Benedette ingerenze. Non c’è democrazia senza laicità, non c’è laicità senza democrazia

Ernesto Galli Della Loggia e don Francesco Ventorino si confrontano su Chiesa e Stato, fede e ragione, limiti della tecnoscienza (e abolizione del Concordato)

Giuseppe Di Fazio, moderatore
Prendo spunto proprio da un articolo scritto dal professor Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere della Sera: «Basta dare un’occhiata, anche distratta, agli scaffali di una libreria per accorgersi della moltiplicazione negli ultimi anni dei libri che in un modo o nell’altro manifestano un atteggiamento polemico nei confronti della sfera religiosa e della Chiesa cattolica in modo particolare». È un dato di una certa evidenza. È altrettanto evidente che l’anticlericalismo o il laicismo anticattolico non costituiscono un fatto nuovo nella storia d’Italia. Oggi questa ripresa di ostilità o questa critica nei confronti della presenza pubblica della Chiesa nella società italiana come si spiega? Ha tratti peculiari rispetto al laicismo o all’anticlericalismo di dieci, venti, trenta anni fa o del secolo scorso?

Ernesto Galli Della Loggia
Sì. Questa evidente ripresa di attenzione critica, per usare un’espressione un po’ dolce, nei confronti della religione, della Chiesa, del ruolo pubblico dell’una e dell’altra, particolarmente evidente in Italia, ma forse non solo, credo che si spieghi con la combinazione di cose antiche e di cose invece molto nuove. C’è uno sfondo antico, uno sfondo di tradizionale, storica ostilità di una parte significativa degli ambienti intellettuali italiani, soprattutto al ruolo della Chiesa in generale, per il ruolo storico che essa ha rappresentato politicamente in Italia nel corso dei secoli, dato che, appunto, la presenza dello Stato della Chiesa ha impedito la costituzione dello Stato nazionale e in qualche modo la presenza della statualità è stata sostituita da una presenza dell’organizzazione religiosa. E tutto questo ha favorito, come si sa, un orientamento che, a partire da Dante fino ai giorni nostri, non ha predisposto la storia intellettuale italiana a vedere in maniera particolarmente positiva la presenza religiosa nella vita nazionale. Però questo sfondo spiega alcune premesse: credo che ci siano state delle cose nuove, che siano all’opera delle cose nuove che riguardano il ruolo fortissimo della Chiesa.
L’Italia è un paese in cui c’è stata una fortissima diffusione di ideologie politiche; è uno dei paesi dell’Europa occidentale in cui c’è stata più forte la presenza della politica e di ideologie politiche di massa che avevano un carattere quasi religioso. Queste ideologie sono venute meno in Italia lasciando un grande vuoto di valori, un grande vuoto di motivazioni, di quella che era la principale caratteristica di queste ideologie e cioè il loro riferimento sociale. Erano ideologie che collocavano nella società, nei patti sociali, la ragion d’essere della vita politica, il progresso politico e sociale era visto come un progresso appunto con caratteristiche collettive e con un forte riferimento all’azione dello Stato che doveva essere il garante, il promotore di questo progresso. Tutto questo è stato cancellato, o almeno messo in grandissima crisi, dalla storia, non soltanto in Italia ma in tutto il mondo, dalla fine del comunismo, dalla fine della fiducia nell’azione dello Stato. In particolare gli effetti si sono fatti sentire in Italia dove queste ideologie erano particolarmente forti. S’è creato un grande vuoto, ed è tornato d’attualità, all’ordine del giorno, il problema dell’individuo; non essendoci più questi riferimenti sociali e politici di segno collettivo forte è ritornato all’ordine del giorno il problema dell’individuo, dei suoi valori, della costruzione dell’individualità, della soggettività. è a questo punto che questo vuoto dominato da questo interrogativo, da questa problematicità la cui soluzione era svanita, questo vuoto è stato riempito, è oggettivamente riempito, da due alternative, da due grandi risposte che si presentano oggettivamente.
