Caro direttore, dall’11 settembre 2001 al 2 dicembre 2015 si sono verificati una serie di fatti molto importanti inerenti al rapporto fra civiltà occidentale e civiltà islamica. Dall’11 settembre 2001 al 2 dicembre 2015 i media non hanno descritto i fatti ma hanno accumulato, una sopra l’altra, innumerevoli interpretazioni dei fatti. Lo strato delle interpretazioni sovrapposte è ormai talmente spesso che i fatti ne sono occultati. Le più diffuse sono due: una in chiave marxista e una in chiave anti-Huntington. A questo punto quello che bisogna fare non è aggiungere un’altra interpretazione, presumibilmente migliore, ma confutare queste interpretazioni alla luce dei fatti stessi che esse occultano.
I sostenitori dell’interpretazione in chiave marxista sono gli stessi che negli anni ’70 stavano apertamente dalla parte di Ho Chi Min, Pol Pot e chiunque combattesse contro gli Usa, potenza liberal-capitalista per eccellenza. Di norma, o ignoravano o fingevano di ignorare o minimizzavano l’entità dei crimini commessi da chiunque combattesse contro gli Usa o addirittura ne addossavano la responsabilità agli Usa stessi. Ad esempio, quando si venne a sapere che in Cambogia era in atto in genocidio di vaste proporzioni, molti di loro (fra cui l’anti-Fallaci Tiziano Terzani) si dissero convinti che a massacrare i cambogiani fossero agenti della Cia travestiti da Khmer Rossi… (per la cronaca, tra il 1975 e il 1979 i Khmer Rossi di Pol Pot, non gli agenti della Cia, hanno liquidato circa 2,5 milioni di persone). Oggi questi sessantottini, che hanno superato da un pezzo la sessantina, non riescono a provare molta antipatia per i terroristi, dal momento che i terroristi combattono contro gli Usa. Quindi cercano di minimizzare le colpe dei terroristi islamici, descrivendoli come “vittime” dell’imperialismo occidentale. E il bello è che poi gli stessi ti dicono anche che Al Qaeda e l’Isis sarebbero stati creati e finanziati dagli Usa. Quindi, nella visione vetero-marxista i terroristi religiosi da una parte combatterebbero contro il fantomatico “imperialismo” degli Usa e dall’altra sarebbero stati creati proprio dagli Usa… La logica elementare non sembra davvero essere il loro forte.
Per capire in che senso i taglia-teste sarebbero “vittime” da scusare, bisogna ripassare brevemente i fondamentali del marxismo in chiave terzomondista. Dunque, per il marxismo l’umanità si dividerebbe in due “classi” che lotterebbero ininterrottamente fra loro (“lotta di classe”): ricchi (borghesi-capitalisti) e poveri (lavoratori-proletari). I primi sfrutterebbero i secondi, che di conseguenza avrebbero il diritto e il dovere di ribellarsi con la violenza “rivoluzionaria”. Ieri i ricchi avrebbero sfruttato i poveri all’interno dei paesi occidentali, oggi i paesi occidentali (ricchi, capitalisti) sfrutterebbero economicamente i paesi del Terzo Mondo (poveri), consumando da solo il 75% delle risorse mondiali. Non ancora sazi, nello scorso decennio avrebbero mandato gli eserciti in Afghanistan, Iraq, Libia e Siria solo per prendersi qualche pozzo di petrolio in più (le famose “guerre del petrolio”). Contemporaneamente, proprio all’interno dei paesi occidentali, gli autoctoni sfrutterebbero economicamente ed emarginerebbero socialmente gli immigrati musulmani. Stanchi di essere maltrattati dentro e fuori i loro paesi, alcuni islamici sceglierebbero dunque la strada della rivolta armata. Anche se dicono e credono di avere obiettivi religiosi, in realtà i terroristi avrebbero solo obiettivi squisitamente politico-economici: liberare i popoli musulmani dall’oppressione occidentale.
