Abbronzatevi con questo: “Memorie e digressioni di un italiano cardinale” di Giacomo Biffi

L’antifascismo di Schuster, i rischi del pensiero dossettiano e quel dialogo con Wojtyla. Farina legge le memorie aggiornate di Biffi, arcivescovo emerito di Bologna e «apologia vivente del cattolicesimo come strada della pienezza umana»

Ripubblichiamo l’articolo uscito sul numero 47/2010 di Tempi.

Il cardinal Biffi. È bello dire così: il cardinal Biffi. Come si diceva e si dice: il cardinal Newman. Un uomo cioè. Senza eminenza, senza eccellenza davanti. Cardinal Biffi. Uno che ha addosso le vesti di porpora, ma esse – e vale perfettamente nei due casi citati – non coprono uno scheletro secco e un cuore di funzionario ecclesiastico, ma ricordano il sangue dei martiri, la passione e – benché la tonalità di colore non sia la medesima – il vino rosso e generoso. Alla fine dei tempi ciascuno si spoglierà del suo abito di scena, e apparirà che razza di uomini si sia stati. Ecco, Biffi è l’apologia vivente del cattolicesimo apostolico romano ma anche ambrosiano come strada della pienezza umana. E il suo libro di memorie, ripubblicato in questi giorni con ampi aggiornamenti (Memorie e digressioni di un italiano cardinale), fa venire voglia di vivere e persino di diventare vecchi.

C’è biografia e teologia. Uno zibaldone leopardiano (anche per la purezza della lingua) che meriterebbe a suo tempo una fiction televisiva, una trasposizione teatrale, e sarebbe adattissimo alla parte Gino Cervi, quello del cardinal Lambertenghi. Biffi usa questa tecnica, un po’ da prefazione degli Oscar Mondadori di una volta. Che cosa lui pensasse mentre accadevano certe vicende di peso mondiale, e che cosa ne pensi ora. Così racconta la sua infanzia, in centro a Milano. Il mestiere del padre. Si vedono le ringhiere di Porta Venezia, si sente la voce della mamma. Ma soprattutto entra in petto «il buon odore di Cristo». In ogni pagina è così. E questo “buon odore” non sono sentimenti effimeri, ma il permanente riflesso sensoriale (per chi non patisca di raffreddore) di una presenza oggettiva e personale di Dio nella storia, con la voce dei Papi e dei vescovi, ma anche dei santi e dei semplici fedeli, irrorati di divina-umana saggezza, come “la Sandra”, la perpetua, autrice della frase più meravigliosamente eretica dell’ortodossia cattolica: «Il Signore avrà i suoi difetti, ma una cosa l’ha fatta giusta, che muoiono tutti, signori e poveretti».
Nella prima aggiunta Giacomo Biffi racconta del 1938, quando non aveva ancora 11 anni, e l’arcivescovo di Milano, Ildefonso Schuster, intervenne in duomo con parole di straordinaria nettezza e difese senza paura gli ebrei oggetto delle infami leggi razziali di Mussolini. Pio XI lo appoggiò da Roma. I fascisti minacciarono di chiudere il quotidiano L’Italia. E allora l’invito di papa Ratti fu di non fare un solo passo indietro e «con concretezza milanese» – nota Biffi – chiese di passare i nominativi degli abbonati all’Osservatore romano, qualora i fascisti avessero osato bloccare la pubblicazione del giornale.

Un panino al jambùn
E qui si capisce che cosa voglia dire per Biffi essere cardinale sì, ma prima ancora, se non altro in ordine cronologico (ha avuto la berretta cardinalizia a 57 anni, nel 1985), italiano. «Ero solo un ragazzo; ma da quella vicenda ho capito quale fortuna “laica” e razionale sia, quando sopraggiunge l’ora della generale pavidità e del conformismo accondiscendente, la presenza nel nostro paese della Chiesa del Dio vivente, colonna e fondamento della verità (cfr. 1 Tm 3,15)». Non manca una punta polemica, lui guerreggia sempre, mai con rancore però: «C’è stato invece recentemente chi (dall’alto di una delle massime cariche dello Stato), in un intervento pubblico del tutto immotivato, ha parlato di un deplorevole silenzio della Chiesa in quella circostanza. Certo, essendo egli del 1952, ha l’attenuante che all’epoca non era ancora nato; ma ha l’aggravante di aver voluto ciò nonostante intervenire nel merito, rivelando al tempo stesso i suoi gratuiti preconcetti e la sua singolare disinformazione». Sarà mica Gianfranco Fini?