La prima è la scienza. La scienza si presenta come la nuova rappresentanza del progresso: il progresso non ha più un disegno politico-sociale dominato dall’intervento di questa o quella forza politica alla guida dello Stato, com’è accaduto per decenni nella nostra storia del Novecento. Il progresso non è più considerato da nessuno come qualche cosa che possa essere assicurato da un’ideologia, da un partito, da un assetto sociale, da un assetto di proprietà. La scienza si presenta come l’unico ambito garante veramente di un progresso effettivo, soprattutto perché la scienza ha fatto negli ultimi quindici-vent’anni un salto di qualità notevolissimo, grazie soprattutto alla bioingegneria, alle scoperte riguardanti la genetica.
La scienza ha aperto delle possibilità concrete alla nostra volontà, la più individuale, la più intima. Prima la scienza poteva scoprire le automobili, gli aerei: la nostra soggettività era certamente molto aiutata, ma non nella maniera così intima, penetrante e ai confini quasi del fantascientifico in cui invece oggi la scienza e le sue scoperte si collocano e ci collocano. L’idea, in qualche modo, che noi attraverso la scienza possiamo plasmare a nostro piacimento la nostra progenie, rappresenta una possibilità di espansione, di attuazione della nostra soggettività individuale che è del tutto nuova.
La seconda prospettiva è quella della religione, che è il presidio tradizionale della costruzione della soggettività nelle culture di tutto il mondo. Il significato dell’individuo è dato dal suo rapporto con la trascendenza: questo, poi, in ultimo significa la religione, la dimensione religiosa, dimensione che nel vuoto ideologico attuale torna ad avere il suo significato, il suo appeal, la sua attrazione.
Mi sembra che dietro la questione della laicità si nascondano due grandissimi temi che oggi sono all’ordine del giorno: uno è il significato che noi dobbiamo dare alla dimensione della naturalità, l’altro riguarda i confini dell’individualità, dell’arbitrio e della volontà individuale. La nostra libertà, il nostro arbitrio, la nostra volizione individuale, devono avere dei limiti al di fuori di noi stessi o no? Secondo: in che modo bisogna intendere il rapporto con la natura, non soltanto nostro individuale ma un po’ di tutta la nostra organizzazione sociale? La natura rappresenta un vincolo, un limite? Abbiamo bisogno di interrogarci sul fatto se una cosa è naturale o no, oppure possiamo, invece, saltare a piè pari questo problema e avventurarci al di là di ciò che tradizionalmente abbiamo considerato naturale?
Questi sono i due grandi temi che la parola laicità copre molto malamente, è una parola del gergo storico-politico tradizionale che conosciamo ma che, secondo me, tende più a nascondere i problemi che a farli emergere per quello che sono realmente, e i due problemi, i due temi che noi ci troviamo davanti sono appunto questi: il vincolo della naturalità, che vuol dire anche se esiste il diritto naturale o no, e i confini, il limite della individualità, della volontà individuale, del nostro arbitrio, chiamiamolo con una parola che tecnicamente è quella adeguata: l’arbitrio individuale. Possiamo scegliere tutto ciò che si può fare oppure no?
A me pare che la laicità non c’entri niente, cioè la modalità con cui era intesa nei vecchi termini: lo Stato, la Chiesa. Mi pare così ovvio che ormai siamo tutti d’accordo che non ci deve essere lo Stato che impone religioni, non ci devono essere religioni che si fanno forti della tutela particolare dello Stato. Siamo tutti d’accordo, tutte le ingerenze che vengono denunciate io non le riesco a capire.

