Andrea Bagnoli: matematico, pittore, cioè operaio dell’arte

Senza ombrello, sotto il temporale 36

Segnatevi questo nome. Andrea Simeone. Segnatevi queste date: 23 settembre-14 ottobre. E segnatevi questo indirizzo: via del Carmine 9, a Milano. Farete conoscenza con un personaggio straordinario, sbucato dal nulla. Ha 65 anni e uno spirito libero e baldanzoso, nonostante gli acciacchi. Viene da una vita dura, senza concessioni. Era l’allievo prediletto del maggiore matematico italiano, Renato Caccioppoli, lanciato a vent’anni verso una carriera universitaria. Ma Caccioppoli si uccise (e dalla sua storia Mario Martone ha tratto il suo bellissimo film “Morte di un matematico napoletano”) e Simeone non ritenne di poter continuare su quella strada. Scelse la cosa più umile e più confacente alla sua fede: andò a lavorare nelle acciaierie di Bagnoli, per tenere poi i corsi delle 150 ore agli operai. Cosa sono i numeri se il loro assoluto finisce con il negare le relazioni umane? Intanto Simeone riempie di svolte e di traslochi la sua vita. Fa innumerevoli mestieri, sempre cercando un rapporto artigianale e materiale con la vita. Come una vena lavica sotterranea tiene però cura della propria vera vocazione: la pittura. Non la lascia mai da parte, ma la tiene con pudore dietro le quinte. Sinché arriva la tappa milanese del suo pellegrinaggio italiano. Un ricovero di routine, la conoscenza con due persone che s’incuriosiscono di questa persona così guardinga, così vera, così fuori dagli schemi. Appena dimesso, il rapporto con queste due persone non viene meno. Loro vogliono che all’alba della terza età lui sia libero di fare quello che per tutta la vita ha fatto a sprazzi: l’artista. Simeone coglie la sfida con la carica di un giovanetto e si butta a capofitto. E in questi pochi anni il suo studio si trasforma in un antro magico pullulante di creature imprendibili, di maschere, di schegge riemerse dal passato, di sogni infranti e tornati a rivivere. Simeone ha la libertà del pittore dilettante, che si può permettere di tutto, ma poi svela la profondità di cose viste e meditate, di contatti, di conoscenze profonde con tutte le cose più vere prodotte dall’arte di questi decenni. È difficile situarlo ma è come se un Joseph Beuys avesse incontrato un Mimmo Paladino. Come se la grammatica libera e imprendibile del mitico artista tedesco si fosse impregnata degli umori pieni di ironia e di tenerezza della transavanguardia partenopea. Perciò segnatevi quel nome, quella data, quell’indirizzo.

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