Anche le Farc (nel loro piccolo) hanno un Piave

Colombia. Dopo quattro anni di trattative in cui il presidente Pastrana aveva fatto ogni concessione ai rivoluzionari (comunisti) di professione, i rivoluzionari (comunisti) di professione hanno rotto le trattative di pace e promesso di tornare a combattere come piace a loro: massacrando civili e sviluppando la più grande industria della cocaina mondiale (analoga a quella che i Talebani avevano impiantato con l’eroina in Afghanistan). Una lezione che l’Italia (che pure non è né un Paese delle banane, né dei fichi d’India) però farebbe bene a studiare di Maurizio Stefanini

Guerre che finiscono, guerre che iniziano. Mentre la comunità internazionale continua con una certa stanchezza a interrogarsi su dove si sono nascosti il Mullah Omar e Osama Bin Laden, e a vedere se il conflitto in Afghanistan avrà veramente una coda virulenta in Kashmir tra India e Pakistan, poco spazio è dedicato alle notizie che arrivano dalla Colombia e all’ultimatum del presidente Andrés Pastrana alla guerriglia delle Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia (Farc). Ultimatum che lunedì scorso è stato respinto dai guerriglieri (curiosa coincidenza: nelle stesse ore in cui l’ Italia precipitava nelle polemiche innescate dal “resistente” Procuratore F.S. Borrelli) nonostante l’estremo intervento dell’Onu per salvare un negoziato di pace sempre più moribondo (il pensiero analogico qui corre al tentativo moderatore del Presidente Ciampi).

Cosa succede a trattare

con i “rivoluzionari”

La Colombia è l’altro grande polo del narcotraffico mondiale. L’equivalente per la cocaina di quello che è l’Afghanistan per l’oppio. Anche qui, la causa è una guerra civile endemica, che con periodi di stanca e di recrudescenza va avanti ormai dal 1948. Quell’anno l’assassinio del leader populista liberale Jorge Eliecer Gaitán innescò l’ultimo sanguinoso regolamento di conti tra liberali e conservatori, i partiti che, come ben sa chi ha letto Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez, si erano affrontati per il potere durante tutto il XX secolo. Dopo 10 anni di sangue e l’intervallo di una dittatura militare, con la storica riappacificazione del 1958 i due partiti decisero infine di mettere una pietra sul passato, e di alternarsi in futuro al potere per via pacifica da leali avversari. Ma troppi odi si erano sedimentati in passato, perché tutti potessero tornare alla vita di tutti i giorni senza che nulla fosse. Un gruppo di guerriglieri liberali irriducibili, per cui ormai la guerriglia era più un mestiere che un’ideologia, si mise sotto il cappello del piccolo Partito Comunista, e portandosi le famiglie al seguito si mosse verso jungle e montagne dello spopolato interno del Paese, costituendo quelle che furono definite «repubbliche rosse indipendenti».

Fu così che nacquero le Farc. Negli anni successivi, con le mode sessantottine, gruppi di studenti vi si unirono, ma presto si trovarono emarginati, e preferirono uscirne per costituire movimenti per conto proprio: castristi, trozkysti, maoisti, indigenisti, perfino ispirati a una variante locale del peronismo. Con gli anni ’80 tutti questi gruppi si sbandarono o si reincorporarono nella politica normale, eccetto l’Esercito di Liberazione Nazionale (Eln), di ispirazione castrista. Ma le Farc sono sempre rimaste con l’arma al piede, anche dopo la fine di quell’Unione Sovietica cui facevano riferimento, pur se il Partito Comunista non ha mai disdegnato di presentare contemporaneamente liste alle elezioni. La chiamano «combinazione di tutte le forme di lotta»… Va detto che la doppiezza non è stata solo loro. Quegli esponenti della sinistra che hanno provato a agire nella legalità, specie dopo un tentativo di pacificazione negli anni ’80, furono spesso sterminati da sicari di gruppi paramilitari che a volte erano stati settori del governo a costituire, e altre erano espressione di quei ceti produttivi rurali più minacciati.

