007 donna. Non una buona notizia (per le donne)

Eliminare gli attributi di James Bond per sostituirli con altri politicamente e moralmente accettabili vuol dire che il meccanismo della catarsi ha fallito

Dunque la notizia è stata data in modo tendenzioso: non è vero che nel prossimo film della saga di James Bond l’agente segreto al servizio di Sua Maestà sarà interpretato da una donna afro-britannica; quel che succederà in realtà sarà che Bond, interpretato da Daniel Craig, andrà in pensione (doratissima) e il suo posto sarà preso da un’agente donna, interpretato da Lashana Lynch. Nessuna prometeica metamorfosi, nessun trionfo dell’ideologia genderista, ma una rivoluzione politica di tipo classico, sintesi di femminismo e terzomondismo: gli uomini bianchi, un tempo dominatori, sono demograficamente e politicamente destinati al gerontocomio della storia, e il loro posto viene preso dai popoli giovani e dal sesso femminile. Lashana Lynch che interpreta il ruolo che fu di Sean Connery sarebbe l’equivalente simbolico di Maria Luisa Pellizzari, la prima donna assurta alla carica di vice capo della polizia italiana, e di Ron Stallworth, il primo agente segreto afro-americano che infiltrò il Ku Klux Klan (naturalmente alle riunioni della setta mandava un sostituto bianco).

Donne e neri possono rallegrarsi dell’evento? Mah, io direi di no. Le donne soprattutto. Tanto per cominciare James Bond non è una persona in carne e ossa che occupa un ruolo nella realtà, ma un’icona, un personaggio creato dalla fantasia di uno scrittore con certe caratteristiche che possono certamente essere comuni a neri e bianchi, ma non a donne e uomini. Beve come una spugna, guida in modo sconsiderato auto di grossa cilindrata, seduce serialmente giovani donne con le quali la relazione dura meno della durata del film, uccide con freddezza e senza apparenti rimorsi. Ambire a prendere il suo posto significa considerare questa icona desiderabile, dando così una consistenza positiva a ciò che i film offrivano nella forma della catarsi: rappresentazione delle segrete passioni maschili per permettere all’anima degli spettatori – quella degli uomini ma anche quella delle donne – di liberarsene. Il fatto poi che lo scopo dichiarato dell’appropriazione sia quello di correggere le caratteristiche del personaggio – in un’intervista ad Harper’s Bazaar la Lynch ha affermato che nel film come nella vita si tratta di eliminare la «mascolinità tossica» – non fa altro che aggravare la situazione: eliminare gli attributi di James Bond per sostituirli con altri politicamente e moralmente accettabili vuol dire che il meccanismo della catarsi ha fallito e siamo dominati dalla paura di imitare i comportamenti sconsiderati del personaggio. Dobbiamo censurarli per non farli diventare nostri: la loro rappresentazione non è la strada che conduce alla liberazione dalla tentazione, ma al contrario porta alla loro imitazione. Ma, come insegna la psicanalisi, il rimosso ritorna nella vita reale sotto forma di nevrosi, e questa è una delle ragioni per cui i fautori del politicamente corretto andrebbero frustati dalla mattina alla sera (metaforicamente, catarticamente). La demonizzazione della mascolinità tossica nel mondo della rappresentazione porta al suo consolidamento nel mondo reale, come mostrano quasi quotidianamente le cronache. Carmen che uccide Don José al Maggio fiorentino anziché soccombere come da copione al suo carnefice, col convinto consenso del sindaco Nardella, non è un passo avanti nel contrasto ai femminicidi, ma esattamente il contrario: è la spia che non sappiamo cosa fare e cosa dire, è il modo di mascherare un’impotenza.

Ma non c’è solo questo: per quanto eventualmente depurato dalle caratteristiche della «mascolinità tossica», 007 rimane comunque un agente segreto modello di efficienza e spietatezza dal rendimento altissimo. Chiunque lo sostituisca, uomo o donna, bianco o nero o giallo, giovane o attempato, grasso o magro, dovrà comunque incarnare questi valori, pena la bocciatura (al botteghino e nella considerazione di critici e spettatori). Questo significa che per essere considerati uguali per dignità ai maschi bianchi dal fisico atletico e dall’intelligenza ingegneristica, le donne, i neri, i grassi, le “curvy”, ecc. devono garantire gli stessi standard di produttività. Quando costoro credono di ricolonizzare l’immaginario collettivo perché prendono il posto del James Bond classico, in realtà si sottomettono alla logica efficientista dominante, che non ha sesso o colore perché è il pensiero alla base di ogni asettico dispositivo tecnologico. Quella logica contro la quale siamo stati recentemente messi in guardia dall’enciclica di papa Francesco “Fratelli tutti”, là dove leggiamo che il diritto a vivere con dignità e a sviluppare la propria personale vocazione,

«Ognuno lo possiede, anche se è poco efficiente, anche se è nato o cresciuto con delle limitazioni; infatti ciò non sminuisce la sua immensa dignità come persona umana, che non si fonda sulle circostanze bensì sul valore del suo essere. Quando questo principio elementare non è salvaguardato, non c’è futuro né per la fraternità né per la sopravvivenza dell’umanità. (…) Una società umana e fraterna è in grado di adoperarsi per assicurare (…) che tutti siano accompagnati nel percorso della loro vita, (…) perché possano dare il meglio di sé, anche se il loro rendimento non sarà il migliore, anche se andranno lentamente, anche se lo loro efficienza sarà poco rilevante» (nn. 107 e 110).

L’ideale efficientista, poi, comporta che la donna rinunci agli attributi biologici della maternità: il concepimento, la gravidanza, il parto. Questi devono essere ingegnerizzati ed esteriorizzati rispetto al corpo della donna perché fonte di inefficienza e caratteristiche svantaggiose nella competizione coi maschi. I film devono contribuire a convincerle che questo cambiamento è ineluttabile. Tutte queste Lara Croft che sparano e fanno capriole, tutte queste donne dalla Cina (paese del figlio unico e degli aborti forzati) che volteggiano nell’aria e menano fendenti con le loro katane (fa niente che sono giapponesi), queste vendicative spose imbrattate di sangue di Kill Bill che hanno perso la bambina che portavano in grembo e uccidono la loro carnefice (Vernita) davanti alla figlioletta, a che cosa alludono se non all’inopportunità della maternità biologica in un mondo dove bisogna sempre essere pronti a combattere? A questo stuolo e al suo messaggio nulliparo dunque presto si unirà la versione femminile dell’agente 007. Ma per fortuna nostra e delle donne c’è chi comincia a rendersi conto del piano scivoloso su cui sono state incamminate: «Il sistema tecnico radicalizza l’isolamento biologico delle donne, specialmente pernicioso da quando deve essere considerato come una scelta», scrive la neo-femminista Marianne Durano nel suo Mon corps ne vous appartient pas. «È per questo che è più saggio che mai parlare del corpo femminile come di un corpo materno, sottoposto come tale a tutte le tecniche che cercano di addomesticarlo. La maternità temuta, la maternità promessa, la maternità differita giustificano tutte le alienazioni tecniche della donna. Tale è il nuovo volto che assume la sua dominazione plurisecolare». Donne, 007 in versione femminile vi promette un altro progresso nell’emancipazione, e invece fa parte del nuovo sistema di dominazione che vi toglie il potere più grande che avete.

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