«Afd non è un partito neonazista»

«È pura propaganda enfatizzata dai media». Cosa sta accadendo in Germania secondo l’analista Manuel Ochsenreiter

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – È la grande novità della politica tedesca e, di conseguenza, europea, ma chi siano e cosa vogliano i militanti e i dirigenti di Alternative für Deutschland è ancora poco chiaro. Ciò che è certo, è che l’ingresso di circa 100 parlamentari nel Bundestag a Berlino alla destra della Cdu-Csu di Angela Merkel è un fatto di rilevanza storica. Dal dopoguerra ad oggi non si era mai riuscita a formare nella Repubblica federale una forza politica in grado di fare concorrenza “da destra” alla Dc tedesca: da una parte lo spettro del passato nazionalsocialista impediva la costruzione di un consenso significativo ad una formazione “nazionalista”, vista la assoluta damnatio memoriae che aveva colpito l’epoca hitleriana. Dall’altra, Cdu e Csu si erano rivelate in grado di rappresentare un ampio ventaglio di istanze politiche, sociali e culturali alternative alla sinistra, anche in virtù del fatto che la parte più consistente della “resistenza” al nazismo era stata rappresentata proprio dai settori più conservatori o di ispirazione cattolica della società tedesca, come dimostra il famoso tentativo di putsch anti-hitleriano del 20 luglio 1944 guidato dal colonnello Claus Schenk von Stauffenberg. È evidente che si è verificato negli ultimi anni un corto circuito tra il partito di Merkel e il suo elettorato di riferimento.

Ma ha senso descrivere Afd come un partito neonazista? «Non ci sono neonazisti in Afd. È pura propaganda politica enfatizzata dai media». Su questo tema Manuel Ochsenreiter è lapidario. Ochsenreiter è un analista politico ed esperto di geopolitica molto vicino ad Afd. Secondo alcuni è tra i principali ispiratori delle posizioni del partito in materia di politica estera: attualmente è direttore della rivista Zuerst! e presidente del German Center for Eurasian Studies e per molti anni è stato caporedattore della pagina politica del quotidiano conservatore Junge Freiheit. «La geografia interna di Afd non è così semplice come può apparire a prima vista», spiega a Tempi, «ma le fratture interne al suo gruppo dirigente sono soprattutto di tipo personale, anche se spesso vengono ammantate da ragioni politico-ideologiche. Jörg Meuthen, ad esempio, è un classico liberale, eppure lavora a stretto contatto con un conservatore nazionale come Alexander Gauland», finito sulle prime pagine di tutti i principali giornali europei per aver affermato che i tedeschi dovrebbero smetterla di vergognarsi dei propri militari, distinguendo l’operato della Wehrmacht durante la Seconda Guerra mondiale da quello delle Ss e dagli apparati del regime nazista. Gauland proviene dalle file della Cdu ed è un cattolico vecchio stampo, eppure questo non gli ha impedito di stringere alleanza con Alice Weidel, l’altra capolista alle elezioni, lesbica dichiarata e “sposata” con una cingalese. «La stessa Frauke Petry, che ha comunicato la sua decisione di abbandonare Afd assieme ad altri parlamentari e descritta dai media in contrasto con l’attuale dirigenza in quanto attestata su posizioni “moderate”, è in realtà colei che ha portato il partito a stringere alleanza con il Fpö austriaco e il Front National di Marine Le Pen, superando le resistenze proprio degli “estremisti” Gauland e Weidel».

Lotte di potere interne in cui le posizioni ideologiche c’entrano fino ad un certo punto. D’altronde il profilo programmatico di Afd si è andato definendo nel corso del tempo: nato come raggruppamento politico monotematico in chiave anti-euro, esso ha progressivamente fatto proprio il sentimento anti-islamico, sempre più diffuso in Germania, e le critiche alla politica di totale apertura agli immigrati propugnata dalla cancelliera, assumendo posizioni conservatrici sui temi eticamente sensibili, man mano che la Merkel, anche a causa di un governo retto da una maggioranza di Grosse Koalition, tendeva a spostare a sinistra il baricentro della sua azione. In effetti, pur avendo assunto ufficialmente posizioni “conservatrici” sul versante dei “valori”, Afd è per molti aspetti un fenomeno politico imparentato con il “populismo nordeuropeo” alla Pym Fortuyn, caratterizzato soprattutto dalla difesa dei valori della società occidentale aggrediti dall’avanzata dell’islam in Europa e da un diffuso, quanto generico, malcontento nei confronti del ceto politico tradizionale.

Una vera opposizione
«Si è voluta dipingere la vittoria di Afd come una rivoluzione che mette in crisi il sistema politico-istituzionale della Bundesrepublik così come lo abbiamo conosciuto finora. In realtà», sottolinea Ochsenreiter, «esso è stato già fortemente deformato, anche con violazioni significative della costituzione, dalla Merkel e dal suo governo, senza incontrare ostacoli da parte delle cosiddette opposizioni (Verdi innanzitutto). L’ingresso in forze di Afd in parlamento significa che nella prossima legislatura il governo dovrà rendere conto del suo operato ad una vera opposizione».

È ormai chiaro che la situazione sociale in Germania non è tutta rose e fiori come potrebbe apparire da una prospettiva mediterranea. Oltre alla “questione sicurezza”, determinata dal pericolo terrorismo ed esplosa nell’opinione pubblica con l’ondata di molestie sessuali avvenute nella notte del Capodanno 2016, c’è anche un problema sociale molto diffuso: «Esso colpisce soprattutto il ceto medio. Oggi per tirare avanti i tedeschi sono costretti ad avere anche due o più lavori precari contemporaneamente. L’esperienza quotidiana tradisce le statistiche positive diffuse dal governo. Questo ha generato una generale sfiducia verso le istituzioni», conclude Ochsenreiter, «e una parte di questa sfiducia si è riversata nelle urne a favore di Afd».

@alesansoni

Foto Ansa

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