«Ho visto pompieri coi fucili in mano, e militari di corpi speciali con la maschera sul viso, incappucciati di maschere nere, così che ne vedevi solo gli occhi e il naso. Stavano di guardia all’angolo di una strada vicino al Lafayette Park». «John Gibson aveva l’appalto di una stazione Shell. Racconta che la sua auto si è rotta. Che l’ha riparata. Che gli è stata rubata. Poi l’ha ripresa, per servirsene per partire con alcuni vicini che portavano con sé un fucile e una pistola. John Gibson dice che aveva paura».
Le cronache della Cnn da New Orleans parevano qualcosa di già visto. Queste sono le scene raccontate da Spielberg ne “La guerra dei mondi”: la fuga su un’auto che va difesa con le armi, l’assalto di una folla inferocita, la guerra per la sopravvivenza sulle rovine di una grande metropoli americana. E quanti ne abbiamo viste sullo schermo di queste apocalissi, da “Independence day” a “The day after tomorrow” a Spielberg.
Profezie di una catastrofe ventura, e quasi incombente, alle calcagna. Come se gli americani dopo l’11 settembre avessero metabolizzato che nemmeno il più potente paese del mondo è una fortezza inespugnabile. Che la fine può presentarsi un mattino, inaspettata. Come ne “La guerra dei mondi”, dove il cielo è azzurro quando cadono i fulmini degli invasori (invasori che avevano posto i loro semi maligni nel cuore della terra, in inaccessibili profondità, e in quegli abissi li avevano lasciati fin dall’inizio dei tempi, molto prima che iniziasse la storia).
E questo Nemico antichissimo, fin dal principio insinuato nel buio, è un’allusione evidente. Come la percezione che una ferita primordiale è ancora, sempre aperta, nell’avanguardia delle civiltà. La morte, la catastrofe, di quell’antichissimo nemico sorelle, possono colpire in un momento. E in quell’istante si tornerà come selvaggi.
Predatori, o predati. Tra i grattacieli orgogliosi. Scriveva Eliot ne I cori della rocca: «è difficile per coloro che vivono presso una Banca/ Dubitare della sicurezza del loro denaro. /è difficile per coloro che vivono presso un Commissariato/ credere nel trionfo della violenza. Pensate (…) che i leoni non abbisognino più di guardiani?». Belve, a pochi chilometri dal centro spaziale di Houston. Il Primo Mondo vulnerato e inferocito, il Primo Mondo annichilito. E una violenza radicale che risorge, e paralizza gli aerei e devasta le autostrade e rende i cellulari inutili, sorde scatole di plastica. Come era già stato raccontato. Come nella profezia di un inconscio collettivo, che avverte come, nel più garantito dei mondi, si è da sempre vulnerati, e vulnerabili.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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