Ogni volta che i terroristi fanno qualche strage in Occidente (e con quella di San Bernardino siamo a sette), i sessantottini sessantenni non ce la fanno proprio a condannare i terroristi senza qualche “ma”, “se”, “però”. “Gli attentati di New York, Madrid, Londra, Parigi e San Bernardino”, dicono “sono conseguenze delle guerre del petrolio iniziate da Bush”. Dunque dal loro punto di vista la colpa dei suddetti attentati non ricade sui terroristi che li hanno fatti ma sulle vittime stesse. Di conseguenza, queste ultime farebbero bene a subire in silenzio sia perché, in fondo, se lo meriterebbero sia perché se provassero a reagire, innescherebbero la “spirale delle violenze”: «Se alla violenza del loro attacco alle Torri Gemelle noi risponderemo con una ancor più terribile violenza – ora in Afghanistan, poi in Iraq, poi chi sa dove -, alla nostra ne seguirà necessariamente una loro ancora più orribile e poi un’altra nostra e così via. Perché non fermarsi prima?» (Tiziano Terzani, San Francesco e il sultano, Corriere della sera, 7 ottobre 2001).
Per demolire gli argomenti marxisti, basta confrontarli con un poco di realtà. In primo luogo, è vero che l’Occidente consuma il 75% delle ricchezze mondiali ma è altrettanto vero che, prima di consumarle, le produce. Inoltre, riversa ogni anno montagne di miliardi di aiuti ai paesi africani e compra petrolio dai paesi arabi. Invece che per aiutare i poveri dei loro paesi, i satrapi africani usano i soldi occidentali per ingrassare i loro conti e per finanziare le loro guerre tribali (parola di Dambisa Moyo). Invece che per creare posti di lavoro nei paesi musulmani, gli emiri usano i soldi del petrolio per farsi installare rubinetti d’oro, per aprire moschee e centri culturali islamici nei paesi occidentali e per finanziare i terroristi dell’Isis.
D’altra parte, gli immigrati di religione musulmana presenti in Occidente sembrano molto meno poveri di tanti altri immigrati: riempiono le città di minimarket, macellerie islamiche e rosticcerie. Lo stipendio che guadagnava nel centro disabili consentiva a Sayed Farouk, autore della strage di San Bernardino, di pagare un mutuo per la casa e fare viaggi in Arabia Saudita. Brahimi Abdeslam, il terrorista che si è fatto esplodere in boulevard Voltaire il 13 novembre 2015, gestiva un bar a Molenbeek, quartiere arabo di Bruxelles. Amedy Coulibaly, il terrorista che ha assaltato l’Hyper Cacher il 7 gennaio 2015, aveva lavorato a lungo in una fabbrica della Coca Cola (ci sono europei autoctoni che, in questi tempi di crisi, darebbero un rene per avere il posto che aveva lui). Come se non bastasse, gli occidentali “sfruttatori” regalano agli immigrati in difficoltà case popolari e sussidi di ogni sorta (gli stessi europei autoctoni di cui sopra darebbero l’altro rene per avere una casa popolare nelle “squallide” banlieues parigine). Rimasti orfani in tenera età, i fratelli franco-algerini Said e Chérif Kouachi, autori della strage alla redazione del Charlie Hebdo, erano cresciuti in una casa famiglia pagata dai contribuenti. Anche molti jihadisti hanno imparato a campare alle spalle dei contribuenti “infedeli”. Lo Stato svedese assiste dalla culla alla tomba gli immigrati musulmani, che per ringraziare mettono a ferro e fuoco le periferie svedesi a scadenze regolari. Invece, i capi terroristi non hanno bisogno né di lavorare né di percepire sussidi, perché sono schifosamente ricchi di loro.
Dunque i musulmani sembrano essere tutto fuorché vittime di ingiustizie sociali varie ed eventuali. Ma anche se gli occidentali sfruttassero veramente i musulmani, ebbene neanche in quel caso si potrebbe interpretare il terrorismo religioso come un effetto (“sovrastruttura”) delle ingiustizie economico-sociali. Il mondo è pieno di gente povera e oppressa che non si dà al terrorismo ed è pieno di gente che si dà al terrorismo ma non è né povera né oppressa da chicchessia.
Per andare al sodo, l’ideologia religiosa (o pseudo-religiosa: scegliete voi) dei terroristi è straordinariamente simile ad una ideologia nata e morta in Europa nel secolo scorso: il nazismo. Gli storici che mettono in relazione la rapida affermazione del nazismo in Germania con la crisi economica e monetaria provocata dai “debiti di guerra” e dal crollo delle borse nel 1929, devono spiegarci come mai la Grande Depressione degli anni Trenta non ha devastato solo la Germania ma in nessuna delle nazioni devastate è germinato qualcosa di paragonabile al nazismo. E poi, di quali ingiustizie sociali sarebbero stati esattamente vittime i membri delle SS e gli aguzzini dei campi di sterminio?
