Armenia un popolo in esilio

Il 900 si sta chiudendo con le stragi e le pulizie etniche nel Kosovo, così come si era aperto con il genocidio degli armeni sotto l’Impero ottomano: un milione di cristiani trucidati (altrettanti deportati) in nome della nazione pan-turca e di quello stesso nazionalismo che nel corso del secolo si è ripresentato sotto diverse bandiere

Alla fine del XIX secolo l’Impero Ottomano, dopo un lungo periodo di progressiva decadenza, è ormai prossimo all’ineluttabile crollo. Con la sua struttura, vacilla anche un sistema che garantisce la convivenza tra le diverse etnie ospitate entro i suoi confini. Proprio all’interno dell’Impero Ottomano il popolo armeno, cristianizzato, e quello turco, fedele all’Islam, riescono a vivere gomito a gomito senza eccessivi contrasti. Il disfacimento del “malato d’Europa” è destinato a infrangere equilibri delicatissimi e perdipiù si realizza negli anni in cui si diffondono ovunque le dottrine nazionaliste, risvegliando o inasprendo le rivendicazioni dei vari gruppi etnici. Da subito, infatti, la condizione degli armeni si aggrava: gli appartenenti alla comunità cristiana più grande (tra quelle di minoranza), vengono sempre più spesso trattati come “infedeli” e privati dei loro diritti civili e religiosi. Tuttavia, proprio negli ultimi anni dell’800, avviene una insospettata svolta progressista nella politica dei sultani ottomani, un tentativo di modernizzazione istituzionale sul modello dei paesi occidentali. Tra il 1839 e il 1908 alcune riforme – introdotte attraverso la Carta Tanzimat, nel 1839 – determinano un risveglio delle istituzioni civili e politiche dell’Impero e una apertura anche culturale verso l’Occidente. Non senza problemi assai spinosi, come quello di bilanciare la modernizzazione con la tradizione dell’Islam. Si apre infatti un dibattito tra chi crede nella possibilità di coesistenza tra cultura islamica e civilizzazione occidentale e chi ritiene questo bilanciamento più problematico.

Sotto la bandiera del Tanzimat, comunque, la Chiesa armena tira un respiro di sollievo (in particolare con Abdul-Mejid -1839/1861- e Abdul-Aziz -1861/1876-) e riesce a creare la Costituzione Nazionale Armena (1863), il documento in base al quale le comunità cristiane vengono governate. Questa fase ha purtroppo una brusca interruzione con l’ascesa al potere di Abdul-Hamid II (1876/1909). Con lui finisce il Tanzimat e, dopo la Guerra Russo-Turca (1877/78, conclusa con il congresso di Berlino), vista la disgregazione dell’Impero nei Balcani e nel Caucaso (Serbia, Montenegro, Romania erano divenute indipendenti, mentre la Bosnia-Erzegovina passava sotto l’amministrazione austriaca), cominciano periodiche spedizioni punitive contro i sudditi cristiani, caprio espiatorio per il precedente intervento delle potenze europee nella zona.

Del resto tra armeni e turchi i rapporti divengono sempre più conflittuali. Gli uni premono infatti perché sia riconosciuta l’indipendenza dell’Armenia (così come già era avvenuto per la Grecia), gli altri accarezzano l’idea di un nuovo impero pan-turco che avrebbe annesso tutte le regioni turcofone dell’Asia Centrale. Gli armeni sono la sola etnia a frapporsi tra questi gruppi di lingua turca: per i nazionalisti è arrivata l’ora di sbarazzarsi dell’ostacolo. Nel 1890 migliaia di armeni sono rinchiusi nei progrom per ordine del sultano Abdul Hamid II.

Siamo ormai negli anni del colpo di stato progressista del partito dei Giovani Turchi (Ittahadist) che nel 1908 rimpiazza il governo del sultano, promettendo riforme destinate, purtroppo, a non realizzarsi mai. Le frange più estreme del nazionalismo turco, ottenuto il controllo del potere, instaurano infatti una dittatura dominata da Ismail Enver, Ahmed Jemal e Mehemed Talat. Ad essi di deve il progetto di eliminazione totale della razza armena che avrebbe finalmente permesso di realizzare i sogni pan-turchi. Esecutore materiale degli eccidi è l’Organizzazione Speciale (Teshkilati Mahsusa) creata dal Comitato di Unione e Progresso, lo stesso che istituisce anche gli speciali “battaglioni macellai”, formati da violenti criminali rilasciati dalle prigioni, utilizzati per l’eliminazione fisica della popolazione armena.

Ma è con la Grande Guerra che arriva il pretesto buono per realizzare pienamente il programma di pulizia etnica. Il 24 aprile 1915 centinaia di leader politici e intellettuali armeni, dopo essere stati convocati a Istambul e radunati insieme, vengono trucidati. Il popolo armeno, privo ormai di una guida, seguirà ben presto il loro tragico destino.

Attraverso tutto l’Impero Ottomano, con l’esclusione di Costantinopoli e Adana, forse perché qui vi è un’ingombrante presenza straniera, si moltiplicano episodi di violenza e omicidi villaggio per villaggio. Le stesse vittime, inconsapevolmente, collaborano alla loro fine. Per prima cosa viene chiesto ad ogni armeno di consegnare le proprie armi da caccia come “contributo per la guerra”. Ad alcune comunità vengono invece vendute dai turchi armi supplementari (più tardi, il governo additerà proprio in quelle armi la prova evidente di una ribellione armena). Gli uomini abili vengono successivamente “arruolati” nei battaglioni dell’esercito. In realtà, dopo averli prelevati, i soldati turchi li uccidono immediatamente o li costringono ai lavori forzati. In ultimo, agli armeni rimasti nei propri villaggi, a questo punto soprattutto vecchi, donne e bambini, viene ordinato “un trasferimento per il loro stesso bene” che li avrebbe allontanati dalle pericolose zone di guerra. Vengono con questo pretesto scortati dai gendarmi turchi in lunghe “marce della morte” attraverso l’Anatolia. Lungo il tragitto la popolazione viene affamata, lasciata senz’acqua, spesso seviziata, rapita e assassinata. Le autorità di Trebisonda, sulle coste del Mar Nero, caricavano i cadaveri su barconi e li portavano al largo dove venivano fatti affondare insieme alle imbarcazioni.

I superstiti sono condotti nel deserto siriano: la maggior parte viene uccisa all’arrivo, chi può fugge, soprattutto grazie all’aiuto di arabi, missionari stranieri e anche alla popolazione turca.

Si calcola che, solo nel 1916, almeno 800mila armeni (ma c’è chi parla anche di 1 milione e mezzo di morti) siano stati eliminati. Altrettanti finirono deportati in Mesopotamia e Arabia o migrarono in Russia e in Egitto. A tut’oggi 1 milione e mezzo di armeni sono profughi in comunità sparse in tutto il mondo.

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