Francesco Ventorino
Mi colloco sulla scia delle riflessioni avviate dal professor Galli Della Loggia. Penso che viviamo un momento particolare, come è risultato dalla sua diagnosi, in cui l’uomo si sente “sfidato” sulla possibilità di costruirsi come “uomo senza Dio”: è possibile che l’uomo si costruisca, progredisca come uomo facendo a meno di Dio? Ora, in questo momento storico, soprattutto con gli ultimi due Pontefici che abbiamo avuto, è come se la Chiesa avesse lanciato questa sfida. Addirittura il papa Benedetto XVI, qualche giorno prima di essere eletto al soglio di Pietro, a Subiaco ha detto: «Se anche i laici non provano a vivere come se Dio ci fosse, l’uomo, la società, non avrà un sostegno e un criterio di cui ha urgentemente bisogno». Di fronte a questa sfida, nella società che ci è più vicina, la società italiana, ci sono stati due modi di reagire anche da parte del mondo laico: ci sono stati dei laici che hanno invitato la Chiesa e il Papa a difendere come un fondamento assoluto quei valori che sono necessari per costruire una società umana; e ci sono stati dei laici che, all’opposto, sono divenuti arrogantemente avversi a quella che hanno chiamato una “ingerenza” in questioni che riguardano proprio l’essenzialità della fondazione della possibilità della vita sociale come vita umana. Condivido le osservazioni da cui è partito il Galli Della Loggia e dico che è spiegabile questa recrudescenza di atteggiamento critico o di ostilità nei confronti della Chiesa, perché si gioca una questione decisiva: se l’uomo può fare da solo, che è quella posizione che l’uomo ha assunto dall’Illuminismo, da quando, per usare le parole di Benedetto XVI, ha detto: «Proviamo a vivere come se Dio non ci fosse. Se proviamo a vivere come se Dio non ci fosse costruiremo una società più umana, più libera, una società nella pace». In questo momento la sfida illuministica mostra tutta la sua debolezza, al punto che consente a un cardinale, che poi diventa Papa, di rovesciare i termini della proposta e dire: «Provate a vivere come se Dio ci fosse, chissà che non troviate quel fondamento, quel sostegno e criterio di cui avete bisogno» per affrontare le questioni che sono emerse proprio alla fine dell’intervento del professore Galli Della Loggia.
Viviamo un momento apocalittico, perché la sfida è sull’uomo, sulla possibilità di costruire una società umana senza Dio o se è necessario riconoscere Dio (per Dio si intende tutto ciò che è sottratto all’arbitrio, alla soggettività dell’uomo, per Dio si intende tutto ciò che è assolutamente vero, assolutamente giusto, assolutamente buono). La questione è se si possa costruire una società senza il riconoscimento di questo assoluto.