Per quanto riguarda le cosiddette “guerre del petrolio”, il petrolio non c’entra niente. Gli Usa e i loro alleati non sono intervenuti in Afghanistan, in Iraq, in Libia e in Siria per prendersi qualche pozzo di petrolio in più né per farsi delle nuove colonie. Se qualcuno ha visto dei governi coloniali in Afghanistan e in Iraq, ce lo faccia sapere. Gli Usa e i loro alleati avevano un solo obiettivo e l’hanno pure raggiunto: rovesciare dei regimi dittatoriali che sembravano collusi (e forse in parte lo erano veramente) con le organizzazioni terroriste. Adesso sappiamo bene che i registi occulti del terrorismo bisogna cercarli altrove (nella penisola arabica) e che i regimi che sono stati rovesciati erano largamente preferibili ai regimi terroristi che ne hanno preso il posto.
In conclusione, negli ultimi quindici anni gli Usa e i loro alleati hanno colpito gli obiettivi sbagliati in Medio Oriente. Tuttavia, chi è attaccato ha il diritto di difendersi e contrattaccare (considerando che la migliore difesa è l’attacco). Perché nessuno si ricorda mai dell’11 settembre? Dunque si può chiedere alle nazioni occidentali di scegliere meglio gli obiettivi prima di colpirli, ma non si può chiedere loro di non colpire, di non reagire, di subire in silenzio.
I marxisti vorrebbero precisamente che gli occidentali subissero in silenzio sia perché, in fondo, se lo meriterebbero sia perché non sarebbe possibile difendersi senza innescare la “spirale delle violenze”. Probabilmente, nel 1939 Terzani avrebbe consigliato alle potenze alleate di non reagire alle “provocazioni” di Hitler e fargli altre concessioni, dopo avergli concesso i Sudeti in pacco dono. In realtà, spiace dirlo, ma quando gli eserciti alleati entrarono in Germania, non allargarono la spirale delle violenze: la interruppero. Non sembra probabile che, se domani mattina gli eserciti occidentali intervenissero in Siria, dopodomani si moltiplicherebbero gli attentati nei paesi occidentali. Secondo la logica elementare, quanto più diminuisce il numero dei terroristi, tanto più diminuisce il numero degli attentati.
Col senno di poi, possiamo dire che negli anni Ottanta gli Usa hanno fatto male a finanziare vari gruppi jihadisti sunniti, fra cui i talebani, affinché scacciassero gli invasori russi dall’Afghanistan. A quei tempi credevano ancora, ingenuamente, che “chi combatte contro il mio nemico è mio amico”. Ancora non avevano capito che chi combatte contro il tuo nemico può essere a sua volta tuo nemico. Ancora non avevano idea di quello che lo storico Samuel Huntington (morto nel 2008) avrebbe chiamato “scontro di civiltà”. La visione dello storico americano, morto nel 2008, non si accorda con la visione marxista. In breve, secondo Marx la cultura e la religione di un popolo sarebbero solo “sovrastruttura” della “struttura” economico-sociale della loro società. Paragonando il popolo ad un solo uomo, ebbene nell’ottica marxista tutti i pensieri e i desideri di un uomo sarebbero solo una rappresentazione simbolica e allegorica dall’andamento della sua digestione e il fine ultimo di tutte le sue scelte e tutte le sue azioni sarebbe quello di soddisfare lo stomaco.
Assumendo dunque che l’economia è “struttura”, tutte le guerre fra i popoli, anche quelle “di religione”, avrebbero solo ed esclusivamente fini economico-politici. Ebbene, lo storico americano ha messo in crisi la visione marxista dimostrando che, in realtà, le guerre più importanti dell’ultimo secolo, a partire dalla lunga guerra non guerreggiata fra Usa e Urss, avevano principalmente motivazioni culturali ed ideologiche. Egli avvertiva che, dopo la fine della guerra fredda, allo scontro fra blocco sovietico (portatore dell’ideologia comunista) e blocco americano (portatore dall’ideologia liberal-capitalista) sarebbe subentrato lo scontro fra civiltà occidentale (portatrice che valori che, direttamente o indirettamente, discendono dal cristianesimo) e le altre civiltà, in particolare la civiltà islamica.
