Addio a Donna Summer, regina della disco music

La prima cosa che colpisce sono le pagine e pagine che i quotidiani hanno dedicato alla scomparsa della Regina della Disco, Donna Summer (al secolo LaDonna Andre Gaines, nata la notte di S. Silvestro nei sobborghi di Boston 63 anni fa). Ci saremmo aspettati solo qualche distratto trafiletto, con annessa foto formato francobollo, invece la memoria di quella che fu una rivoluzione musicale, che documentò il cambiamento dei costumi della gioventù “disimpegnata” nel pieno degli anni ’70 è ancora viva e vegeta. Che strano destino: gli stessi critici che, con una discreta puzza sotto il naso, la disprezzavano etichettandola alla voce “trash”, ora ne magnificano le sorti. È forse il segno che l’impero delle Lady Gaga, delle lady Ciccone e delle Rihanne non ha dato nulla di nuovo alla musica pop, anzi ha aumentato la nostalgia per quella disco dance, sincera e ingenua ma assolutamente travolgente, che trovò consacrazione definitiva in Saturday Night Fever.

Dal 1973 la produzione “seriale” di Barry White, Gloria Gaynor, KC and The Sunshine band, per citare i campioni del genere, oscurò il rock, che dovette aspettare almeno un lustro per ritornare fenomeno popolare con il punk. In quegli anni nasce la parabola artistica di Donna Summer, che, americana di Boston, trova marito durante la tourneè europea del musical Hair. Da questo matrimonio nasce una figlia e il suo cognome artistico: il marito, austriaco, si chiama Sommer e lei lo storpia in Summer; vive e lavora a Vienna in alcune produzioni teatrali, incontra il produttore altoatesino Giorgio Moroder che in breve tempo diventa il suo pigmalione, la chiama nei suoi studi discografici a Monaco di Baviera e in poco tempo la trasforma in fenomeno sexy, facendole interpretare quel Love to love you baby in cui, nella versione “estended play” di 17 minuti, si contano ben venti lunghissimi sospiri orgasmici (una leggenda dice che la Summer registrò il brano strusciandosi sul pavimento della sala di registrazione). Questa volta un successo dance partiva dai territori dolomitici e invadeva le frequenze in fm delle radio libere di tutto il mondo. Erano i primi milioni di dischi che arrivarono a cento nell’intera carriera dell’interprete di colore.

Ma quel primo, clamoroso successo, stracensurato dagli ambienti puritani, provocò un paio di equivoci: il primo lo rivelò più tardi la stessa cantante, rinnegando quel pezzo in nome di una fede cristiana mai abbandonata (come molte sue colleghe del soul Donna cominciò cantando nei cori gospel delle chiese americane). Il secondo equivoco, questa volta artistico, fu quello di essere considerata puro prodotto da studio di registrazione, risultato di filtri e missaggi. Invece non era così, Donna Summer era vera cantante, magari non superlativa, ma nemmeno virtuale. Ma il suo desiderio di affrontare un genere soul più adulto le fu sistematicamente precluso: la coppia di autori/produttori Moroder – Bellotte la rinchiusero nel dorato recinto della disco music per anni.

Nel 1977, sconvolse il mercato discografico e le classifiche con un brano che fece “tendenza”: I feel love si faceva forte della sua voce lamentosa e ancora una volta fortemente erotica accompagnata questa volta da un martellante groove, scaturito da un moog invadente e ipnotico. Ancora una volta è regina della disco dance, ma sarà l’ultima. L’album successivo Bad Girls, uscito alla fine dei ’70, accentua un impronta più rock. Ma la parabola comincia a scendere, non prima di avere azzeccato un leggendario duetto con Barbra Streisand. Il singolo No more tears sbanca tutte le classifiche.

È il canto del cigno. La carriera di Donna Summer continuerà, dopo aver abbandonato il suo scopritore Moroder, galleggiando tra un innocuo soul e un effimero pop, piuttosto scontati. Mentre la sua carriera “vivacchia” senza infamia e senza lode, arrivano riconoscimenti per il suo glorioso passato: dal ’94 ha una stella nella Walk of Fame e dieci anni dopo entra nella Dance Music Hall of Fame, in compagnia di Barry White e i Bee Gees. Intanto, anche la sua vita privata scorre serenamente dopo aver ricevuto il battesimo cristiano nel 1981 ed essersi risposata per la seconda volta. Il 17 Maggio 2012 si arrende a un tumore ai polmoni, che lei riteneva avere contratto l’11 Settembre 2001, trovandosi nelle vicinanze delle Twin Towers nei minuti dell’attentato. Oggi canta in Paradiso, accompagnata dall’orchestra diretta da Barry White, che le ha tenuto il posto dal luglio del 2003.

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