C’era una volta il Belpaese

Due milioni e seicentomila famiglie italiane in povertà. Generosa Livia Turco, ma non bastano le buone intenzioni di un ministro a colmare il vuoto di una politica che non c’è. Intervista al direttore del Banco Alimentare, che da undici anni distribuisce alimenti di prima necessità. Tutto quello che le statistiche ufficiali non raccontano.

“Sapere che in Italia ci sono sette milioni e mezzo di poveri fa capire solo una cosa: che il problema non può essere ignorato. Tra l’altro, l’Italia è, fra i paesi industrializzati, quello con la percentuale più alta di bisognosi”. Marco Lucchini, direttore del Banco Alimentare, tiene fra le mani gli ultimi dati Istat relativi al problema della povertà nella nostra penisola. “Sono dati dell’anno scorso. Forse sarebbero più utili delle proiezioni”. Sfogliando l’indagine Istat si scopre che “in Italia complessivamente sono circa 2 milioni e 600mila le famiglie in situazione di povertà relativa, per un totale di 7 milioni e 508mila individui”. La situazione è particolarmente grave per il Mezzogiorno dove risiedono il 66 per cento dei nuclei famigliari indigenti.Il Banco Alimentare compie il suo undicesimo compleanno. Anni spesi a costruire una rete di distribuzione di prodotti alimentari per chi, ogni giorno, si trova in difficoltà a mettere qualcosa sotto i denti. E, di anno in anno, i numeri del Banco Alimentare crescono. Ad oggi sono complessivamente 900mila le persone cui si dà una mano, 5mila gli enti convenzionati e 30mila le tonnellate di generi alimentari distribuiti. “Ciò che le statistiche non dicono”, prosegue Lucchini, “è che il problema della povertà non può essere letto solo seguendo categorie economiche. È un fenomeno molto più complesso, che tocca aspetti difficilmente quantificabili come la solitudine e l’educazione”. L’esperienza sul campo di Lucchini e dei 600 volontari del Banco Alimentare rivela che la povertà in Italia non è paragonabile a quella dei Paesi africani o del Sudamerica. In Italia, in linea di massima, non si nasce poveri ma lo si diventa e, “negli ultimi anni”, puntualizza Lucchini, “sempre con maggior facilità. Abbiamo moltissimi casi di padri di famiglia che a quarant’anni si trovano senza un mestiere. E che faticano a spiegare a moglie e figli che occorre tirare la cinghia”. Forse per vergogna, forse per l’incapacità di accettare la nuova situazione, molte famiglie continuano a mantenere uno standard di vita al di sopra delle loro possibilità. Così la situazione da precaria si fa spesso drammatica. Il direttore del Banco Alimentare fa un esempio, “alcune madri arrivano nei punti di distribuzione dei beni alimentari con i sacchetti della spesa sui cui compare il marchio dei grandi supermercati. Fan scorta di vivande e tornano a casa, presentando ai figli cibi che fingono aver acquistati”. Il fenomeno riguarda soprattutto il cosiddetto “ceto medio”. Non è un caso che sia il centro Italia la zona dove, rispetto all’anno passato, si registra il maggior aumento della percentuale d’indigenti. “È la zona dove più sono diffusi i mestieri artigianali. Chi ha una piccola o media impresa vede sempre più aumentare il rischio di dover cambiare le proprie abitudini. E spesso non è facile adattarsi ad un nuovo stile di vita soprattutto in una società che ti misura solo rispetto a ciò che possiedi”. E lo Stato come si comporta? “Devo ammettere che il ministro Livia Turco si è sempre dimostrata molto attenta alla realtà del no profit. L’anno passato, al convegno organizzato dal Banco Alimentare, riconobbe che solo realtà come le nostre arrivano veramente a rispondere alle esigenze degli indigenti, non lo Stato. Anche perché troppo spesso la burocrazia rallenta e disperde quegli aiuti che lo stesso Stato mette a disposizione. Troppe leggi chiedono ad enti no profit di adeguarsi alle aziende. Ma la San Vincenzo non può essere trattata come la Barilla! Altro esempio: l’anno passato per il rigido inverno morirono nove senzatetto a Torino. Lo Stato, emanò un decreto “urgente” secondo cui sarebbero stati elargiti vari miliardi per trovare una soluzione al problema. È passato un anno, è tornato l’inverno, i soldi ci sono ma, per le lentezze della burocrazia, non si possono usare”. E così anche chi aiuta i poveri è povero lui stesso. Spesso si fatica a trovare fondi per mandare avanti le proprie opere. “Noi del Banco Alimentare ci siamo trovati di fronte al problema del cartone. Le aziende che, fino all’anno scorso, ci rifornivano di scatoloni per imballare i viveri, quest’anno, per l’aumentare del prezzo del cartone, hanno dovuto diminuire il numero degli scatoloni che ci regalavano”. “L’aspetto alimentare”, prosegue, “è solo la punta di un iceberg di un problema più complesso. Il Banco aiuta tutte quelle opere di volontariato che s’impegnano ad andare di casa in casa a sostenere chi è in difficoltà”. Ma quando si entra in contatto con questi individui ci si accorge che l’alimentazione è un anello di una catena molto più lunga, che comprende altri problemi: “Solitudine, malattie mentali, tossicodipendenza, alcolismo, separazioni e divorzi”. Lucchini si sofferma in particolare sul problema dei malati mentali e degli anziani, “spesso isolati dalle famiglie”, e del disgregarsi dell’unità famigliare, “le separazioni e i divorzi raddoppiano i casi d’interventi: la madre con i figli da un lato e il padre dall’altro”. Il filo rosso che lega tutte queste situazioni “è la solitudine”. Perdere il lavoro o entrare nel tunnel della droga e dell’alcolismo sono difficoltà a cui, pur con fatica, si può dare una risposta. A patto di non essere soli. Anche perché, conclude Lucchini, “i poveri, come disse Qualcuno, li avremo sempre con noi. Il problema è sostenere quella rete di persone che si occupano di loro”.

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