Atea, ma cristiana. Così Mons.Fisichella ricorda la Fallaci

«There is no rest for me Oriana».
Comincio da qui, da questa frase del poeta inglese Tennyson, per raccontare chi era Oriana Fallaci. Una donna che amava i libri, soprattutto i libri antichi. Tra questi, in un giorno di primavera del 2006, mi aveva donato un volume che raccoglieva le liriche di Tennyson. Era accompagnato da una bellissima e semplice dedica:
«To you from me». «Non ho mai trovato niente che parlasse di Oriana – si giustificava – l’unica cosa è questo poema di Tennyson, The Ballad of Oriana, in cui alla fine la protagonista muore».
«There is no rest for me Oriana» era lo sfogo che ogni tanto le comunicavo, sapendo quanto lei fosse dinamica e combattiva. Oriana era così, una donna affamata e assetata di conoscere. Brillante, intelligente, ma soprattutto libera. Ecco se devo dare un aggettivo a Oriana la definirei libera, libera esteriormente, come tutta la sua vita testimonia, ma libera anche e soprattutto interiormente. Una libertà che nel corso degli anni si è progressivamente accompagnata a una profonda solitudine, in parte ricercata. Lei, che amava definirsi un soldato, negli ultimi anni ha simbolicamente cercato il riparo dal mondo.
La nostra amicizia è nata in maniera del tutto casuale. È stata breve, solo un anno e mezzo, ma intensa. E conoscendo Oriana non poteva essere altrimenti; sembrava, tuttavia, che ci fossimo conosciuti da sempre. Mi
inviò una lettera qualche giorno dopo che il Corriere della Sera aveva pubblicato una mia intervista in cui commentavo le dichiarazioni che lei aveva rilasciato alla Stampa su Benedetto XVI. Mi ringraziò e io risposi. Da lì
cominciò una comunicazione intensa e costante con visite frequenti, mie
a New York e sue a Roma, fino agli ultimi giorni fiorentini.
Ringrazio il Signore per avermi dato la possibilità di conoscere Oriana e
la sua innata capacità di provocare
e far riflettere. Era una donna generosa e dotata di una buona dose
di lungimiranza.
Mi spiace che, in alcuni consessi, Oriana venga ricordata solo per le sue prese di posizione sull’islam
dimenticando che, questa fragile donna, aveva iniziato a scrivere ancora da ragazzina. La lezione riduzionista che si fa delle sue opere non le rende giustizia. Oriana è sì colei che il mondo post 11 settembre ha conosciuto grazie alla Rabbia e l’orgoglio, ma è anche la donna che, negli anni Settanta, scriveva pagine come quelle di Lettera a un bambino mai nato o anticipava, in alcuni scritti, i problemi della bioetica che l’Italia e il mondo si troveranno solo dopo diversi
anni ad affrontare. Un tema che
l’appassionava e sul quale, mi
confessò più volte, voleva scrivere
un altro libro.
Il suo più grande cruccio, comunque, è stato probabilmente quello di non essere riuscita a completare l’ultimo romanzo che aveva dedicato alla sua vita e alla sua famiglia. «Ho ancora tante cose da fare» ripeteva presagendo la fine. E lo ripeteva con grande dignità. Un’altra caratteristica che mi ha colpito di Oriana è stata certamente la grande dignità con cui ha vissuto la sua vita e la sua malattia. La sua convivenza con “l’alieno”, parola che, nelle nostre prime corrispondenze, scriveva con la lettera maiuscola, ma che poi, davanti a una mia obiezione («è un male che non merita tanta considerazione») accettò di scrivere con la minuscola. Lei, la donna soldato, ha combattuto con “l’alieno”, fino alla fine, la sua battaglia.
Sapeva a cosa andava incontro, ma non ha mai ceduto alla rassegnazione. Amava talmente la vita che non poteva rassegnarsi neppure davanti alla morte che voleva affrontare
vigile, cosciente, in modo da guardarla in faccia!
La guerra è un altro degli elementi che hanno caratterizzato la vita di Oriana. Il ricordo della gioventù partigiana, della vita in trincea nel
Vietnam percorso dalla guerra, del Messico dove venne ferita gravemente. Proprio pensando al Messico e guardando alla nostra amicizia ripeteva spesso, con la capacità di scherzare che le era propria, «una come me che viene sempre salvata da un prete». Era stato infatti un prete a salvarla in Messico, e poi aggiungeva, rivolta al mondo da cui veniva, «se questi sapessero che Oriana Fallaci è amica di un vescovo».
Ironica, ma mai sui temi della vita e della morte, Oriana aveva una profonda passione per la religione. Conosceva le Sacre Scritture e tornava sempre ad ammirare, quasi commossa, la Bibbia illustrata dal Dorè che ha voluto lasciarmi perché le ricordava suo padre che gliela sfogliava da piccola. Lei, contestatrice per eccellenza, che affrontava a muso duro in classe il professore di religione salvo poi rincorrerlo per accompagnarlo a casa e discutere con lui di Dio e della fede. Lei che, al capezzale della madre morente, non esitò ad andare a svegliare il prete del paese perché le impartisse l’estrema unzione.
Oriana aveva un profondo senso religioso. «Atea, ma cristiana» amava definirsi. E cristiana lo era non solo perché battezzata, comunicata e cresimata, ma perché profondamente radicata in questa cultura che ha difeso e che, a tutti i costi, voleva noi continuassimo a difendere.
E cristiana lo è stata fino alla fine chiedendo che dalla finestra della
sua stanza si potesse ammirare la cupola di Santa Maria in Fiore e che le campane accompagnassero le sue esequie come è avvenuto. Anche per questo, nella sua volontà di rimanere autonoma, di non convertirsi, ha sempre rispettato la mia fede e non mi ha mai rifiutato di pregare per lei.
L’ultimo pensiero vorrei dedicarlo
a un capitolo importante della vita di Oriana. L’incontro con Benedetto XVI che lei stimava e di cui aveva letto tutte le opere. In particolare il libro sull’Europa che aveva completamente sottolineato e che portò con sé in quella visita per farselo dedicare. Ostinata e amante del proprio lavoro, sognava di rimettersi
in salute per poterlo intervistare. Oriana era così.
monsignor Rino Fisichella
rettore della Pontificia Università Lateranense

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