Case green, una maxi spesa per una direttiva a impatto zero

Con le tecnologie disponibili, la nuova misura europea non abbatterà le emissioni di CO2 e non contribuirà alla nostra indipendenza energetica. Di certo c’è solo che si tradurrà in nuove tasse

Foto di Bill Mead su Unsplash

Con la cosiddetta direttiva sulle case green sfornata dal Parlamento di Strasburgo e approvata definitivamente venerdì 12 aprile dall’Ecofin (il Consiglio dei ministri dell’Economia dell’Ue) l’Unione Europea incastra l’ennesimo tassello del puzzle green che ha come obiettivo, oramai risaputo e conclamato, la riduzione delle emissioni di CO2 da parte dei 27 Stati membri. Due i nuovi strumenti aggiunti con questa direttiva per perseguire gli obiettivi: la riduzione dei consumi e l’abbandono dei combustibili fossili.

Nello specifico, a partire dal 2030 tutti i nuovi edifici dovranno essere a emissioni zero (che significa: via le caldaie a gas e dentro le pompe di calore) e gli edifici residenziali esistenti dovranno ridurre i consumi del 16 per cento (dal 2035 del 20 per cento); andrà inoltre ristrutturato almeno il 16 per cento degli edifici (dal 2033 il 26 per cento), partendo da quelli più inefficienti. L’obiettivo sintetico di questo pezzo del puzzle è avere un parco residenziale a zero emissioni entro il 2050.

Grandi ambizioni, mezzi inadeguati

Ha senso tutto questo? Funzionerà? Certamente va registrato come dato positivo il fatto che, diversamente dalla proposta originaria, la direttiva approvata non impone livelli di certificazione energetica, e che diverse deroghe possono essere previste dai paesi membri (per centri storici, luoghi di culto, seconde case poco utilizzate e i piccoli immobili sotto i 50 metri quadrati). Ma poco cambia nella sostanza.

Sul tema delle ristrutturazioni, ad esempio, da Bruxelles continuano a fissare obiettivi senza preoccuparsi di come raggiungerli. In Italia ci sono più di 20 milioni di abitazioni in classe energetica G e F: chi pagherà queste ristrutturazioni? Qualcuno ha fatto una stima di quali sono i costi per efficientare edifici privati? E chi sosterrebbe queste spese? Non ci vuole un indovino per intuire che si tratterà di spesa pubblica e quindi di nuove tasse. Dare vincoli temporali stretti non fa che drogare il mercato perché, per poterli rispettare, gli Stati membri non hanno scelta: devono mettere sul piatto grossi incentivi. Nel recepimento di questa direttiva sarà fondamentale fare un’analisi costi/benefici, soprattutto rispetto all’impatto reale che tutto questo avrebbe sulla riduzione delle emissioni.

L’utopia delle case a emissioni zero

Ma fin qui, tutto potrebbe anche avere un senso (una volta ritenuti praticabili i costi), perché non c’è alcun dubbio che il modo migliore per ridurre le emissioni (e anche le bollette!) è quello di ridurre i consumi di energia. Ciò che invece fa sorridere è l’idea del parco residenziale a emissioni zero. Come se per realizzarla bastasse mettere pannelli fotovoltaici sui tetti e sostituire le caldaie a gas con le pompe di calore. Si continua ad ignorare che anche le pompe di calore hanno bisogno di energia per scaldare, e che questa energia, una volta che il sole tramonta, può arrivare soltanto da fonti programmabili, che ad oggi, soprattutto in Italia, sono rappresentate quasi esclusivamente dalle centrali a gas.

Si sta semplicemente spostando la polvere sotto il tappetto: non saranno più gli edifici a emettere CO2, bensì le centrali a gas necessarie per alimentarli. Questa è anche la ragione per la quale la direttiva sulle case green, diversamente da quanto argomentano i suoi sostenitori, non avrà alcun impatto in termini di indipendenza energetica del paese.

Investire sulla ricerca

In conclusione, c’è da registrare che la linea politica della Commissione europea non è cambiata di una virgola in cinque anni. Tutto si può dire su questa Commissione, tranne che non sia stata coerente e determinata nella realizzazione delle politiche annunciate a inizio legislatura: un Green New Deal per rendere l’Europa un continente a emissioni zero.

Si continua a fissare obiettivi da realizzare in tempi ristretti senza preoccuparsi dei costi e dell’esistenza o meno delle tecnologie necessarie per raggiungerli. Ci si dovrebbe muovere in modo diametralmente opposto: favorire la ricerca, la nascita e la verifica di nuove tecnologie, e successivamente dettare tempi di realizzazione degli obiettivi che tutti ragionevolmente potrebbero rispettare. Il rischio, sempre più probabile, è di spendere una montagna di soldi per non cambiare nulla e legare la propria catena del valore a paesi non proprio amici d’infanzia.

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Piergiacomo Sibiano, autore di questo commento, è responsabile affari istituzionali e regolatori di Illumia e vicepresidente di Aiget, associazione di categoria che rappresenta i fornitori di energia e gas del mercato libero. Vicepresidente dell’associazione Lab-Ora, è candidato con Fratelli d’Italia alle prossime elezioni europee nella circoscrizione Italia nord-orientale.

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