Caso talidomide. Garattini: «La sperimentazione sugli animali è necessaria»

«Non possiamo fare a meno dei test sugli animali. Gli animalisti si leggano la letteratura scientifica». Intervista al direttore scientifico dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano

La Lav ha combattuto strenuamente perché il canile di Green hill fosse chiuso: una manifestazione di piazza senza precedenti, che oggi porta anche al dibattito su una norma che regolarizzerebbe le sperimentazioni cliniche sugli animali. Si tratta dell’articolo 14 della legge comunitaria, che è in discussione alla Commissione politiche comunitarie del Senato dopo l’approvazione alla Camera: questo articolo prevede l’abolizione degli allevamenti animali. La conseguenza, secondo un fronte politico bipartisan, potrebbe essere però che la sperimentazione dei farmaci sia spostata dalle aziende ad altri paesi dove i controlli anche sul benessere degli animali sono più blandi o inesistenti, rispetto al nostro. È tornato alla ribalta nelle cronache il caso del talidomide, un farmaco messo in commercio tra il ’57 e il ’61 senza che prima fosse testato su animali gravidi, che portò alla nascita di 10 mila bambini focomelici nel mondo (600 in Italia): fu dopo questo terribile caso che fu introdotta anche nel nostro paese la farmacovigilanza. «Nei test eseguiti dai ricercatori – ha replicato Michela Kuan della Lav – nessuna delle specie trattate in laboratorio con il talidomide produsse feti focomelici». A Kuan replica Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano: «La dottoressa Kuan dovrebbe prima leggersi la letteratura scientifica».

Perché? È possibile mettere una parola fine alla polemica con dei dati certi?
Con dosi appropriate e a tempi appropriati durante il processo della gravidanza, il talidomide aveva indotto malformazioni negli animali gravidi su cui fu testato, solo dopo però che aveva provocato malformazioni nei feti umani. Vennero riscontrate malformazioni dapprima nel topo (come dimostrò lo studio di Giraud, Tuchmann-Duplessis e Mercier-Parot pubblicato nel 1962), poi negli embrioni di pollo (studio di Yang, Yang e Liang del ’63), nel coniglio (in due studi, di Schmacher, Blake, Gurian e Gillette nel 1968 e di Pasquet nel 1974), nel ratto ma solo per via endovenosa (Schumacher e altri, 1968), nel marmoset (Hamilton e Poswillo, 1972) e nella scimmia (Hendrickx del 1973). Il ratto è risultato l’animale meno sensibile al talidomide. E si potrebbe continuare con la citazione di altri studi. Purtroppo questi sono risultati ottenuti in tempi successivi alla tragedia del talidomide perché all’epoca non era richiesto che i nuovi farmaci fossero studiati sulla riproduzione animale, mentre oggi è obbligatorio.

Il ministro della Salute Renato Balduzzi ha appoggiato il divieto di allevamenti e indicato il ricorso a metodi alternativi per i test. Da scienziato lei cosa ne pensa?
Il divieto di allevamento non risolve il problema perché la sperimentazione animale è necessaria e, per molti aspetti, è obbligatoria. Non esistono metodi alternativi, ma metodi complementari. Si tratta delle colture in vitro di cellule che si utilizzano quotidianamente in tutti i laboratori. Tuttavia chiedendo metodi “alternativi” gli animalisti si contraddicono perché, da un lato, ritengono che gli animali non siano adatti e, dall’altro, che le cellule in una provetta di vetro siano più predittive per l’attività nell’uomo. Chiunque abbia buon senso non può negare che il topo sia più vicino all’uomo di quanto non lo siano singole cellule, anche umane.

All’istituto Mario Negri lavorate quotidianamente con la ricerca sui farmaci. Attualmente quali “paletti” dovete seguire nel fare i testi sugli animali?
Da noi i progetti che richiedono sperimentazione animale prima vengono sottoposti al parere di un comitato etico e poi devono essere approvati dal ministero della Salute. Vi sono regole ben definite per evitare sofferenze agli animali: si utilizza l’anestesia quando si devono eseguire interventi chirurgici, si cerca di utilizzare ogni accorgimento che favorisca il benessere animale. Un veterinario sovrintende alla sperimentazione animale. Noi non abbiamo mai utilizzato cani: so che al livello nazionale, nel 95 per cento dei casi, gli animali usati per la sperimentazione sono topi e ratti.

Meglio il progresso medico, anche a qualsiasi costo, o meglio il rispetto di creature indifese, sacrificando però la ricerca che potrebbe salvare nuove vite?
Credo che l’uomo sia più importante degli animali e che le sofferenze dei bambini meritino di ricorrere alla sperimentazione. Una volta la leucemia dei bambini determinava la morte in 6 mesi. Oggi oltre l’80 per cento guarisce grazie alla sperimentazione animale che nel tempo ha individuato i farmaci adatti.

Oltre al caso talidomide, ci sono altri casi in cui le mancate sperimentazioni su animali comportarono gravi conseguenze per gli esseri umani?
Non esistono altri casi così “clamorosi” perché da allora gli studi di tossicità su animali in riproduzione sono divenuti obbligatori.

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