Aiutarli a restare

La libertà religiosa «è un diritto naturale», ma difenderla è un peso che spesso solo i cristiani si addossano. Parla Attilio Tamburrini, direttore di Aiuto alla Chiesa che soffre

L’Aiuto alla Chiesa che soffre lo ha scritto nel Rapporto sul 2006 e lo sa in forza di un impegno che dura da sessant’anni, che i cristiani sono sempre più a rischio. Soprattutto in Medio Oriente. «Il Vicino Oriente – recita appunto il rapporto – (Egitto, Iraq, Iran, Israele, Giordania, Libano, Palestina, Siria, Turchia) e, in generale, la presenza dei cristiani in paesi a maggioranza islamica (per esempio, in Pakistan e nella Nigeria del nord), diventano terre importanti per il nostro lavoro». Lo ha sottolineato alla manifestazione del 4 luglio scorso a Roma e lo ripete oggi a Tempi, Attilio Tamburrini, direttore nazionale dell’Opera di diritto pontificio, che risponde con la forza di chi opera concretamente per la libertà religiosa alle polemiche che hanno accompagnato la manifestazione.
Come agisce la vostra Opera?
Ci occupiamo dei cristiani nelle zone in cui è in atto una vera e propria persecuzione e dove sussistono problemi di natura politica o economica che ostacolano la missione evangelizzatrice della Chiesa. Aiuto alla Chiesa che soffre, infatti, si occupa di favorire l’azione pastorale della Chiesa e dunque di procurarne gli strumenti; dalla formazione dei seminaristi, al reperimento del materiale necessario per la liturgia. In Medio Oriente noi operiamo da sempre con borse di studio e opere di formazione. In Iraq, dopo la guerra, gli interventi si sono concentrati più sull’emergenza, vista la grande quantità di profughi. Abbiamo aiutato a trasferire a Kirkuk il seminario di Baghdad, perché lì la situazione era diventata insostenibile. Nel dilagare di guerra tra bande che è oggi l’Iraq i cristiani sono una minoranza non armata, dunque il pericolo è molto, molto grande. Caduto il regime è come se fosse venuta meno la gabbia che conteneva tutte le tensioni sociali, che pure erano presenti.
E la situazione nel resto dell’area?
La situazione è pesante in tutta l’area perché i cristiani stanno scomparendo come comunità. Noi abbiamo fatto delle campagne per aiutare le famiglie che vivevano di attività connesse ai pellegrinaggi in Terra Santa e che oggi sono in seria difficoltà. Se non vengono aiutate, quelle persone se ne andranno e sarà difficile che tornino mai indietro. E questo sarebbe un impoverimento grandissimo, anche per le comunità musulmane che vivono in questi luoghi.
La persecuzione dei cristiani in Iraq è iniziata con la guerra americana?
In Iraq sì. Lì di certo è iniziato tutto con la guerra, ma nel resto del Medio Oriente ci sono situazioni di tensione sociale che si trascinano da secoli, basti pensare alla Turchia o, recentemente, alla Siria. Anche lì i cristiani sono in calo, perché sempre più famiglie mandano i figli a studiare fuori e questi poi non tornano indietro.
Chi ha criticato la manifestazione di Roma ha detto anche che i cristiani dovrebbero mobilitarsi per tutte le minoranze perseguitate e non solo in difesa del proprio gruppo. Cosa ne pensa?
È evidentemente una critica senza senso perché quella manifestazione era per la libertà religiosa, poi, certo, c’era particolare attenzione ai cristiani e soprattutto a quelli del Medio Oriente, è l’attualità che lo impone. Ma la libertà religiosa è un bene di tutti, noi stessi la definiamo un diritto naturale. Nell’edizione 2001-2002 del nostro Rapporto sulla libertà religiosa noi denunciavamo l’oppressione della comunità sciita sotto Saddam, quindi non si può proprio parlare di una concezione “confessionale” di questo diritto. Piuttosto bisognerebbe notare il contrario e cioè il fatto che le iniziative per la libertà religiosa di tutti le fanno spesso soltanto i cristiani.

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