Ma i test prenatali non posso dirti chi è il tuo bambino Down

«Cara mamma che hai appena ricevuto una diagnosi prenatale che parla di sindrome di Down. So come ti senti». Lettera da madre a madre

Traduciamo un articolo apparso sull’Huffington Post di Lauren Warner, pubblicato lo scorso 19 aprile.

«Cara mamma che hai appena ricevuto una diagnosi prenatale che parla di sindrome di Down. So come ti senti. Eccetto per il fatto che, diversamente da te, quando l’ho scoperto avevo mia figlia Kate fra le braccia. Lei era avvolta in una coperta, mi guardava mentre piangevo, ascoltando il neonatologo di turno che mi diceva – solo pochi minuti dopo che era nata – che lei aveva la sindrome di Down. E che cosa ciò significava. Disse che voleva dire che aveva un cromosoma in più. E che avrebbe avuto diversi ritardi. Che era predisposta in modo significativo a certe condizioni mediche, inclusi i difetti congeniti al cuore e che avremmo dovuto farle subito degli esami. Ci disse che voleva dire che lei avrebbe fatto le cose in maniera diversa dagli altri bambini. In quei primi giorni, dopo aver ascoltato le statistiche, parlato ai dottori e svolto ricerche online, pensavo di sapere cosa significasse avere un figlio con la sindrome di Down. E francamente ero devastata. E lo stesso è per te. Ma lascia che te lo dica – da madre a madre – questi fatti non dicevano cosa significa avere un figlio con la sindrome di Down. Molti di quei fatti potrebbero anche non essere veri nel tuo caso. Alcuni sì, ma molti anche no. L’ho imparato con tutti i miei figli, e non ho mai permesso che le generalizzazioni, influenzassero le mie aspettative (per la cronaca Kate si nutre come un campione e continua a smentire tutti gli stereotipi). Quello che questi fatti non mi hanno detto di Kate è che – insieme agli occhi a mandorla e un tono muscolare leggermente più basso – lei avrebbe anche avuto i miei folti capelli biondi e labbra carnose. Che lei è la gioia del suo papà. Che adora le cialde con il burro di arachidi e ama cullare la sua piccola bambola per addormentarla. Non mi hanno detto che è una sorella maggiore che dà l’esempio e che stravede per la sorella più piccola e che è la stella di qualsiasi luogo in cui andiamo.

Ciò che quelle analisi non mi hanno detto è che lei avrebbe fatto facce buffe, ballato come una matta sentendo la Fresh Beat Band. Che ama cantare. E nuotare. E fare ginnastica e riempire tutti i mobili della mia cucina. Ciò che non mi hanno detto è “lo scopo”, quello che voleva dire per me, la nostra famiglia, i nostri amici. Ripenso a quei primi giorni e ricordo la sensazione di brama di normalità. Non volevo sentire come la mia vita sarebbe stata cambiata per sempre in un modo così grande e che io avrei imparato ad accettarla. Volevo solo che la vita fosse come quella di prima, routinaria, “normale”. Torneranno mai normali le cose? Pensavo. E poi un giorno – presto – lo sono diventate. Solo che non erano più come prima. Erano meglio. Improvvisamente i fatti pesanti e le paure sono svaniti. Perché invece di conoscere la diagnosi, avevo cominciato a conoscere lei. E così sarà per te. Grazie alla sua vita ora ho una prospettiva unica, in cui vedo il meglio dello spirito umano – e non solo del suo spirito (anche se lei è davvero molto vivace!), ma di tutti gli altri. In un mondo dove è facile vedere gli stranieri con occhi scettici, ho visto un’effusione di amore e di compassione che la circonda. Ho incontrato persone che altrimenti non avrei conosciuto. Ho incontrato estranei che mi hanno fermato per strada solo per dirmi quanto è bella. Il mondo può sembrare un luogo spaventoso per ogni bambino, in particolare per quelli con una disabilità. Ma ho incontrato così tante persone che vogliono solo amarla. Non posso dirti le sfide che il vostro prezioso figlio dovrà affrontare, come non posso dirlo di nessun altro figlio che avrai, con “bisogni speciali” o meno. Un aspetto della vita del tuo bambino è appena stato rilevato dalla tecnologia medica prenatale. Ma i test prenatali non posso dirti chi è il tuo bambino, non più di quanto può farlo un’ecografia in bianco e nero.

Quando Kate aveva solo pochi mesi, sono andata al Target a fare la spesa. In coda, quel giorno, ho incontrato la mamma di un uomo di 19 anni con la sindrome di Down. E quando gli ho detto che anche mia figlia aveva la sindrome di Down, i suoi occhi si sono inteneriti e mi ha guardato con un sorriso caloroso. Era come se fossimo entrambe parte di una confraternita segreta e lei era un vecchio membro. Mi ha fatto alcune domande e prima di andarsene ha detto piano le parole che io ti passo qui: «Benvenuta nel tuo bel viaggio».

Dal mio cuore al tuo,

Lauren

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