G. Di Fazio
Professore, può vivere un laico non credente come se Dio ci fosse? E che significa?

E. Galli Della Loggia
Se il cuore, il centro del problema diventa Dio, allora è evidente che immediatamente nasce la oggettiva separazione tra chi ha la grazia di credere in Dio e chi non ce l’ha. Però io credo che questa, forse, sarebbe una linea di separazione che non ci aiuterebbe a fare grandi passi in avanti. Preferisco usare un altro tipo di cartina tornasole, che non è Dio ma è qualcosa che invece può forse rappresentare un terreno di incontro tra chi crede e chi non crede: la verità. Può una società costruirsi senza una tensione alla verità, senza l’idea che nei molti ambiti in cui una società vive, una verità esista, una verità morale, una verità culturale, una verità sociale anche, di modello sociale, una verità che mentre chi crede in Dio penserà di aver già trovato, chi non crede in Dio pensa che tuttavia si debba cercare di trovarla?
Una società che rinunci all’idea di questa ricerca rinuncia non soltanto a stabilire la piena legittimità di questa ricerca, ma anche che si ponga la domanda ogni volta che compie una scelta, se questa scelta avvicini o allontani dalla possibile e probabile verità. Una società così non interroga i credenti sulla loro opinione riguardo la verità. In questo senso, forse, si potrebbe interpretare la parola del Papa, e cioè che non presti la massima attenzione a quella che per una parte della società, quella che crede in Dio, è la verità e non tenga nella debita considerazione questa che è il deposito di verità sociale e storico che una società ha. Nel caso delle nostre società, una società che non tenga in alcun conto la verità dei cristiani, la verità cattolica, ma la consideri una opinione come le altre e non, invece, l’opinione intorno alla quale si è costruita la propria identità storica, e quindi una opinione che in qualche modo coinvolge l’identità di tutti, anche se oggi è soltanto l’opinione dei credenti, a me una società che non sia animata e che pensi di non dover essere animata da questa tensione, da questa ricerca della verità, è una società che non mi piacerebbe abitare.
Ho sentito dal professor Ventorino che ha messo sotto accusa l’Illuminismo: ma, insomma, siamo tutti figli dell’Illuminismo! Bisognerebbe anche pensare “come se l’Illuminismo ci fosse”, perché in realtà c’è per tutti noi, anche per il professor Ventorino. Una tradizione liberale che è nata dall’Illuminismo non ha mai pensato che bisognasse espellere la religione dallo spazio pubblico delle società. Che bisognasse espellere la Chiesa dalla gestione del potere politico sì, ma espellere la Chiesa dalla gestione del potere politico è cosa ben diversa dall’espulsione della religione dallo spazio pubblico. Vorrei ricordare che la costituzione in America, che viene spesso invocata in queste discussioni a proposito e a sproposito, dice che lo Stato e la Chiesa devono essere separate, non la società e la religione, lo Stato e la religione. L’accoglimento, la presenza della prospettiva religiosa, quindi della trascendenza, nel cuore della discussione sociale è un elemento irrinunciabile, soprattutto quando una società, come oggi, è chiamata a decidere di cose che se decise in un certo modo determinano una frattura epocale con ciò che fino adesso è sempre stato. Se noi ammettiamo il matrimonio fra omosessuali, e spero che le mie considerazioni non vengano in nessun modo interpretate come un atteggiamento di disprezzo verso l’omosessualità (che tra l’altro, dal punto di vista storico, è proprio nei paesi cattolici che ha goduto sempre della maggiore tolleranza rispetto a paesi sia protestanti, sia, non ne parliamo, islamici), se decidiamo che il matrimonio si possa estendere anche agli omosessuali, determiniamo oggettivamente non un ampliamento dei diritti ma una rottura gigantesca con tutto il nostro passato culturale, di cui siamo proprietari. è un punto interessante: possiamo disporre a nostro piacimento del passato culturale?