La tesi di Huntington non poteva non scandalizzare tutti gli intellettuali che contano, dal momento che tutti gli intellettuali che contano, anche quelli non marxisti, ragionano inconsciamente in termini marxisti. Se la storia desse anche solo in parte ragione ad Huntington, sarebbero costretti ad ammettere pubblicamente di essersi sempre sbagliati nella vita e finalmente il mondo del pensiero occidentale si libererebbe degli ultimi avanzi irranciditi del pensiero marxista. Cosa ancora più importante, se Huntington avesse ragione, ci aspetterebbe un futuro pieno di lacrime e sangue. Spaventati a morte, tutti gli intellettuali e tutti i giornalisti fanno dunque a gara per dare torto al professore americano e per zittire chiunque osi soltanto nominare l’espressione “scontro di civiltà”. Insomma, essi sembrano pensare che basti parlare di “scontro di civiltà” per renderlo reale (“profezia che si autorealizza”) e che viceversa basti non parlarne per scongiurarlo. Vorrei chiedere loro se, per non prendersi il cancro, sia sufficiente dimenticarsi che il cancro esiste e mettere a tacere gli oncologi.
Per demolire la tesi dello “scontro di civiltà”, intellettuali e giornalisti ripetono ossessivamente che l’islam non è un unico blocco monolitico, che ci sono tanti islam, che l’islam autentico è l’islam moderato, che la stragrandissima maggioranza dei musulmani sono moderati e che i musulmani moderati si possono integrare perfettamente nella società occidentale. “Confondere tutti i musulmani con pochi fondamentalisti violenti è come confondere tutti gli italiani con pochi mafiosi”. Se proprio devono parlare dei crimini contro le donne compiuti da immigrati musulmani, intellettuali e giornalisti si preoccupano sempre di aggiungere che anche gli uomini europei violentano, picchiano e uccidono le donne (la propaganda sul “femminicidio” funziona a pieno regime). E se proprio devono parlare di attentati compiuti da terroristi che si professano apertamente islamici, cercano di rimuovere l’aggettivo “islamici”. “I terroristi non hanno religione”, dicono. Oltre a togliere loro l’aggettivo “islamici”, tolgono la colpa dalle loro spalle e la mettono sule spalle della società occidentale: “È colpa del governo, che non ha saputo varare delle efficaci politiche per l’integrazione, ed è colpa di tutti quelli che amano troppo l’identità occidentale e criticano troppo i musulmani”.
Il loro pensiero su identità e islamofobia è assai confuso. Ai loro occhi, se ogni tanto ci scappa qualche parola critica contro la comunità islamica integrata da cui proviene il terrorista integrato di turno, non siamo più esseri umani ma “islamofobi”. Secondo loro, infatti, criticare i musulmani significherebbe “fomentare l’odio” e “fomentare l’odio” significherebbe fare aumentare il terrorismo. Quindi il terrorismo sarebbe un prodotto delle critiche al terrorismo stesso… Vabbé. Secondo loro, inoltre, la nostra identità culturale e religiosa farebbe paura agli immigrati islamici, che per reazione cercherebbero rifugio nel fondamentalismo e nel terrorismo. Se ne deduce che, dal loro punto di vista, per farci amare dai musulmani dovremmo odiare noi stessi e sciogliere la nostra identità nell’acido del nichilismo multiculturale (perché multiculturalismo è sinonimo di nichilismo: se tutte le culture hanno lo stesso valore, quel valore è uguale a zero). In altri termini, per impedire alla profezia dello “scontro di civiltà” di “autorealizzarsi”, dovremmo annullare la nostra civiltà. Infatti, non ci si può scontare contro il nulla. Con la stessa contorta logica, per non essere uccisi bisogna suicidarsi.
