Come è cambiato il vento nelle periferie di Milano

Degrado, strisce blu, mezzi pubblici. Ecco tutte le piccole (enormi) questioni che hanno spinto la maggioranza dei municipi della città a scaricare Pisapia e le sue promesse tradite

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)

Nel 2011 il vento della “rivoluzione” arancione travolse inaspettatamente Milano, portando a Palazzo Marino Giuliano Pisapia. Anche alle elezioni per i presidenti e i consiglieri di zona non ci fu partita. Tutti e nove i municipi del comune meneghino finirono al centrosinistra, un risultato che faceva ben sperare i cittadini, soprattutto quelli delle periferie, ai quali Pisapia aveva promesso una maggiore attenzione rispetto al passato. Fu una campagna elettorale, quella del sindaco arancione, diametralmente opposta rispetto alle classiche adunate di piazza organizzate dal centrodestra. Il vento nuovo che soffiava su Milano era spinto da internet, Facebook e Twitter, dove ogni giorno si raccontava di «luoghi, persone, sentimenti, emozioni» incontrati. Dove le parole chiave più utilizzate erano state «trasparenza», «democrazia», «partecipazione». E poi «l’aria sarà più pulita; respireremo più cultura; ci sarà più ossigeno per economia e lavoro; spostarsi sarà più facile».

Parole che si possono ancora leggere sul sito nato durante la campagna elettorale del 2011 che lo staff di Pisapia aveva tenuto costantemente aggiornato come un vero diario di bordo. Parole che tuttavia sembrano essere rimaste lì, nell’etere inconsistente dei social network. Non sono bastate le domeniche in bicicletta a pulire l’aria di Milano, oltre al fatto che le iniziative ecologiche promosse dal Comune come “Domenicaaspasso” costavano mediamente 250 mila euro; i mezzi pubblici, nonostante l’apertura della nuova metropolitana lilla, hanno subìto modifiche di percorsi che hanno complicato la vita dei cittadini anziché favorirla; per quanto riguarda l’ossigeno per economia e lavoro: nel 2010, durante il mandato di Letizia Moratti, l’addizionale Irpef ammontava a 0. Con la rivoluzione arancione si è verificato un aumento del 450 per cento e al 2014 i milanesi pagavano ben 143 euro a testa, neonati compresi. Nel quinquennio dell’amministrazione Pisapia 9 mila imprese hanno abbandonato Milano, 20 mila attività commerciali hanno abbassato le serrande. Le strisce blu dei parcheggi a pagamento sono comparse addirittura nelle estreme periferie. Per non parlare delle multe: a Milano ne viene staccata una ogni 9 secondi, e solo nei primi nove mesi del 2015 si erano accumulati verbali d’infrazione per la stratosferica cifra di 380 milioni di euro. L’ultimo dato disponibile relativo al numero delle contravvenzioni riguarda il 2014 e indica un totale di 3,4 milioni di multe, quasi tre a testa per ogni residente meneghino, neonati e ultranovantenni compresi.

Parole, parole, parole. I quartieri sono stati considerati bacini di voti di cui ci si è ricordati solo in campagna elettorale, sono stati conquistati con tante promesse e traditi dalla realtà dei fatti. E i cittadini se la sono legata al dito, almeno così fanno pensare i risultati dello scorso 5 giugno. Nel 2011 Pisapia chiuse il primo turno con un 48,04 per cento che nel 2016 si è trasformato nel 41,69 per cento di Beppe Sala. Ma a fare riflettere sono anche gli esiti raggiunti nei diversi municipi: dal nove a zero del 2011 al cinque a quattro per il centrodestra di due domeniche fa.

Partita riaperta
Il consiglio di zona è come uno sportello di front office delle grandi aziende. È l’ente pubblico più vicino al cittadino: se qualcosa non funziona è più facile andare a bussare alla casa del consigliere di zona e dirgliene di tutti i colori piuttosto che scrivere una mail al Comune che probabilmente non verrà mai letta. Chi è stato eletto nei vari municipi sa bene che sarà il parafulmine di ogni lamentela. E sa che il compenso economico per questo impiego non sarà mai abbastanza per ripagare tutte le volte che il passante di turno gli darà del “pirla” perché il cestino della spazzatura è pieno e la sporcizia è ammucchiata tutta intorno.

Evidentemente durante l’amministrazione Pisapia qualcosa non ha funzionato se il centrosinistra ha perso 5 periferie della città. Al centrodestra sono passati il municipio 2 (Greco-Padova), il 4 (Vittoria-Vigentina), il 5 (Ticinese-Gratosoglio), il 7 (Baggio-Forze Armate). E persino il municipio 9 ha cambiato colore: ora anche l’ex Stalingrado milanese non guarda più a sinistra, perché la sinistra ha deluso sulle piccole questioni che in un quartiere diventano grandi, determinanti. La modifica dei tracciati di autobus e tram, uffici comunali chiusi o spostati, i tombini che non pescano l’acqua, il degrado di alcuni spazi verdi, la sporcizia per le strade. Persino le piste ciclabili: erano un cavallo di battaglia del sindaco uscente, aveva promesso chilometri e chilometri di tracciati. Non tutti sono stati realizzati, e quelli portati a termine «sono stati fatti con poco criterio: non c’è cosa più pericolosa della ciclabile di viale Stelvio, senza alcuna protezione che delimiti la strada carrabile dalla ciclabile».