Biffi racconta come divenne arcivescovo di Bologna (qui il linguaggio è mio, se ne trova il resoconto nel mio libro Maestri, e il cardinale mi scuserà…). Se ne stava a Milano, e aveva già detto di no al nunzio. Finché arriva la telefonata del segretario del Papa, Stanislaw Dziwisz. «Domani sera ha impegni? È a cena da Sua Santità. Non deve dirlo a nessuno, assolutamente a nessuno». Ma alla perpetua dovette riferirlo. E lei: «Oh Signùr. Sun sicüra che lü dal Papa al mangerà nient. Ga prepari una michetta cul jambùn». La trascrizione è orribile, da far rizzare i capelli al Cherubini, ma il senso è chiaro: un panino col prosciutto da mettere in borsa. Biffi va dal Papa prendendo il primo aereo del mattino per prudenza. Infine sale negli appartamenti apostolici. Il Polacco sente le sue ragioni per il no, e poi gli dice: «Ci pensi, glielo chiede il Papa, mi risponda entro…» e disse la data. Biffi a questo punto disse di sì. Era arcivescovo di Bologna. Si era fatto tardi. Wojtyla gli domanda dove avesse preso alloggio per la notte. Biffi confessò. Da nessuna parte, ho prenotato l’ultimo aereo per Milano. Il Papa si preoccupò, chiese se ci fosse un’auto disponibile, trovò quella dei pompieri vaticani. Lo portarono in tempo a Fiumicino. Lì Biffi si accorse che non aveva toccato cibo, quasi sveniva per il calo degli zuccheri. Era appena diventato in pectore arcivescovo di Bologna e rischiava di non arrivare alla meta. Avvertì il profumo del “jambùn”, del prosciutto. Si mangiò il panino con gusto. Poi Wojtyla tutte le volte che lo vedeva lo prendeva amabilmente in giro, sul fatto che non volesse fare l’arcivescovo. Al punto che lo pregò di non dimettersi al 75esimo anno d’età, convinto che non vedesse l’ora di ritirarsi tra i libri.

Don Giuseppe, affetto e critica
Scrive divinamente, Biffi. È ironico, sarcastico, non ha rispetto per le opinioni del mondo. Neanche delle mie, a dire la verità. Osai scrivere un lontano giorno degli anni Ottanta dove stava trascorrendo le vacanze in Versilia. Non poté più vedere il mio nome senza desiderare di strozzarmi. Ammetto: aveva ragione. La cosa che più colpisce di lui è la perfetta coincidenza tra il gusto di amare Cristo e quello di mangiare un piatto di gnocchi. Non sto dicendo nulla di blasfemo, credo. È la familiarità con Dio. È il più duro di tutti nel denunciare la crisi della fede e il tradimento dei cristiani, ma non se ne preoccupa. Dice: «La Chiesa si fonda sull’avvenimento di Cristo, incarnazione morte e resurrezione. Un fatto non va in crisi». Questo gli permette di toccare senza paura qualsiasi tema. Dalla politica al pacifismo, dal marxismo edonista delle tagliatelle alla laicità dello Stato. Tra le pagine aggiunte ce ne sono alcune di critica al pensiero teologico e alla filosofia di don Giuseppe Dossetti, che era presbitero di Bologna, suo prete dunque. Ha parole di affetto per la persona e di stima per la sua dedizione a Dio. Ma sulle idee e sui libri: nessuna remora nel giudicarli perniciosi. E il fatto che queste note siano state accluse ora fa capire come il cardinale avverta il rischio di una deriva senza fine di queste idee che nella vulgata sono spicciamente definite “cattocomunismo”.

La prima constatazione di Biffi è su uno scritto tardo del Dossetti sulla strage dei nazisti a Montesole. Lì Dossetti cataloga le stragi. Ebbene non ci sono quelle comuniste, non c’è quella di Pol Pot, non ci sono le migliaia di uccisioni del triangolo rosso in Emilia da parte dei partigiani. Non sono nominati i parroci trucidati, neanche il sindacalista cattolico (per cui Biffi ha promosso il processo di beatificazione) che è stato finito a sprangate dai comunisti dopo che aveva portato i fiori alla fidanzata. E viene da commuoversi a ripeterne il bel nome: Giuseppe Fanin. Perché Dossetti ne tace? Ma poi il dossettismo viene denunciato come l’intrusione della politica nell’intimità della Chiesa, e della teologia in politica, con una confusione per cui Dossetti arriva a vantarsi di aver condizionato gli esiti del Concilio con la sua abilità manovriera. Per fortuna Paolo VI vigilava, dunque, come ha notato Sandro Magister, se per il cardinal Biffi don Dossetti fu un «discepolo generoso del Signore», la domanda ulteriore è: «Don Dossetti fu anche un vero teologo e un affidabile maestro nella sacra dottrina?». La risposta del cardinale è no.

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