Aspettando il nuovo mr.Right

Terminata l'era Bush, avviliti da successori troppo liberal, gli evangelici d'America cercano disperatamente l'uomo giusto a cui affidare il "voto dei valori". A costo di mollare i repubblicani

Poco più di un mese fa il think tank Third Way, che si autodefinisce “un centro per i progressisti”, ha diffuso un documento per un’alleanza fra evangelici e liberal. Due settimane più tardi, a Washington, la National Association of Evangelicals ha aperto il suo annuale meeting con un intervento del segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, un evento eccezionale, visto che hanno sempre rifiutato di aggregarsi alla burocrazia internazionale nella soluzione di problemi come Aids e povertà. Gli evangelici sono smarriti e con il tramonto della dinastia Bush il prossimo anno non sanno a chi affidarsi nel segreto delle urne. Due settimane fa, sempre a Washington, gli evangelici hanno parlato di sacralità della vita umana, matrimonio e immigrazione, libertà religiosa e sanità, islam e Corte suprema. È stata la principale fiera del “voto dei valori” e ha visto per due giorni i candidati alla Casa Bianca dibattere di fronte a quell’America che nelle ultime tornate elettorali è stata decisiva per scegliere il presidente.
Con il reverendo Bill Graham quasi completamente cieco e alla fine di una carriera oratoria iniziata nel 1949 a Los Angeles, durante un festival di revival cristiano durato otto settimane, il magazine Christianity Today lancia l’allarme: “Save the E-word”, dove “e” sta per evangelici. Alla testa di quella che ormai sembra una diaspora evangelica si è collocato lo psicologo James Dobson, “il Godzilla della destra religiosa”, come lo definisce l’Economist. Caduto in disgrazia un celeberrimo televangelista come Pat Robertson, che non ha saputo tenere a freno la lingua, morto il guru della “maggioranza silenziosa” Jerry Falwell, spentasi la luce di Ralph Reed e di Bill Bennett a causa di brutti scandali economici, Jim Dobson è asceso di fatto alla guida di milioni di elettori per i quali, più che l’economia, pesa il rispetto della vita umana, la sacralità del matrimonio e la guerra all'”islamofascismo” che nega i diritti dei cristiani del Medio Oriente.
Il campo evangelico è in preda a uno scontro sulla successione: si va dai reverendi liberal Jim Wallis e Brian McLaren, che scommettono tutto su temi sociali come la povertà, ai più moderati Rich Nathan e T. D. Jakes, passando per i conservatori soft spoken Rick Warren, Chuck Colson e Richard Land, che dialogano anche con i democratici, fino agli ultraconservatori Dobson, Frankly Graham, Pat Robertson e Tim Lahaye.

Formidabili quei due mandati
Newsweek ha spiegato quanto di buono George W. Bush abbia dato agli “elettori dei valori”. In campo giuridico, oltre alle due nomine conservatrici a Capitol Hill, i giudici della Corte suprema Samuel Alito e John Roberts, Bush ha scelto 250 magistrati a livello federale, portando al 50 per cento del totale il numero di giudici di nomina repubblicana. Sull’aborto, oltre alla legge che ha messo al bando l’interruzione di gravidanza “a nascita parziale”, Bush ha approvato l’Unborn Victims of Violence Act, anche se il più grande successo della destra religiosa resta l’emendamento Hyde del 1976, che proibì l’uso di fondi federali per l’aborto. Sulla scuola si è fatto ben poco, ma per via della mancanza di un governo centrale dell’istruzione, anche se c’è stato lo storico ampliamento dell’uso dei voucher. Sul matrimonio gay, nel 2006 è stato cassato l’emendamento costituzionale che ne avrebbe avviato la legalizzazione, mentre sulle cellule staminali c’è stato il veto di Bush, il primo della sua presidenza. Quanto al “controllo delle nascite”, i repubblicani hanno investito molto a favore dei programmi sull’astinenza. In politica estera, poi, non si contano le iniziative politiche, dal Darfur all’Aids al traffico sessuale.
Tutto suggerisce che la battaglia per gli “elettori dei valori” sarà più complicata rispetto a quella del 2004, che assicurò la riconferma di Bush. Un mese e mezzo fa, durante un incontro a Salt Lake City, la capitale mormona dello Utah, il Council for National Policy, la coalizione dei principali gruppi cristiano-conservatori di cui fanno parte tutti i big della destra religiosa, Jim Dobson è arrivato a minacciare il Partito repubblicano: qualora a vincere le primarie del Grand Old Party dovessere essere un pro-choice come Rudolph Giuliani, alle presidenziali del 2008 lui appoggerà un candidato di un terzo partito. «Siamo stanchi di essere trattati come amanti da nascondere», ha detto Richard Viguerie, uno dei leader.