Su questo bisognerebbe anche farsi delle domande. Possiamo far saltare con la dinamite il centro storico di Catania per costruirci uno stadio? No! Le cose antiche, il passato, la storia, vanno tutelate. La storia non è solo un palazzo, una piazza, un monumento, una chiesa o un paesaggio. Il passato è anche una tradizione culturale. In che misura una società è padrona del proprio passato, lo può cambiare e cancellare a proprio piacere? Si dice: “Ma sono sempre accadute delle grandi novità, delle grandi rivoluzioni che hanno cambiato in qualche modo le società e quindi hanno modificato in maniera radicale il passato”. Sì, è vero, però questi eventi che hanno cambiato il profilo delle società e quindi hanno anche cambiato il loro rapporto con il loro passato sono sempre stati, e qui è un’altra grandissima novità dell’oggi, degli eventi che avvenivano “inconsapevolmente” e senza che ci fosse una decisione consapevole.
Oggi, invece, alcuni vorrebbero che questi eventi accadessero inconsapevolmente, cioè: “Ma è la scienza, il progresso che lo determina”. Altri dicono: “No, un attimo, decidiamolo, facciamo un dibattito, vediamo quali sono i pro e i contro”, cioè cercano di introdurre un momento di consapevolezza e di decisione consapevole sottraendo le decisioni al puro farsi delle cose che è determinato da quel fattore che si chiama progresso. Se non ci fossero state delle persone con nome e cognome che hanno compiuto ricerche finanziate da altri signori e da altre società con nome e cognome, la società contemporanea non si troverebbe alle prese con dei problemi che possono cambiare per sempre il nostro profilo, la nostra cultura, la nostra tradizione anche per chi ha interesse per queste cose.
Credo che questo ci obblighi a tenere non aperte ma spalancate le interrogazioni sulla verità. Non è possibile che tutto sia lasciato semplicemente al farsi delle cose. La verità vuol dire anche porsi quella domanda, terribile per chi non crede in Dio, che è la domanda “è giusto o è sbagliato?”. Chi non crede in Dio sente tutta la fragilità delle risposte che può dare, perché sono sempre risposte che non hanno il suffragio, il sigillo, per così dire, della trascendenza, del comando assoluto che la trascendenza trasmette agli uomini; però la domanda “è giusto o è sbagliato?” è una domanda irrinunciabile, se uno non si domanda più se è giusta o sbagliata una cosa, se non si domanda più se è vera o falsa, allora, in un certo senso, è tutto possibile, dipende soltanto se ci sono dei laboratori che in questo momento stanno scoprendo una cosa, se ci sono delle entità interne che determineranno quello che succederà tra dieci o tra venti anni.
Chiedersi “è vero o è falso, è giusto o sbagliato?”, è la base etica ultima della democrazia, della volontà nostra di cittadini, di non delegare queste decisioni, che poi riguarderanno tutti noi, a scienziati, esperti, soloni, professori universitari così come non vogliamo delegare alla Conferenza episcopale italiana. Ma sul fatto che non si debba delegare alla Cei siamo tutti d’accordo, persino, credo, il cardinale Ruini (che suppongo non vorrebbe avere una delega del genere), e, invece, sulle altre cose, sugli altri tipi di deleghe si apre una discussione.