Gli argomenti sono molti e quindi la brevità è d’obbligo. In primo luogo, gli studiosi dell’islam ci spiegano che “islam moderato” non significa “islam riformista”. Esistono certamente degli intellettuali riformisti, che vogliono portare i valori occidentali dentro l’islam, ma sono molto pochi e non comunicano con le masse dei cosiddetti “moderati”, che non aderiscono al fondamentalismo e non praticano il terrorismo ma non si decidono neppure a condannare e a combattere con convinzione l’uno e l’altro. Le manifestazioni degli islamici “moderati” che si sono svolte all’indomani del 13 novembre sono state tutto fuorché oceaniche: a Parigi hanno manifestato in trenta, in Italia hanno manifestato meno di mille, di cui la metà non musulmani. Per il resto, abbiamo saputo che delle studentesse marocchine sono uscite dalla loro classe durante il minuto di silenzio dedicato alle vittime di Parigi, che migliaia di spettatori turchi in uno stadio turco hanno fischiato durante il minuto di silenzio dedicato alle vittime di Parigi , che i detenuti islamici di un carcere di Cosenza hanno festeggiato la buona riuscita degli attentati di Parigi, che un brano di musica dance dal titolo “Allahu Akbar” ha cominciato a scalare le classifiche dopo il 13 novembre, che infine, secondo un sondaggio mostrato da Vespa a “Porta a porta”, il 20% dei musulmani d’Italia non condanna gli attentati di Parigi, mentre secondo un sondaggio condotto da Al Jazeera, l’80% degli arabi sta dalla parte dell’Isis.
Guardiamo al bicchiere mezzo pieno: ottanta musulmani italiani su cento prendono le distante dal terrorismo, anche se con poco entusiasmo. Ma anche se cento musulmani su cento prendessero le distanze dal terrorismo, anche se non esistesse proprio un terrorismo islamico, rimarrebbe un problema fondamentale: la stragrande maggioranza dei musulmani non vogliono rinunciare a valori, usi e costumi che sono incompatibili con i nostri, in altri termini non vogliono diventare pienamente occidentali. Sappiamo di musulmani “integrati” che sposano impunemente più donne, che le picchiano e le segregano, che infibulano le figlie, che le costringono a sposare chi non vogliono, che le sgozzano se si innamorano di qualche “infedele”. Sappiamo di interi quartieri di città europee in cui vige ufficialmente la sharia (gli autoctoni occidentali non possono entrare se non a loro rischio e pericolo). Per quanto riguarda la violenza sulle donne, intellettuali e giornalisti si dimenticano sempre di specificare primo che gli episodi di violenza sulle donne che avvengono fra poche decine di migliaia di immigrati musulmani sono molto più numerosi degli analoghi episodi che avvengono fra milioni di italiani autoctoni e, secondo, che gli italiani, quando fanno violenza sule donne, infrangono le leggi italiane mentre gli uomini di religione musulmana, quando fanno violenza sulle donne, non si sa bene se infrangono le loro leggi. Possiamo inventare e sperimentare, una dopo l’altra, tutte le possibili e immaginabili “politiche per l’integrazione” ma saranno sempre tutte inefficaci. La verità è che è impossibile per definizione integrare chi non vuole integrarsi.
Infine, si potrebbe pensare che, pure di salvare la pelle, vale la pena sacrificare la nostra identità spirituale. Una volta si diceva: “Meglio rossi che morti”. Oggi si potrebbe dire: “Meglio nichilisti che morti” e “meglio senza identità che senza vita”. L’unico problema è che il nichilismo multiculturale non serve neppure a salvare la pelle. Infatti, i paesi in cui l’identità cristiana-occidentale è stata più efficacemente annichilita sono anche i paesi più islamizzati. Prendiamo il paese che in questi giorni è sotto i riflettori: il Belgio. Alcuni dei terroristi del 13 novembre provenivano da Molenbeek: un quartiere di Bruxelles che è ormai un piccolo fortino islamico dentro lo stato belga. Ironia della sorte, a novembre è uscito un curioso film, che a quanto pare è molto rappresentativo della cultura dominante in Belgio oggi: Dio esiste e vive a Bruxelles (Jaco Van Dormael, Lussemburgo, Francia, Belgio 2015). Un critico ha detto che è un film «garbatamente blasfemo». Mentre i belgi autoctoni si divertono ad irridere “con garbo” il Dio uno e trino, i credenti nel Dio unico si prendono le loro città. Lo spazio lasciato vuoto dalla nostra identità, dai nostri valori e dalla nostra cultura è destinato ad essere riempito dall’identità, dai valori e dalla cultura di qualcun altro.