Candidati troppo flaccidi
La “Jesus Machine”, il grande mondo degli evangelici duri e puri, è guidata da Dobson con Focus on the Family, un’organizzazione che si occupa di drogati e madri che vogliono abortire, da Tony Perkins con il Family Research Council, da Paul Weyrich con la Free Congress Foundation, da Morton Blackwell con il suo Leadership Institute e dall’ex candidato presidenziale Gary Bauer. Il loro programma è minimale: tasse basse, sicurezza nazionale e opposizione all’aborto. Ora, nessun candidato repubblicano ha fatto della lotta all’aborto di massa, che ogni anno miete un milione di non nati, una prerogativa della propria campagna elettorale. Sono tanti e profondi i dubbi sul mormonismo di Mitt Romney e sulla sua recente e troppo sospetta conversione ai temi sociali. L’ex governatore del Massachusetts appartiene a una chiesa che crede nella discendenza fisica di Gesù dal Padre. Non convince gli evangelici neppure l’attore Fred Thompson: non gli perdonano di aver votato contro l’emendamento costituzionale che avrebbe messo al bando il matrimonio gay. E non funziona neppure l’eroe di guerra John McCain. Il suo Stato, l’Arizona, è l’unico in cui alle ultime elezioni mid-term è fallito il referendum per mettere al bando le nozze omosessuali. James Dobson ha detto: «Non voterei mai John McCain in nessuna circostanza». Se Rudy Giuliani non ha alcuna possibilità di attrarre il voto religioso, essendo apertamente a favore della tutela pubblica delle coppie gay e soprattutto dell’aborto (per non dire di una sua indimenticabile apparizione vestito da donna), McCain è più sfumato, ma i guru del mondo evangelico sentono lo swing, il balletto, il dondolio culturale sotto le sue certezze di veterano del Vietnam. McCain ha detto di essere contrario all’aborto e ha aperto all’insegnamento del “disegno intelligente” nelle scuole. Ma ogni volta che si scalda, c’è qualche commentatore evangelico che scova sue dichiarazioni di segno opposto. Richard Land della Southern Baptist Convention, la più grande congregazione protestante d’America, pensa che «nessun elettore dimenticherà che il senatore McCain ha votato contro l’emendamento sul matrimonio gay». E poi nessuno dei vertici della destra americana ha trovato il tempo per andare al funerale del fondatore della destra religiosa, il reverendo Falwell. Non c’era certo Giuliani, uno sposato tre volte.
Tutto lascerebbe pensare dunque a un riequilibrio fra repubblicani e democratici nella conquista del voto religioso. Il campione del conservatorismo sociale, Rick Santorum, un anno fa è stato sconfitto in Pennsylvania da un democratico pro-life come Bob Casey, che molti definiscono “la nuova speranza dei cattolici americani”. Nell’Ohio l’afroamericano evangelico Kenneth Blackwell ha preso una sonora batosta dal reverendo democratico Ted Strickland, che alla radio cita la Bibbia ogni due per tre. Il 72 per cento degli evangelici americani ha votato per il Grand Old Party, contro il 74 delle presidenziali del 2004. E i democratici sono passati dal 25 al 28 per cento. Infine, il mondo democratico sta tentando di rifarsi a quella tradizione culturale, scrive Randall Balmer nella Encyclopedia of Evangelicals, tracciata dagli antischiavisti, dai riformatori sociali, dalle suffragette e dal movimento dei diritti civili. Tutti fenomeni che in America hanno avuto una spinta evangelica.

