BANCHE ASSALTO FINALE

OLANDESI E SPAGNOLI LANCIANO UN'OPA SU ANTONVENETA E BNL, IL GOVERNATORE FAZIO SCHIERA DIFESE ITALIANE: ECCO COME IL SISTEMA ITALIA PUO' SALVARSI

Contrordine compagni. A chi ancora pensa che José Zapatero sia l’angelo vendicatore della classe operaia continentale vessata dall’Europa delle banche e del profitto, deve essere sfuggito qualche particolare emerso negli ultimi giorni tra le pieghe dell’affaire che vede due colossi bancari europei, l’olandese Abn Amro e appunto la spagnola Banco Bilbao Vizcaya Argentera, intenti a lanciare altrettante opa su due istituti italiani, rispettivamente Antonveneta e Bnl. L’operazione, tuttora in corso di definizione, contempla nelle sue implicazioni politiche anche forti spinte interne ed europee alla necessità di aprire il mercato, cui il governatore di Bankitalia, Antonio Fazio, sta cercando di porre un freno.
Chi c’è infatti dietro gli spagnoli del Banco Bilbao Vizcaya Argentera (Bbva) in questa operazione da raiders finanziari? I più potenti banchieri d’affari del mondo, gli stessi che furono protagonisti della stagione delle privatizzazioni selvagge e del sacco d’Italia del biennio 1992-1993: Goldman Sachs, Lehman Brothers, Morgan Stanley e Merryl Lynch, ovvero il gotha delle merchant bank trasformatosi per l’occasione in advisor del gruppo bancario iberico. Ma a rendere chiaro come ormai questa operazione abbia travalicato i confini finanziari esondando nell’ambito politico e di governo ci ha pensato proprio il buon José Zapatero, che interpellato dai giornalisti sul fatto ha risposto con un gelido e risoluto «difendo la logica del funzionamento dei mercati e sono rispettoso delle caratteristiche dell’operazione del Bbva». Ovvero, in Spagna le mosse del colosso bancario basco sono seguite con molta, molta attenzione. Anche perché il capo del suo ufficio economico, Miguel Sebastiàn, fino allo scorso anno casualmente era capo-economista proprio al Bbva. Mentre in Italia, patria del lassez-faire seguito a stretto giro di posta da lacrime di coccodrillo e sceneggiate napoletane, di attenzione ne si presta pochina. Zapatero è certamente di sinistra: permette ai gay di sposarsi, fa l’elogio dell’eutanasia e del pacifismo militante, dichiara guerra alla Chiesa, sradica dalle piazze le ultime statue di Francisco Franco con la stessa determinazione con cui gli iracheni (aiutati dai marines Usa, by the way) abbattevano quelle di Saddam. Insomma, un Gianni Vattimo all’ennesima potenza. Peccato che dietro al mite volto del pensiero debolissimo e dell’agire insulso ci sia un uomo che, non appena eletto grazie a una sorta di golpe mediatico degli amichetti di Cadena Ser e del gruppo Prisa, non ha perso tempo nello scendere a patti con i poteri forti ricambiando i favori ottenuti, ad esempio cambiando le regole del gioco e modificando le condizioni precedentemente stabilite per aggiudicarsi la possibilità di trasmettere in chiaro. Scelta che aumenterà il livello di concentrazione delle emittenti radio per permettere a Cadena Ser di mantenere la sua attuale struttura, eludendo in questo modo la sentenza del Tribunale Supremo che obbligava a ridurre il numero delle emittenti. E meno male che, stando alle sue dichiarazioni, Zapatero difende «la logica del funzionamento dei mercati» Come reagisce la sinistra italiana a questa nouvelle vague iberica, se possibile ancor più spericolata del periodo Gonzalez di fine anni 80? Massimo D’Alema ha risposto con queste parole alla strenua difesa del mercato posta in essere da Zapatero: «Sono a favore dell’integrazione dell’economia italiana con l’economia europea. Non mi spaventa l’idea che nascano grandi banche europee. L’importante è che non si verifichi che tutte queste banche europee