G. Di Fazio
Passo a don Ventorino le due questioni che poneva il professor Galli Della Loggia. La prima riguarda proprio questa idea di laicità, intesa come abitudine a tenere spalancata l’interrogazione sulla verità. Secondo: possiamo disporre a nostro piacimento del nostro passato culturale e della nostra tradizione?

F. Ventorino
La laicità non è possibile senza l’affermazione che una verità ci sia, non che io la possegga, ma che essa ci sia. Per cui è ragionevole interrogarsi su ciò che è giusto, perché se la verità non c’è non è neanche ragionevole interrogarsi su ciò che è giusto. Laicità è possibile se il cammino dell’uomo viene inteso come un andare verso la verità, e su questo ancora sono d’accordo con quanto è stato detto dal professore Galli Della Loggia. Però dobbiamo chiederci: che cosa è accaduto nell’evolversi del pensiero illuministico? È accaduto un radicale distacco, per dirlo con le parole di Benedetto XVI, un radicale distacco di questo pensiero dalle sue radici. Pensate che fiducia aveva l’Illuminismo nella ragione umana, una fiducia incondizionata. Oggi l’uomo contemporaneo, l’uomo che è dentro di noi e che è attorno a noi, è caratterizzato dalla crisi della ragione e questa crisi, accompagnata dalla crescita del potere che l’uomo ha non più sugli aerei, sui treni ma sull’altro uomo, questo genera una situazione apocalittica, veramente drammatica.
Uno degli scrittori più applauditi e più tradotti in tutte le lingue, Umberto Eco, ne Il nome della rosa, dice che il compito di ogni filosofo che vuole essere tale veramente, è quello di fare ridere della verità, di fare ridere la verità, perché l’unica verità è imparare a liberarsi da questa morbosa passione per la verità. In questa prospettiva, come è possibile fondare quei princìpi non negoziabili di cui parlava il Papa e che sono stati ripresi adesso, e che dovrebbero essere a fondamento di uno Stato laico e di una democrazia? Princìpi non negoziabili: perché non negoziabili? Se non c’è una possibilità di verità assoluta, perché poi dichiarare dei princìpi da difendere? La questione è veramente quella della verità. L’enciclica di Benedetto XVI, nel parlare del compito che la Chiesa ha nei confronti della società, e quindi dello Stato, non fa riferimento ai princìpi o ai valori cristiani, dice che il compito che ha la Chiesa è quello di una purificazione della ragione dagli interessi e dal potere, perché l’uomo possa riconoscere con la ragione ciò che è giusto qui e ora e possa realizzarlo. Anche i valori cristiani, in una società laica come la nostra, possono essere difesi solo in quanto vengono proposti in modo che la ragione dell’uomo li riconosca; e possono essere proposti valori che con la ragione possano essere riconosciuti veri, giusti e praticabili. è vero che la battaglia è tutta sulla verità, ed è vero, al tempo stesso, che questa battaglia sulla verità e sui valori e sui princìpi non negoziabili che stanno a fondamento di una società, si gioca in un contesto quanto mai ostile.
Quell’atteggiamento suggerito da Eco non è che sia venuto meno, anzi è l’atteggiamento dominante! Fin quando dici: “Secondo me è così!”, allora ti lasciano dire qualunque cosa, ma quando hai la pretesa di fare vedere che quello che stai affermando si impone anche alla ragione del tuo interlocutore, già questo fa problema.
Mi ha colpito l’affermazione di un filosofo laico, Juergen Habermas, che ha avuto nel 2004 un dialogo col cardinale Ratzinger. Secondo Habermas il problema è che la ragione torni a riflettere sulle proprie radici più profonde così che essa «troverà che essa è originata da una istanza altra, della quale è costretta a riconoscere il fatale potere». Se la ragione, prosegue il filosofo tedesco, non riconoscerà questo perderà il proprio orientamento razionale. Oggi la battaglia non è sulla difesa dei valori cristiani, ma sulla difesa della possibilità della verità, e sulla concezione della ragione come “apertura” e come originata da un criterio, per dirla con le parole di don Luigi Giussani, «un criterio oggettivo, irriducibile alla soggettività dell’individuo, alla soggettività della ragione stessa». Senza questo criterio sarà molto difficile che l’uomo, crescendo nel potere sui suoi simili, possa creare una società che rispetti la verità, che rispetti l’uomo.

E. Galli Della Loggia
Ritornerei al problema della verità, che mi sembra uno dei nodi di questo ragionamento. Noi ci troviamo in una situazione storica in cui si dice: “Sì, è vero, si può anche ammettere che la verità è una cosa importante, però vediamo le cose come stanno: ci sono tante verità, nelle società democratiche ci sono tante verità, le società democratiche sono quelle caratterizzate da tante verità e, naturalmente, da tante ammissibilità di tutte le verità”. E quindi, di fronte alle situazioni dubbie, in cui si scontrano tante verità, non rimane che, concretamente, abbracciare una decisione collettiva, che sia quella di dire che non ci sono verità e che quindi ognuno può fare secondo la sua verità. L’idea che, essendoci tante verità, ognuno può fare quello che pensa sia la verità, questa è, nei fatti, ma anche in linea teorica, far passare una verità, consacrare come verità una decisione che cancella la possibilità per le altre verità di farsi valere. Se io dico: “Tu pensi che non possa essere esteso l’istituto del matrimonio alle coppie omosessuali, ma ci sono molti altri che invece pensano che si possa estendere, allora, in questo conflitto, facciamo che ognuno si regola come vuole e che quindi, se delle coppie omosessuali vogliono sposarsi, possono sposarsi perché loro pensano che la verità è quella”. Già, ma una decisione che apparentemente è salomonica, in realtà cancella la possibilità alle opinioni diverse di affermarsi come verità. In queste questioni, forse, bisognerebbe mettere in campo un principio di precauzione, cioè non prendere decisioni che predeterminino l’impossibilità di prendere decisioni contrarie.