Premiata Multinazionale Comunista

(killer di bambini)

Oggi, però, l’esercito ha ormai preso di petto i paramilitari delle Autodifese Unite di Colombia (Auc) allo stesso titolo della guerriglia, anche perché le Auc si finanziano a loro volta con il narcotraffico, e il Dipartimento di Stato di Washington li ha messi nella lista nera dei gruppi terroristi internazionali. D’altra parte, proprio per dare ai guerriglieri garanzie di incolumità il presidente Andrés Pastrana, eletto nel 1998 presidente su una piattaforma di ampio mandato per una trattativa di pace, aveva consegnato alle Farc il Caguán: una vasta porzione di Amazzonia con sette municipi, delle dimensioni della Svizzera e con 100.000 abitanti. In questa area, chiamata pudicamente “smilitarizzata”, le Farc avrebbero potuto rifugiarsi, e lì il presidente era venuto fin dal suo insediamento a stringere le mani ai leader della guerriglia, e a discutere su un’agenda di riconciliazione nazionale.

Senonchè, mentre i dirigenti tiravano per le lunghe i negoziati discutendo con puntigliosità esasperante sui particolari più impensabili (dal numero delle camere in parlamento alla politica monetaria), intanto i combattenti delle Farc continuavano a sparare, trasformando praticamente la zona di rifugio in un santuario in cui hanno imposto la loro legge marziale e le loro imposte rivoluzionarie a colpi di escuzioni con revolverata alla nuca, e da cui sono partiti per distruggere caserme della polizia, sequestrare e uccidere colombiani e stranieri, tentare addirittura l’assalto a Bogotá. Chiara è l’impressione che in realtà alle Farc non interessi veramente la pace. Come partito, difficilmente otterrebbero più del 5% dei voti alle elezioni. Come organizzazione militar-delinquenziale, invece, sono in pratica la prima impresa di Colombia.

Tra narcotraffico, sequestri, estorsioni, contrabbando e riciclaggio nell’economia legale Farc e Eln insieme “fatturano” quasi 2 milioni di dollari al giorno, e 685 milioni di dollari l’anno. La Bavaria, prima impresa legale del Paese, non arriva che a 670 milioni. E il reddito pro capite dei 15.000 combattenti delle Farc e dei 5000 dell’Eln è almeno 62 volte quello medio di un colombiano che vive nella legge. D’altra parte Pedro Antonio Marí alias Manuel Marulanda alias Tirofijo, “tiro preciso”, il capo delle Farc, è un 73enne che fondò una banda con 14 cugini nel 1949, e da allora è sempre rimasto alla macchia. Jorce Briceño, alias El Mono (la scimmia) Jojoy, il suo braccio destro, in clandestinità è addirittura sempre vissuto, visto che è nato alla macchia da un padre guerrigliero. L’idea di vivere senza un mitra in mano, ormai, per loro è quasi inconcepibile.

Bogotà in attesa dei marines di Bush

Ma ormai il mandato di Pastrana è quasi scaduto, la campagna elettorale è cominciata, e il presidente è arrabbiato con se stesso per essersi fatto abbindolare dalle Farc, senza riuscire a dare al Paese la pace che aveva promesso. E anche il Paese è stanco, per l’insicurezza che la guerriglia crea un po’ in tutti, e che ha già portato oltre 7 milioni di colombiani a emigrare, per di più dei ceti più giovani e imprenditoriali. «Restano solo i delinquenti e i politicanti», dicono con amarezza. Dopo la guerra in Afghanistan, molti colombiani hanno la nuova speranza che gli americani, nella loro annunciata “guerra internazionale al terrorismo”, si ricordino anche della Colombia. I militari, che pure assicurano che l’esercito è cresciuto enormemente in efficienza negli ultimi anni, avvertono che non sarà così facile, che le Farc sono adattate al territorio, e sarà difficile snidarle. Ma, d’altra parte, c’è ormai pure la diffusa convinzione che un po’ di fermezza ormai ci vuole, e che a volte è meglio risolvere una situazione una volta per tutte che farla imputridire. Nell’ultimo decennio, la guerra a bassa intensità della Colombia ha provocato 35.000 morti e un milione e mezzo di profughi.

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