abbiano la direzione in Spagna, Germania, Olanda e noi restiamo solo con le filiali». Sindrome da paese-sportello, verrebbe da dire. Ma perché? Disarmante la risposta di D’Alema: «Non è chiaro da chi dovrebbe essere garantita la governance delle banche. Non vogliamo le fondazioni, non vogliamo che siano controllate da imprenditori, non abbiamo grandi banchieri e ci dispiacciono gli immobiliaristi. Non si sa chi deve essere il proprietario delle banche, se non lo chiariamo finiamo per avere una situazione precaria». Gustoso eufemismo. Soprattutto dopo che con una mossa a sorpresa – ma non troppo – l’Ue ha detto chiaro e tondo a Bankitalia che l’ultima parola sulle due opa spetterà a Bruxelles, anche se Roma avesse già formulato un parere negativo al riguardo. C’è da preoccuparsi? Beh, oggi non c’è più una lira contro cui speculare e restano ben poche aziende da privatizzare ma ci sono ancora le banche che garantiscono l’esistenza di un “sistema Italia” nazionale: e chi mette le mani sulle banche mette le mani sul “sistema Italia”. Che fare, quindi? Una fonte molto addentro alle grandi questioni del mondo bancario – e per questo costretta all’anonimato – ha svelato a Tempi qualche retroscena e qualche speranza alla vigilia della stretta finale per le due opa. «A mio avviso in questo momento Fazio fa bene a stimolare difese italiane: altri paesi fanno lo stesso da sempre e non solo per questioni legate alle banche. Il problema è che queste difese sono improprie, dobbiamo accelerare il completamento della riorganizzazione del nostro sistema bancario. Questo deve essere l’ultimo monito alla difesa, bisogna creare i presupposti affinché le banche italiane siano poli aggreganti sul mercato europeo, devono svolgere un ruolo attivo a livello continentale». Come muoversi, quindi, con aggregazioni dei grandi istituti per creare il super-polo italiano? «Non solo. Occorre prima di tutto consolidare il sistema delle banche regionali che non può più essere difeso con il mero campanilismo: servono alcune banche forti e radicate sul territorio e altre che si muovano all’estero, con ruolo e vocazione continentale. Le difese di tipo normativo, al di là di quanto dice la Commissione Ue, non valgono più: le forze di economia e finanza travolgono anche queste resistenze». L’Italia però ci ha messo del suo nell’inguaiarsi. «Certo, vedere oggi quale sia la situazione di Bnl e Antonveneta, con un azionariato debolissimo, dimostra la fragilità del sistema. Per questo dico che bisogna sfruttare questo ultimo appello per riorganizzarci una volta per tutte e rilanciare la sfida: dobbiamo giocare, osare, per contare un po’. Io non credo assolutamente alla neutralità della finanza, all’indifferentismo: se un’azienda italiana in crisi può essere salvata da una finanziaria di Milano piuttosto che da una di Londra è meglio senza». Secondo lei, come finirà questa vicenda: andranno in porto le opa? «A mio avviso le due opa non andranno in porto per il semplice motivo che entrare in un mercato con un clima conflittuale crea disinteresse, spinge alla diversificazione. Se poi una delle due dovesse andare in porto vedo più semplice l’opa di Abn Amro su Antonveneta che quella di Bbva su Bnl, anche se come logica puramente bancaria avrebbe più senso il contrario. L’opa ostile ha sempre delle complicazioni, perché va fatta senza tanti preparativi per giocare di sorpresa ed evitare le difese: e sia Bbva che Abn Amro hanno già parlato troppo e soprattutto hanno messo sul tavolo opzioni di carta contro carta e non denaro liquido. Quindi si va verso un’opa amichevole: per questo mi sento abbastanza sicuro di affermare che alla fine si preferiranno altri canali».

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