F. Ventorino
Volevo ritornare sul compito della Chiesa in una società laica. Essa rivendica la possibilità che i credenti vivano da credenti e che esprimano la loro fede anche in pubblico, ma credo che una vera democrazia questo dovrebbe consentirlo. La Chiesa, tuttavia, oggi non è osteggiata perché rivendica questo diritto, è osteggiata perché pretende di intervenire sulla questione dell’assetto e del fondamento della società stessa. La Chiesa ha diritto a intervenire sull’assetto e sul fondamento della vita civile? Certo, ma non in quanto propone a tutti dei valori cristiani, ma in quanto propone a tutti delle verità che con la ragione possano essere riconosciute tali, per cui quei princìpi non negoziabili, non vengono osteggiati in quanto la Chiesa li propone come princìpi cristiani, ma vengono osteggiati per la pretesa che la Chiesa ha di proporli in quanto ragionevolmente accettabili da ogni uomo che usi la ragione. è vero che questo mette la Chiesa sul piano di una parità assoluta e totale con tutti gli altri uomini, perché non può giocare la propria “autorità divina”, ma deve giocare unicamente l’autorità o la forza che viene dalla verità della ragione che propone; se quello che propone si impone in modo talmente persuasivo, evidente, da convincere, allora può essere legittimamente proposto per la fondazione di una società laica, ma questo implica una concezione della ragione, una concezione della possibilità della verità, e uno strumento che è il dialogo, un dialogo paziente, infinito, perché non si può mai tagliare il discorso dichiarando l’altro incapace di comprendere o dichiarando l’altro pregiudizialmente incapace di raggiungere quella verità o quel consenso cui io lo convoco.
Quindi, è una concezione della vita civile aperta alla possibilità della verità, aperta alla possibilità che la ragione possa riconoscerla, una concezione della vita civile, che ha una forma dialogica, diciamo, infinita. Difatti, poi, la società deve darsi delle norme, non può aspettare che si raggiunga il consenso universale su certe proposte che la Chiesa stessa fa; a quel punto le norme rifletteranno il livello di consenso comune che è stato raggiunto in questo dialogo, ma è in questa sfida senza inerzie e senza stanchezza, in questa sfida sconfinata alla ragione dell’uomo che oggi è possibile offrire all’uomo una salvezza per l’uomo stesso.