A parlare è Deborah Giovanati, 32 anni, mamma di tre figli e moglie di Paolo. Abita nel quartiere Niguarda e ha deciso di candidarsi per la prima volta quest’anno. Il risultato è stato lusinghiero: 634 preferenze, la donna più votata tra tutti i consiglieri di tutte le zone e di tutti i partiti. A Milano nessuno ha fatto meglio di lei. «È mancata l’attenzione fondamentale alle piccole cose: ho in mente la manutenzione delle strade, ci sono voragini a ridosso dei binari della linea del tram 4; alcune scuole sono fatiscenti; per non parlare della questione Seveso». Effettivamente, ancora oggi, basta una pioggia abbondante per mettere in ginocchio un quartiere e in panne l’intera città, con la metropolitana verde bloccata e i mezzi di superficie costretti a rallentamenti e cambi di percorso. «Certo è un problema complesso e chiunque sarà chiamato ad affrontarlo non avrà un compito facile. Ma in cinque anni non è cambiato nulla».

La candidata più votata
Giovanati ha fatto campagna elettorale spingendo il passeggino, incontrando persone nei parchi che frequenta quotidianamente con i figli, nei mercati della zona, al supermercato. Un tema ricorrente nei dialoghi con i cittadini della sua zona è quello della sicurezza. I cittadini vogliono telecamere in punti precisi, più illuminazione, vigili di quartiere. Chiedono più sicurezza, a Niguarda in particolare. Nel 2013, dopo aver passato la notte in villa Trotti, un edificio abbandonato e solo di recente transennato e messo in sicurezza, il ghanese Kabobo prese a picconate, ammazzandoli, tre passanti.

Ma per fare servono risorse economiche e se queste mancano è difficile cambiare l’andazzo. Lady Niguarda non si placa nemmeno davanti a questa obiezione: «I soldi saranno stati pochi, ma certamente sono stati usati male. È mancata intelligenza nel fare le cose, e le esigenze dei cittadini non sono state prese in considerazione: davanti all’ospedale Niguarda ci sono solo parcheggi a pagamento, le strisce blu sono anche davanti al Pronto soccorso, che non si può raggiungere in altro modo visto che nessun mezzo pubblico ci arriva davanti». Il problema dei parcheggi a pagamento è quello più sentito: «Sono ovunque. I commercianti che non sono residenti ma lavorano qui sono costretti a pagare tutti i giorni; i meccanici della zona che non hanno le autorimesse devono aumentare le loro fatture per coprire la spesa del parcheggio delle auto dei clienti».

Quante promesse non mantenute
Di quartiere in quartiere, il ritornello è sempre lo stesso: tante promesse, pochi fatti. Nel municipio 2, ad esempio, i cittadini speravano che via Padova diventasse la nuova Brooklyn. Operazione fallita, il progetto di integrazione multietnico praticamente non è partito, o almeno nessuno se ne è accorto. Gli italiani della zona è come se vivessero in terra straniera. Un problema che gli azzurri eletti nel nuovo consiglio di zona affronteranno con progetti di housing sociale, mix abitativi che impediscano la nascita di nuovi ghetti e rendano la zona più viva sotto tutti i punti di vista. «Si partirà dalla valorizzazione delle associazioni locali che possono aiutare concretamente la vita del quartiere e degli spazi verdi comuni. Non basta il bel parchetto, bisogna saperlo gestire, renderlo vivibile e fruibile», spiega il candidato di zona Filippo Parolin.

«Per cinque anni si sono imposte soluzioni, senza ascoltare i cittadini. Chi ascolta, invece, è disposto a rimettere in discussione le proprie idee. Non è avvenuto e perciò si è lavorato male», spiega Alessandro Bramati, nuovo presidente del municipio 5, che insiste: «La sicurezza è un aspetto che certamente non possiamo gestire noi, ma il consiglio di zona può pretendere che vengano riattivati i presìdi della polizia territoriale, il famoso vigile di quartiere che è scomparso. Il municipio di zona deve fare da coesione per tutta la realtà territoriale e rapportarsi poi con il Comune».

Concorda con Bramati anche Massimo Casiraghi, eletto nel consiglio di zona 4. «Siamo come una cinghia di trasmissione che recepisce le questioni a livello territoriale e le porta al centro. Nei cinque anni di Pisapia è stato tutto il contrario, dal Comune venivano prese decisioni per il quartiere e non c’è mai stata possibilità di discussione. Il compito dei consiglieri di zona è stato quello di fare calare dall’alto le decisioni della giunta e farle digerire al quartiere».

Con la riforma delle municipalità, i consigli di zona sono diventati dei piccoli comuni, con delle competenze in più rispetto al passato, ma ci vorrà sicuramente tempo per mettere a regime tutte le novità. Una cosa, purtroppo, è certa: «Non abbiamo un bilancio nostro, i fondi dipendono sempre da quanto il Comune deciderà di stanziare per ogni zona». È anche per questo che è fondamentale la vittoria di Parisi, per non rischiare che ancora una volta le periferie siano abbandonate, come accaduto in questi ultimi cinque anni. «Ed è per questo che la campagna elettorale non si è conclusa il 4 giugno scorso», conclude Casiraghi. «Basta stare affacciati al balcone, occorre scendere in strada per vivere e condividere i problemi del quartiere, per convincere ancora più gente a votare Parisi sindaco di Milano».

@daniguarne

Foto Ansa

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