Cascioli: «L’eutanasia sarà il nuovo strumento di controllo demografico»

Repubblica commenta i dati Onu sulla demografia mondiale secondo cui nel 2100 supereremo i 100 miliardi. Si legge: «Se anche il pianeta riuscirà a sfamare tutti, se saremo di meno staremo meglio». Riccardo Cascioli, presidente del Cespas, dichiara: «Questa mentalità inaccettabile viene dal pensiero del movimento eugenetico che diede le basi al nazismo»

La Repubblica commenta oggi alcuni dati Onu che prevedono un importante aumento demografico tra oggi, il 2050 e la fine del secolo. E commenta così: «Qualcosa sta girando storto, soprattutto in Africa: le politiche di controllo delle nascite sono nello stallo per motivi ideologici». In un passaggio viene giustifica la politica del figlio unico cinese. Repubblica si dispiace poi del ridimensionamento dei fondi disponibili all’Onu per il controllo delle nascite. Non solo, auspica anche calamità naturali che impediscano alla previsione di avverarsi. Ma la conclusione si spinge anche oltre, svelando la preoccupazione ultima di chi scrive: «Se anche il pianeta riuscirà a sfamare tutti – si legge – se saremo di meno staremo certamente meglio».

Riccardo Cascioli, giornalista, presidente del Cespas (Centro europeo di studi su popolazione, ambiente e sviluppo) e direttore del Dipartimento popolazione, commenta la notizia così: «Siamo ormai al “Forza tsunami”. Le cose che solo 15 anni fa avrebbero fatto scandalo ora vengono pubblicate con una leggerezza che fa impallidire: è perfettamente normale dire apertamente che l’altro è un nemico da eliminare. Questa mentalità inaccettabile discende dal pensiero del movimento eugenetico di fine ‘800 che diede le basi al nazismo. Da qui nasce anche l’ecologismo e il controllo nascite: se tutto deve essere perfetto l’umanità che non risponde a certi canoni è considerata male e d’intralcio all’ecosistema. In una visione simile i migliori (sempre decisi dal potere di turno) devono vivere, gli altri vano eliminati. Questo è il ragionamento eugenetico di base all’articolo di Repubblica».

A parte l’ideologia negativa di fondo, sono credibili i dati Onu pubblicati che dicono che se oggi siamo 7 miliardi, nel 2050 raggiungeremo quota 9,3 per toccare i 10,1 miliardi nel 2100?
Bisogna ridimensionare il valore assoluto che viene loro attribuito. Pertanto va tenuto conto delle condizioni poste al calcolo delle stime. Ad esempio, non si considera che il tasso di fertilità possa cambiare né che si verifichino eventi come guerre, malattie o altro che cambino i fattori in gioco. In realtà è difficile che in lassi di tempo così ampi non accada nulla che alteri i tassi demografici. Bisogna poi tener conto anche dei bias, errori intrinseci, già presenti nel calcolo: i paesi che svolgono un censimento attendibile sono pochissimi. Ricordiamo il censimento italiano 2001 che risultò poi sballato di un milione. Se accade questo in un paese sviluppato, si suppone che il margine di errore possibile in zone dove i censimenti sono difficili da attuare sia ancora più alto. C’è poi un altro fattore che nell’articolo di Repubblica non è contemplato: la popolazione non aumenta solo perché i tassi di fertilità sono alti, ma pure per l’allungarsi dell’attesa di vita. Ad esempio in Africa la popolazione sta crescendo anche peché gli anziani sono di più. E’ orribile a dirsi ma non si può nascondere che, dopo le campagne abortiste, con l’aumento dell’attesa di vita si spinga all’introduzione dell’eutanasia come nuova politica di controllo demografico.

Fatto sta che nello Yemen la popolazione si è quintuplicata in 50 anni e a fine secolo si moltiplicherà per quattro: da 25 passerà a 100 milioni di abitanti. Il Malawi che ne ha solo 15 milioni, sfiorerà i 130. Mentre i tassi più bassi si registrano in Occidente. Come mai dove c’è opulenza i tassi di natalità sono bassissimi, mentre nei paesi più poveri si fanno sempre più figli?
Questo fenomeno è naturale. Quando c’è sottosviluppo il figlio è sempre una risorsa economica, mentre in una zona ricca il bambino diventa un costo. Quindi, se non hai buone ragioni per metterlo al mondo, istintivamente sei portato a farne meno. Ma proprio questo dimostra che distribuire preservativi è inutile. Basterebbe aiutare lo sviluppo sia materiale che culturale dei paesi: si riequilibrerebbero le cose e tutti ne trarrebbero vantaggio, senza violare né i diritti umani né il desiderio di mettere al mondo figli. Resta comunque che le previsioni sopra menzionate sono opinabili.

Repubblica si augura che venga posto un freno al tasso di natalità mondiale, seguendo la teoria malthusiana secondo cui il pianeta non è in grado di produrre risorse per sfamare tutti. E’ davvero così o semplicemente i beni sono mal distribuiti?
Il mio libro, I padroni del pianeta, dimostra esattamente il contrario: le risorse non stanno finendo. Storicamente i beni disponibili non sono mai dipesi solo dalla natura, ma anche dalla capacità umane di sfruttarla: il petrolio prima era considerato un danno per il pianeta, ora che si sa come usarlo è diventato un bene preziosissimo. Questo dice che il problema non sta mai nella mancanza di risorse, ma nella creatività e libertà umane. Un esempio: qualche anno fa la preoccupazione per il rame in esaurimento ci ha spinto a usare l’ingegno. Dovevamo trovare un rimedio. Così siamo riusciti a sostituirlo con il silicio che produce le fibre ottiche su cui oggi viaggiano le trasmissioni dei dati. Quindi, ciò che non sembrava rimpiazzabile oggi lo è. Anzi, abbiamo scoperto un bene più economico, più efficiente e senza problemi di disponibilità. Significa che le risorse invece che diminuire sono cresciute. Questo dice che l’aumento della popolazione e del bisogno sono fattori positivi, spinte per trovare nuove strade.

D’accordo ma ci vuole un uomo che sia in grado di usare l’ingenio. Parte dell’Africa, ad esempio, è povera non per mancanza di risorse ma perché le capacità umane sono poco valorizzate.
Certo, ma la cultura malthusiana, che vede l’uomo come negativo e non investe sulle sue capacità, non fa altro che peggiorare la situazione. E’ questo pensiero che aumenta la povertà culturale e quindi rende scarse le risorse che non lo sarebbero. Colpisce come anche dopo 200 anni, in cui la realtà ha sempre smentito positivamente l’ideologia malthusiana, si continui comunque a preferire il catastrofismo a cui viene piegato l’uomo e il pianeta, di per sé produttivi ma resi così infruttuosi.

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