Caso Ruby: chi decide che cosa è lecito per un uomo pubblico e cosa no?

Parlano a Tempi la femminista Marina Terragni, e la giornalista di Avvenire Assuntina Morresi. Per la prima «Berlusconi ha gravi problemi di controllo, ma con questa magistratura si rischia lo stato etico». Per la seconda non si possono usare due pesi e due misure e poi esternare un'ipocrisia di matrice protestante

L’inchiesta della Procura di Milano in cui sono emerse le ipotesi di reato di concussione e prostituzione minorile per il premier Silvio Berlusconi ha scoperchiato, di fatto, un calderone. Uno dei macro-temi su cui ci si è arrovellati nei salotti televisivi è un binomio moderno e antichissimo, quello del pubblico-privato, della morale e dell’etica.

Posto che un reato rimane tale anche se commesso all’ombra delle proprie mura domestiche, è lecito pretendere totale integrità morale da chiunque svolga un ruolo pubblico? A che pro? Qual è il discrimine, esiste un rischio? Tempi ha chiesto a due donne un commento.

Marina Terragni, femminista, la giornalista che in questi anni ha saputo raccontare con più acutezza la sfera del maschile e del femminile, lancia un allarme: «Siamo davanti a un uomo con gravi ed evidenti problemi di controllo, e che quindi non è più in grado di reggere la cosa pubblica. È vero che la vita privata resta tale e non deve essere invasa, e capisco chi per questo assume la posizione del “chi è senza peccato, scagli la prima pietra”. Ma al tempo stesso Silvio Berlusconi è il primo ad aver sovvertito questo schema: sin dagli albori della sua carriera politica non è stato discreto rispetto a se stesso, ha preferito invadere il pubblico col suo privato, dalla televisione ai modelli educativi. Non è strano quindi che ora questo meccanismo finisca per ritorcersi contro di lui».

Resta un rammarico: «Che sia la magistratura a compiere questa operazione. È triste che non sia stato battuto con un’onesta battaglia politica, e lo trovo anche insidioso, perché se la magistratura assume un ruolo politico il rischio, dietro l’angolo, è quello dello stato etico». Un rischio che stiamo correndo deliberatamente, «probabilmente in virtù di una diffusa delusione per l’efficacia delle azioni governative, soprattutto dell’ultimo anno».

Lo prova il perbenismo che si è diffuso a macchia d’olio, vedi la lettera di sfratto inviata alle 14 ragazze al centro dell’inchiesta, sospettate di essere delle prostitute. «Devono essere sfrattate? Non scherziamo. Non sono mica dei rifiuti tossici».

Per Assuntina Morresi, firma di Avvenire, si tratta invece di «un’ipocrisia di matrice protestante. D’ora in poi daremo ai politici una lettera scarlatta da esibire? Chi stabilisce cosa è sconveniente?» Non solo: «Se tutto ciò che faccio è lecito solo perché io lo voglio fare, non si capisce dove stia il problema. Forse bisogna fare ciò che si vuole, ma senza dirlo? Questo è disumano, questo è assurdo, questo è ipocrita».

La giornalista di Avvenire ricorda un vecchio articolo apparso sulle pagine del Corriere della Sera: il tema era il “poliamore” teorizzato dal poliedrico pensatore francesse Jacqeus Attali. «Sostanzialmente si giustificava la necessità di avere relazioni multiple. Ed era nelle pagine di cultura… Vengono usati evidentemente due pesi e due misure, in una schizofrenia che finisce per plasmare la forma mentis di un intero paese. 
Nell’ipotesi che quanto si sta favoleggiando sia vero – conclude la Morresi – mi domando e domando a tutti: chi decide cosa è lecito per un uomo pubblico, e cosa non lo è? Nella risposta sta la chiave della fase politica e sociale che stiamo attraversando».

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