E i democratici rinascono alla fede
I democratici hanno anche riconquistato il voto cattolico, con il 55 per cento dei consensi, dieci punti in più dell’ultima tornata. Alle elezioni di medio termine avevano dunque avuto buon occhio nel lanciare personaggi religiosi che non si vergognassero di essere contrari all’aborto. Sulle presidenziali è in corso un’altra partita. Barack Obama è famoso per aver chiesto al mondo politico di sinistra di «non abbandonare la religione» e per aver inaugurato una forma di progressismo compassionevole. Ma è anche uno che, a domanda se rivedrebbe la sentenza Roe vs. Wade, che aprì le porte dell’America all’aborto indiscriminato, risponde che «non si tocca il diritto di scelta della donna». I giornali hanno detto tutto dei tempi in cui l’ex first lady Hillary Clinton insegnava catechismo in Arkansas e sulle sue frequentazioni delle sessioni di preghiera mattutina al Senato. La Clinton è una donna, inoltre, che si vanta di credere nel peccato originale. Ma nel concreto ha votato perfino contro la legge che ha bandito l’aborto al sesto mese e oltre, una tecnica spaventosa che “smembra” il feto, gli aspira il cervello, per farlo “nascere morto”. John Edwards è giovanile, brillante, positivo, efficace, del sud, ha la moglie che lotta contro il cancro e sceglie sempre slogan strepitosi, come “Hope is on the way”, la speranza sta arrivando. Ma è un pauperista con un peso specifico molto basso e scarsa coerenza. Inoltre, considerato che ben due terzi degli evangelici bianchi continua a sostenere la guerra in Iraq, non sarà facile per i democratici conquistarli parlando solo di “ritiro ritiro ritiro” e accusando il generale David Petraeus di averli “traditi”.

Ma non toccate le loro armi
Chuck Colson, l’ex assistente di Nixon finito in galera per il Watergate che oggi si dice “rinato alla fede”, afferma che il movimento evangelico è «maturato»: «Gli evangelici che oggi votano repubblicano hanno per lo più genitori che sceglievano i democratici». Giuliani ha un altro grande svantaggio, insieme a tutti i democrat: è favorevole al controllo delle armi. E come scrive il grande Tom Wolfe, «quando i democratici hanno proclamato di essere a favore del controllo sulle armi, queste persone (gli evangelici, ndr) hanno interpretato quella posizione non come un attacco alla proliferazione delle armi, ma come un rifiuto sprezzante del loro stile di vita, di tutto il loro assoluto fittizio. Le armi hanno un’importanza essenziale nella loro visione del mondo. Amano la caccia e le loro armi, e credono, forse a ragione, che il solo modo per insegnare a un ragazzo come uccidere homines loquaces in battaglia è portarlo a cacciare gli animali».
La caccia al voto religioso è tutta aperta, ma gli evangelici si ricorderanno sempre che il prossimo candidato repubblicano viene dopo Bush. E Bush, loro, lo chiamano Mr. Right, quello che fa la cosa giusta. L’ex speechwriter della Casa Bianca, Michael Gerson, fresco autore del libro Heroic Conservatism, pensa che gli evangelici non saranno mai tentati di andare con la “sinistra religiosa”, «gente che non capisce che non è possibile essere preoccupati della giustizia sociale e non della sorte dei membri più deboli della famiglia umana». Quei 43 milioni di americani mai nati dal 1973 a oggi.

Exit mobile version