Avere un figlio non è un lavoro. Neanche avere le caprette, però

Jon Stewart è un conduttore televisivo americano. Faceva un programma comico piuttosto figo. Poi si è sposato con una veterinaria e ha deciso di pensionarsi

Cara Guia, sono una mamma montessoriana. Ho fatto di mio figlio – unico, perché non dovesse mai soffrire e sentirsi messo in disparte per le attenzioni date a un fratellino invece che a lui – una vocazione. Il mio lavoro è seguirlo sempre sempre sempre, perché non debba mai sentirsi inibito nelle sue esplorazioni del mondo, perché non si senta mai dire che ai fornelli non può avvicinarsi (ho studiato, so quant’è traumatico un “no”) ma ci sia sempre qualcuno – io, la sua mamma, la persona più importante della sua vita – che lo segue e bada che non si faccia male nonostante nulla gli sia vietato.

Mio figlio è diventato grande infilando le dita nelle prese (quante caviglie mi sono storta per precipitarmi a staccare la luce quando vedevo che si avvicinava) e giocando con le posate d’acciaio (ho sviluppato un’abilità da piazzista nel fargli sembrare più appetibili i cucchiai dei coltelli). Sono cinque anni e mezzo che non me ne separo e ora mio marito, quel bruto, vuole mandarlo a scuola.

Lì me lo rovineranno, lo so. Lo traumatizzeranno con dei “no”! Non posso lasciare che tutto il mio lavoro pedagogico venga rovinato. Mi sono già informata, su internet (chi ha bisogno di altre informazioni quando c’è Facebook?), sull’homeschooling. È perfetto: posso trasmettere io al mio principino tutte le conoscenze di cui ha bisogno, possiamo stare insieme per sempre, tutti i giorni, senza staccarci mai, senza che altri bambini lo opprimano, senza vaccini, persino.

Purtroppo mio marito è renziano. Non me n’è mai importato niente (io penso solo a mio figlio, non ho tempo per la politica), ma credo che questo dettaglio ora impatti sull’accurato percorso pedagogico del nostro angioletto. L’altra sera mio marito torna dal lavoro – un lavoro che non gli ho mai chiesto di lasciare, nonostante il peso dell’educazione del nostro piccolino, il peso più importante delle nostre vite, ricadesse su di me – sventolando un’intervista di Renzi e sostenendo che lì si parlava di responsabilità condivise rispetto ai figli, che la moglie voleva coinvolgerlo nelle scelte educative e non solo in quelle ludiche, che io invece l’avevo monopolizzato, e ora ci mancava solo che non andasse a scuola, se andava avanti così diventava eroinomane. Ti giuro: un pazzo.

Sono preoccupatissima, non vorrei che il bambino si turbasse, non aveva mai sentito nessuno alzare la voce, ma devo fare una scelta drastica. Mio suocero ha dei terreni. Pensavo che potremmo trasferirci, papà e bambino potrebbero vendemmiare insieme, io la sera potrei insegnare tutta la matematica e la storia che servono (guardo su internet, neanche mi servono i libri), e finalmente torneremmo a essere una famiglia felice. È chiaro che l’ufficio è deleterio quanto la scuola, non capisco come mai la Montessori non ne abbia mai scritto.
[Assia, Milano]

Cara Assia, Jon Stewart è un conduttore televisivo americano. Faceva un programma comico piuttosto figo. Poi si è sposato con una veterinaria, si è stufato di andare in onda tutti i giorni, e ha deciso di pensionarsi. Succedeva due anni fa. I primi tre quarti d’ora tutto bene: ha smesso di mettere la cravatta, si è fatto crescere la barba, ha giocato con le caprette nella fattoria in cui era andato a vivere con la moglie. Credo che le droghe pesanti siano state inventate per attutire la noia di stare in campagna senza essere contadino. Fatto sta che Jon prima si è fatto invitare sempre più spesso nelle trasmissioni degli amici, poi ha firmato un contratto per fare degli speciali per una tv via cavo. Stessa storia per David Letterman: anche per lui due anni fa pensionamento, passerò più tempo con la mia famiglia, barba, campagna. Due settimane fa ha annunciato che farà otto puntate per Netflix. Ciò è bene, almeno i loro figli non avranno sempre i genitori tra le scatole, una cosa deleteria sempre ma specialmente nel maggior caso di squilibrio mentale d’un adulto: quello in cui l’adulto non lavori. E no, avere un figlio non è un lavoro. Neanche avere le caprette, se nessuno ti paga per mungerle.

@lasoncini

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