In conclusione, abbiamo esaminato una per una le due interpretazioni dominanti che occultano la verità dei fatti. Secondo l’interpretazione in chiave marxista, il terrorismo islamico sarebbe un effetto collaterale delle ingiustizie economico-sociali prodotte dall’Occidente capitalista. Secondo l’interpretazione in chiave anti-Huntington, sarebbero la “islamofobia” e l’orgoglio identitario degli occidentali a trasformare musulmani moderati e pacifici in musulmani fondamentalisti e violenti. Queste due interpretazioni si basano su una visione ideologica (già denunciata da Alain Finkielkraut nello scorso decennio) secondo cui gli occidentali “agiscono” mentre i non occidentali “reagiscono”. Se assumiamo che loro “reagiscono”, cercheremo di tenerli buoni agendo il meno possibile o non agendo affatto. Infatti, secondo tutti gli intellettuali e tutti i giornalisti (con l’esclusione di pochi “islamofobi”) quello che gli Usa avrebbero dovuto fare in Afghanistan e in Iraq all’indomani dell’11 settembre è niente di niente e quello che noi cittadini dovremmo fare nei confronti degli immigrati musulmani è tutto di tutto ossia soddisfare prontamente ogni loro bisogno e ogni loro desiderio. D’altra parte, i musulmani “integrati” che partecipano ai talk-show hanno imparato che, per ottenere tutto quello che vogliono, devono ripetere gli argomenti che leggono su Repubblica: “Alcuni musulmani diventano terroristi per colpa dei crociati, che hanno aggredito i paesi islamici nel Medio Evo, per colpa delle nazioni europee, che hanno colonizzato le nazioni musulmane nel XIX secolo, per colpa degli americani, che oggi bombardano i paesi musulmani, e per colpa degli xenofobi, che emarginano i giovani musulmani e li costringono a vivere in periferie-ghetto, per colpa dei leghisti, che in Italia non ci fanno aprire tutte le moschee che vogliamo e ci offendono con i loro crocifissi e i loro presepi”.
Ora, nessuno è senza peccato, ma c’è chi ha più peccati degli altri. L’Occidente ha sicuramente tante colpe ma, come abbiamo visto, non ne ha nei confronti dell’islam. Non è vero che le nazioni occidentali sfruttano e opprimono le nazioni islamiche e non è vero che i cittadini occidentali maltrattano gli immigrati musulmani. Non è vero che il successo del fondamentalismo islamico è conseguenza della “islamofobia” degli occidentali (casomai è l’islamofobia ad essere una conseguenza del successo del fondamentalismo). «Noi non abbiamo generato questo mostro con le nostre politiche neocoloniali. Non stiamo pagando per i nostri crimini. (…) La jihad non è contraccolpo, bensì progetto di conquista. L’Occidente deve liberarsi della convinzione megalomane di dettare sempre lui le danze» (Alain Finkielkraut su Repubblica del 22 novembre 2015).
Se nella vita privata un conoscente ci minacciasse apertamente di morte, non ci passerebbe nemmeno per l’anticamera del cervello di dare la colpa a noi stessi e non ci metteremmo a stilare un elenco accurato dei nostri peccati in pensieri, parole, opere ed omissioni dall’infanzia ad oggi: daremmo la colpa a lui e cercheremmo di fermarlo. Un nemico spietato vuole distruggere noi e la nostra civiltà. Per quanto tempo ancora dovremo parlare di islamofobia, emarginazione sociale, crociate, colonialismo, neocolonialismo e pozzi di petrolio prima di cominciare ad affrontarlo seriamente? Le comunità islamiche presenti nelle nostre nazioni non condannano con troppa convinzione il terrorismo e dal loro interno continuano a uscire sempre nuovi terroristi presunti “isolati”. Quando cominceremo a trattare gli immigrati musulmani come adulti responsabili? Quando cominceremo a chiedere loro di rendere conto di tutto quello che fanno in parole, opere, ed omissioni? Sono loro che devono integrarsi, non noi che li dobbiamo integrare. Sono loro che devono condannare il terrorismo e stanare, uno per uno, i fanatici che si annidano nelle loro comunità. Sono loro che devono agire.