E. Galli Della Loggia
Non possiamo nasconderci che la questione in Italia è influenzata in maniera notevole dal Concordato (io, pur non rifiutandolo in linea di principio, non capisco perché rappresenti un tabù per il punto di vista ufficiale cattolico). Ebbene, il Concordato dà una immagine della Chiesa come un’agenzia di potere che, quando si tratta di alcune questioni, si avvale di un rapporto pattizio giuridico tra potere e potere, quando si tratta di altre questioni invece invoca la propria libertà di parola, così come qualunque ente o cittadino italiano ha. Io non capisco per quale ragione bisogna ancora difendere il Concordato, esso, almeno sulla carta, vincola la libertà della Chiesa, la limita e dal punto di vista giuridico formale, ha ragione chi, con la lente d’ingrandimento, si mette a giudicare se quelle parole dette dal cardinale Ruini rappresentino o no una entrata nella politica, perché, effettivamente, la Chiesa ha sottoscritto una cosa in cui si impegna a non fare politica. Ma perché si deve impegnare a non fare politica? Deve farla! Io voglio che la Chiesa faccia politica, che intervenga, dica che non gli piace quel ministro, che gli piace quel presidente del consiglio, per chi bisogna votare. Oltre tutto, non c’è più nemmeno una motivazione di carattere economico, come è noto, l’otto per mille ce l’hanno gli ebrei, i buddisti, i testimoni di Geova. Basterebbe alla Chiesa firmare con lo Stato una di quelle intese che sono firmate con le altre confessioni, che riguardano, appunto, l’assistenza ai detenuti, l’assistenza negli ospedali… Io non considero scandaloso l’esistenza dei concordati, ne capisco il senso storico, ma, mi domando, come non vedere l’esistenza di questo monstrum giuridico? Monstrum perché la Chiesa opera liberamente in moltissimi Stati e non ha nessun concordato e si ritiene assolutamente libera e gode ottima salute. Capisco che si facciano concordati con dei regimi non democratici, ma con dei regimi solidamente democratici perché? Perché dare ai propri avversari ideologici quest’arma? Oltretutto la Chiesa ha ricevuto un tale plebiscito di consenso dagli italiani col referendum sulla fecondazione assistita, per cui, appunto, può fidarsi degli italiani. Per quale ragione dovrebbe aggrapparsi ad uno strumento giuridico arcaico, sette-ottocentesco?
Perché si vuole impedire alla Chiesa di parlare? Ma la Chiesa dà fastidio perché parla dei fondamenti? La situazione nuova è che il progresso scientifico ha investito i fondamenti. Non riguarda più l’energia atomica, l’aereo, l’aspirina, riguarda i fondamenti; e, siccome nella nostra cultura c’è un prestigio e un’arroganza fortissima del sapere scientifico, l’unica verità con cui si scontra è quella della Chiesa. Dato che non ci può essere la verità delle maggioranze, nessuna verità politica può opporsi alla verità della scienza, soltanto la Chiesa è storicamente e, anche praticamente, in grado di opporsi con un discorso alternativo sui fondamenti e sulla razionalità, la Chiesa è l’unica agenzia in grado di influenzare il senso comune, non di scrivere un libro, come fa Habermas, che però viene letto da poche migliaia di persone. Ci troviamo nella situazione di scontro tra queste due verità sui fondamenti. Se non altro, la posizione della Chiesa, comunque la si voglia giudicare, insiste a farci capire questo fatto, che è razionalmente condivisibile, ha l’evidenza della piena razionalità: la discussione è arrivata ai fondamenti, ognuno scelga nella sua coscienza e che Dio l’aiuti.

G. Di Fazio
Nei primi cinquant’anni di Stato unitario, c’era un sistema molto semplice per risolvere i problemi economici, che era quello di confiscare i beni della Chiesa. è per questo che il luogo in cui oggi ci troviamo appartiene al Comune e non più alla Chiesa. Nel primo Concordato del ’29 si stabilì che bisognava dare la congrua ai vescovi. E venne chiesto al vescovo di Catania se accettasse la congrua o se preferisse mantenere un antico privilegio che era quello di mantenere la proprietà delle nevi dell’Etna, da cui allora si ricavavano i gelati, il ghiaccio ecc. Il vescovo, allora, disse: «Io preferisco mantenere le nevi dell’Etna!».

F. Ventorino
Era l’unico vescovo d’Italia a non avere la congrua, e rimase tale fino al nuovo sistema dell’otto per mille.
La cosa più cara è detta con la parola educazione, perché si tratta di educare la ragione dell’uomo perché riconosca la verità della realtà. Nel compiere quest’opera educativa, la Chiesa si scontra col nuovo potere, che è il potere della scienza, ecco perché il Papa parla di una necessaria purificazione della ragione dal prevalere dell’interesse e del potere che l’abbagliano. La cosa che ci sta più a cuore è l’educazione dell’uomo come capacità di riconoscere i fondamenti, quindi quelle verità sulle quali fondare la propria vita personale e sociale.
La provocazione sul Concordato bisognerebbe raccoglierla, perché il professor Galli Della Loggia parla di questo problema non con l’acredine e con la faziosità con cui se ne sta parlando da parte di molti altri, ne parla a partire da un interesse ecclesiale.

E. Galli Della Loggia
Avrei anche una proposta di scambio politico che la Chiesa potrebbe fare in cambio del Concordato: la riapertura delle facoltà di teologia nell’università italiana. è una vergogna che siamo l’unico paese civile al mondo che non ha delle facoltà di teologia nell’università statale.

Catania, Palazzo dei Chierici, 21 aprile 2006

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