascia di instabilità è finito anche il Burkina Faso, come dimostrano i problemi che si sono manifestati già da qualche anno e che negli ultimi tempi hanno visto una forte e drammatica accelerazione che le parole di al-Baghdadi non hanno fatto altro che consacrare. Non a caso le contestate autorità locali hanno decretato dal 31 dicembre 2018 lo stato di emergenza in molte regioni del paese. Sarebbero attivi in particolare i gruppi terroristici Jnim (Jamat Nusram al-Islam wal-Muslimin, ramo di Al Qaeda), Ansaroul Islam e Isgs (Islamic State in the Greater Sahara, con chiari riferimenti all’Is). Dal 2014, in seguito in particolare all’instabilità nel confinante Mali, è andata crescendo l’insicurezza e il paese inizialmente è stato utilizzato soprattutto per la logistica e il reclutamento. Ma poi l’escalation del terrorismo locale è stata terribile: dai 13 attacchi del 2016 (tra i quali gli assalti a un hotel di lusso e a un ristorante frequentati da turisti occidentali, nella capitale Ouagadougou, con un bilancio di 30 morti) ai 32 del 2017 fino ai 64 del 2018.

E il 2019 è iniziato malissimo: 38 attacchi solo nei primi quattro mesi dell’anno. Fra questi, oltre quello di ieri a Singa, nel quale sono morti quattro fedeli cattolici, ci sono il sacerdote e i 5 fedeli uccisi nell’assalto alla parrocchia cattolica di Dablo, e pochi giorni prima il pastore assassinato insieme a 4 fedeli nell’assalto a una chiesa protestante a Silgadji. A gennaio in due attacchi a villaggi erano state uccise 12 persone a Gasseliki e 10 a Sikiré. La zona è poi divenuta teatro anche di rapimenti di stranieri. Nel dicembre scorso è scomparso l’ingegnere padovano Luca Tacchetto insieme alla compagna di viaggio canadese, Edith Blais. Mentre nei giorni scorsi le forze speciali francesi hanno compiuto un blitz armato vicino al confine col Benin, liberando due turisti francesi che erano stati sequestrati, e salvando anche una cittadina americana e una sudcoreana. Due commando francesi sono stati annientati nell’operazione.

Non si tratta di episodi isolati: la violenza jihadista mina profondamente la stabilità del paese. Secondo l’Ufficio delle nazioni unite per le emergenze (Ocha) al 25 aprile 2019 1,2 milioni di persone in Burkina Faso hanno bisogno di assistenza umanitaria. Gli sfollati sono più di 148.000, in crescita. Cinquantaquattro centri sanitari sono chiusi od operano al minimo. Quasi 1100 strutture scolastiche sono state chiuse, lasciando senza istruzione 146 mila bambini, sotto la pressione delle bande armate jihadiste che vogliono imporre la legge islamica e alimentano il caos provando anche a diffondere l’odio etnico. Il Burkina dunque non è vittima di episodi di violenza sporadica, ma ha bisogno di aiuti urgenti.

Foto Ansa

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