Cambogia, buco nero degli aiuti

Capitalizzando l'orrore suscitato dai crimini dei khmer rossi, da vent'anni Hun Sen, ex khmer rosso e amico dei vietnamiti, sfrutta senza ritegno la solidarietà internazionale verso la Cambogia

Dopo dieci anni di fallimenti e di riforme inefficaci, la Cambogia si trova in fondo all’abisso dal punto di vista politico, economico e sociale. Dopo più di dieci anni di aiuto internazionale, stimato a 2 miliardi di dollari Usa, la Cambogia continua a restare uno dei paesi più poveri al mondo.
Secondo uno studio della Banca mondiale, pubblicato nell’aprile 2004, circa il 43% della popolazione vive oggi sotto la soglia della povertà, con meno di un dollaro al giorno, mentre nel 1992 era il 38%. E non è tutto! Questo dato allarmante dovrebbe salire al 45% nel 2005. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, la mortalità infantile è cresciuta dal 115 per mille del 1990 al 138 per mille del 2001. Il governo destina a malapena circa 3 dollari all’anno per abitante al budget della sanità. Più del 50% della popolazione, soprattutto i giovani, è disoccupata.
Ogni anno, più di 300mila giovani entrano nel mercato del lavoro, ma solo uno su dieci riesce a trovare un impiego. Inoltre coloro che cercano un lavoro sono in balìa della corruzione e sono pronti a spendere un patrimonio in bustarelle per ottenere un posto.

Record mondiale di membri del governo
Parallelamente a questa situazione disastrosa, la Cambogia sta per battere il record mondiale del numero di membri del governo. Il nuovo gabinetto di Hun Sen conta più di 330 fra ministri, segretari di Stato e sottosegretari. Secondo il settimanale francese l’Express, questi portafogli ministeriali sono messi all’asta per denaro. Per una carica da sottosegretario, per esempio, sono necessari 100mila dollari. La Cambogia è uno dei paesi più corrotti del pianeta. Un rapporto informale della Banca mondiale informa che le bustarelle sono due volte più elevate in Cambogia che in Bangladesh, paese indicato tuttavia come il più corrotto del mondo.
Il settore delle imprese tessili rappresenta ben i quattro quinti delle esportazioni ufficiali del paese, pur dando impiego solo al 9% della popolazione. La Cambogia sta per diventare membro dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc), e proprio il settore tessile, di primaria importanza per il paese, sarà presto esposto alla competizione internazionale con l’eliminazione delle quote americane all’inizio del 2005. Quanto alle altre industrie della Cambogia, esse arrivano a malapena a tenersi a galla. La Banca mondiale colloca la produttività delle imprese e dei lavoratori cambogiani molto dietro a quella di Cina, India, Pakistan e Bangladesh.
Sempre secondo questo studio, le imprese private collocano la corruzione al primo posto nella lista dei problemi. Il sistema giudiziario e le dogane sono le amministrazioni più additate. Il 71% delle grandi imprese private interrogate avrebbero dichiarato di pagare “frequentemente” bustarelle, che costituirebbero più del 5% del loro giro d’affari. Una proporzione due volte più elevata di quella registrata presso le imprese che si trovano in Pakistan, in Bangladesh, o in Cina.
A questo vanno aggiunti gli ostacoli che limitano gli scambi e la concorrenza. I tempi burocratici per la creazione di un’impresa sono tra i più lunghi del Sud-Est asiatico: 94 giorni, contro i 42 nella vicina Thailandia. Il numero delle ispezioni governative è straordinariamente elevato, in media 16 all’anno, cosa che scoraggia anche gli investitori. Infine, le procedure laboriose in materia di import-export, la quantità di documenti da compilare e le bustarelle da versare alla frontiera per accelerare il passaggio, contribuiscono a mettere in fuga gli investitori e a rallentare gli scambi. Si capisce dunque perché l’investimento estero è passato da 220 milioni di dollari nel 1998, a meno di 50 milioni di dollari nel 2002.

