Arabi cristiani, cioè Paria

Sette milioni di cristiani egiziani in attesa dei diritti che i musulmani hanno in Occidente. E altre storie da un paese islamico “moderato”

Prima si chiamavano Mohamed Kordy e Sahar Abdul-Ghany, ora si chiamano Yussef Samuel Makari e Mariam Girgis Makari. Quanto basta per essere arrestati dall’Unità investigativa criminale di Alessandria d’Egitto. Per le autorità, i coniugi Yussef e Mariam hanno violato un importante precetto religioso avendo abbandonato l’islam per convertirsi al cristianesimo e sono perciò passibili di condanna per riddah, apostasia. La Costituzione egiziana, pur garantendo la libertà religiosa, proclama l’islam come principale fonte della legislazione. E l’apostasia è bandita alla pari di un alto tradimento. Torturando i coniugi (come confermano gli avvocati i quali hanno anche denunciato abusi sessuali a danno di Mariam), la polizia è riuscita a far confessare i nomi di altri 100 convertiti al cristianesimo. Ventidue sono già stati arrestati, gli altri sono ricercati. In molti paesi, quando l’apostasia non è sinonimo di morte fisica, essa sottintende una morte sociale: estromissione dalla famiglia, disprezzo della comunità, perdita dell’eredità e della posizione sociale. Lo scandalo di Alessandria illustra quanto alcuni paesi definiti “moderati” siano ancora lungi dal rispettare la libertà religiosa. Su una popolazione di circa 69 milioni di persone, l’Egitto conta almeno sette milioni di cristiani copti che scontano una tenace estromissione dalla vita politica e una sostanziale emarginazione sociale. Solo l’anno scorso, i copti hanno visto riconoscere dal governo la festa del Natale come giorno festivo nazionale. Solo nel 2000 i cristiani hanno potuto eleggere tre deputati sui 450 che conta il parlamento. Prima venivano nominati dal capo dello Stato perché esclusi dalle liste di tutti i partiti che consideravano l’elezione di un cristiano a una carica pubblica un haram, un illecito religioso. In un’intervista ad al-Ahram Weekly, la guida suprema dei Fratelli Musulmani ha dichiarato che quando l’Egitto diverrà uno Stato islamico i cristiani dovranno tornare a pagare la jizya, il tributo allo Stato. Una circolare del 1940, tuttora in vigore, proibisce ai cristiani di insegnare l’arabo nelle scuole e nelle università in quanto è la lingua del Corano.
per ristrutturare un bagno
Anche nel “moderato” Egitto la costruzione di una chiesa (e la manutenzione o la riparazione di quelle esistenti) necessita di un lungo iter burocratico. I cristiani devono ottenere via via l’approvazione delle autorità urbane, degli uffici locali e centrali della pubblica sicurezza poi di quelli (di nuovo locali e centrali) dei servizi d’informazione, della direzione generale degli affari amministrativi e quella degli affari legali. La pratica prosegue poi il suo cammino a caccia del consenso, prima del ministro dell’Interno, poi del primo ministro e, infine, del capo dello Stato che emana uno speciale decreto presidenziale in base ad una legge del 1934 che si ispira a sua volta al Khatti Humayun (Editto sovrano) ottomano del 1856. «Leggi questa roba», mi dice Mohammed el-Ghanam, già direttore dell’ufficio incaricato delle pratiche legali presso il ministero dell’Interno. È una pagina della gazzetta ufficiale egiziana: «Il presidente della Repubblica esaminata la Costituzione e in ottemperanza al decreto regale n. 51 del 1930… decide di autorizzare la comunità evangelica a demolire e ricostruire la scala e il bagno della chiesa». «Come si fa a non rimanere scioccati – commenta il musulmano Ghanam – quando non solo la costruzione di una nuova chiesa è soggetta a una serie interminabile di autorizzazioni, ma anche il semplice restauro di un bagno? Non è vergognoso? Un decreto presidenziale per ristrutturare un bagno!».

Exit mobile version