Mai nessuno condannato per corruzione
Gli oltre 2 miliardi di dollari versati alla Cambogia dalla comunità internazionale a partire dal 1993 rappresentano una somma colossale per un paese di 12 milioni di abitanti. Tuttavia questo aiuto non è mai giunto a destinazione, ma è stato spartito tra i vecchi “apparatchiks” al potere, convertiti in quadri “liberali” e “mafiosi”. Essi sono riusciti a trasformare il sistema comunista esistente in modo da sfruttare le risorse naturali, in particolare il legname. Più della metà della foresta cambogiana è decimata. Hun Sen, il primo ministro, controlla tutti gli ingranaggi del potere: esecutivo, legislativo e giudiziario. La Cambogia non è affatto uno Stato di diritto. È una democrazia solo di facciata, afferma il capo dell’opposizione, Sam Rainsy. Mai nessuno è stato condannato per corruzione.
Il primo ministro Hun Sen ha dichiarato “guerra alla corruzione” il 9 settembre scorso in presenza delle istituzioni e dei paesi creditori, in occasione della riunione preparatoria a quella del gruppo consultivo di dicembre, che deve stabilire l’ammontare dell’aiuto internazionale destinato alla Cambogia nel 2005. «L’aiuto dei creditori deve essere chiaramente condizionato alla pertinenza degli sforzi riformisti della Cambogia», ha dichiarato il rappresentante della Banca mondiale in questa occasione.
È davvero sincero Hun Sen quando dichiara guerra alla corruzione? La società civile e l’opposizione sono scettici. Infatti da più di 20 anni Hun Sen è solo al governo della Cambogia. Ciò nonostante, in una Cambogia ridotta al tracollo totale come una banca che ha subìto una grossa rapina proprio per mano del suo direttore, Hun Sen pensa di aver dimostrato che resta l’uomo forte indispensabile al paese. In una dichiarazione che trasuda narcisismo e malafede, Hun Sen vede la Cambogia ad un punto di svolta della sua storia: «Il fallimento o la vittoria dipenderà dalla guerra riformista, e la battaglia contro la corruzione è il primo passo verso questo obiettivo». È d’obbligo constatare che fino ad ora la guerra contro la corruzione è solo flatus vocis. Al contrario, la guerra contro l’opposizione prosegue ininterrottamente. Certo, la corruzione esisteva anche ai tempi del principe Sihanouk e a quelli del generale Lon Nol, ma essa non ha mai raggiunto la portata che conosciamo oggi. Senza un intervento chirurgico al cuore stesso del potere politico, la nuova coalizione Hun Sen-Ranariddh resterà ciò che è sempre stata, ossia un’associazione di malfattori. Certo, entrambi oggi non fanno che giurare “guerra alla corruzione”, ben sapendo che questa è la parola d’ordine per ottenere i crediti della comunità internazionale. Alcuni si domandano perché una persona che causa tanto male al suo paese si ostini tuttora a credersi indispensabile, tanto da ritenersi l’unica in grado di lottare contro la corruzione. L’ambizione non costituisce di per sé un difetto. Ma in politica si possono distinguere due tipi di ambiziosi: quelli che vogliono il potere per realizzare un’opera e quelli che vogliono il potere per il potere (io ci sono, io ci resto!). Hun Sen appartiene a questa seconda categoria. Peraltro, esiste nell’entourage di Hun Sen un gruppo di persone esperte nell’arte di chiamare in causa Francia e Giappone – due dei principali paesi donatori – ogni volta che Phnom Penh necessita di un aiuto per neutralizzare le reticenze e i sospetti della comunità internazionale. D’altronde, nessuno è stupido al punto da farsi convincere dell’arrivo di un nuovo Hun Sen. Kem Sokha, presidente del Centro per i diritti dell’uomo, afferma che «alcuni all’interno del partito al potere vorrebbero introdurre della riforme. Ma anche supponendo che pure Hun Sen lo desideri, egli non ha più i mezzi per agire, perché è troppo compromesso. Se egli riforma la giustizia, sarà messo sotto accusa, mentre se tocca i militari, essi apriranno il vaso di Pandora del golpe del 1997. Si è legato le mani da solo». Perciò se Hun Sen è sincero assisteremo per la prima volta nella storia dell’umanità al caso di uomo corrotto che crea un tribunale in grado di condannarlo. La sola speranza che sussiste per la Cambogia risiede nelle pressioni della Banca mondiale e di paesi donatori come Francia e Giappone. Fino ad oggi, più questi elargiscono, più il popolo cambogiano si impoverisce, come mostrano le statistiche della Banca mondiale. Ma non è troppo tardi per correggere il tiro. La Cambogia non può sopravvivere senza l’aiuto internazionale dal momento che esso rappresenta più della metà del suo budget. La comunità internazionale deve dunque assumersi le sue responsabilità, ponendo senza mezzi termini condizioni relative ai diritti umani e alla lotta contro la corruzione in cambio della concessione degli aiuti.

Imporre condizioni in cambio di altri aiuti
Fino a questo momento, il nuovo governo non ha ancora preso nessun provvedimento per lottare contro povertà e corruzione. Uno Stato corrotto potrebbe trasformarsi in uno Stato di diritto, se l’equilibrio e il controllo reciproco dei poteri svolgessero pienamente le loro funzioni. Ora, i due partiti al potere si sono accordati il mese scorso per escludere i deputati dell’opposizione dalle nuove commissioni dell’Assemblea nazionale. Questa esclusione è una risposta del potere all’atteggiamento dell’opposizione parlamentare riguardo alla procedure di formazione del governo attuale.
La Cambogia è senza dubbio uno dei paesi che ha più usufruito di aiuti internazionali. Perché allora l’economia cambogiana è ferma ad un punto morto? Perché i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri? Le risposte sono evidenti. La Cambogia è stata aiutata male. L’aiuto non arriva mai a coloro che hanno bisogno, ai contadini senza terra, ai disoccupati, o agli affamati, ma arriva dritto nelle tasche della classe politica e burocratica. Per denunciare l’ideologia terzomondista in voga negli anni Sessanta Raymond Cartier ha forgiato una formula che resta valida: «Gli aiuti allo sviluppo consistono nel prendere i soldi dei poveri dei paesi ricchi per darli ai ricchi dei paesi poveri». Nessuno ignora che il popolo cambogiano desidera un cambiamento. Imponendo al nuovo governo di assumersi le sue responsabilità, la comunità internazionale muove i primi passi nella giusta direzione: solo contro e dopo questo governo, la Cambogia potrà intraprendere la via del progresso economico e sociale.

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