Lettere al direttore
Vescovi tedeschi verso lo scisma. «Alla Germania non serve un’altra Chiesa protestante»
Leggo sul Foglio che i vescovi tedeschi proseguono nel loro cammino sinodale in aperto contrasto con la Chiesa. La conferenza episcopale ha approvato gli statuti che, entro il 2026, daranno vita a quel consiglio chiamato a decidere su alcune questioni non di poco conto per la vita della Chiesa. Le ricordo ai distratti: celibato dei preti, donne diacono, benedizioni gay, laici che somministrano sacramenti, apertura alle istanze gender. Il fatto che mi sorprende di più è che, nonostante il Papa stesso e la curia vaticana abbiano più volte richiamato i vescovi tedeschi a non commettere questi gravi errori e ad interrompere il percorso che hanno avviato, questi proseguono imperterriti.
Chiara Mocci
Come ha raccontato a Tempi Dorothea Schmidt, che ha partecipato alla prima fase del Sinodo e poi l’ha abbandonato, esso ha chiari «intenti scismatici». I vescovi, tutti di tendenze spiccatamente progressiste, vogliono «creare una nuova Chiesa stravolgendone la dottrina sessuale e adottando un linguaggio pieno di asterischi prono all’ideologia gender». Questi tentativi stupidi di rincorrere le mode del mondo e di uniformarsi allo spirito del tempo, come ci disse una volta monsignor Massimo Camisasca, è inutile: «Noi non dobbiamo rincorrere il mondo. Per rimanere nella stessa immagine direi così: dobbiamo rincorrere le persone. Cercare l’uomo smarrito e mostrargli la luminosità della vita cristiana che, certo, comporta anche prove e sacrifici, ma in vista di un bene e di una felicità più grandi». Cosa ce ne facciamo di una Chiesa che ci ripete gli stessi stanchi ritornelli del mondo? L’ha detto in maniera efficace papa Francesco: «Alla Germania non serve un’altra Chiesa protestante».
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Ci siamo visti LA Confidential, da voi consigliato, ottimo metropolitan western. Se potete, segnalate più film su Rai Play (è gratis).
Loris Pevere
Il nostro Simone ci aveva già pensato (Spulciando il catalogo ostico ma gratuito di RaiPlay). E, a proposito di cinema, tra poco annunceremo una novità.
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Complimenti alle Iene, uno spot migliore ai Cav non potevano farlo! Quando si dice: “Eterogenesi dei fini”.
Corrado Gajetti
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Gentile direttore, il Centro donne contro la violenza di Aosta ha denunciato «pressioni e interferenze» da parte di volontari pro-life subite da donne una volta arrivate nei consultori per interrompere volontariamente la gravidanza. L’imposizione dell’ascolto del battito fetale, la promessa di sostegni economici e di beni di consumo: sarebbe stata questa la strategia usata per dissuadere dalla scelta di abortire nella regione più piccola d’Italia. Silvana Agatone, presidente dell’associazione Laiga 194 afferma che «la legge non dice da nessuna parte di fare ascoltare il battito. Non ha nessun senso, anche perché nell’immaginario ci può sembrare un cuore ma, in realtà, sono impulsi elettrici tradotti in suono: quindi servono a suggestionare e a colpevolizzare le donne, facendole sentire male». Non è così. Infatti già al 21esimo giorno (la terza settimana) di gravidanza il cuoricino con una sua forma ben precisa comincia a battere e pompare il sangue nel piccolo corpo dell’embrione umano (e continuerà fino alla morte). Non si tratta affatto di “impulsi elettrici” come afferma, sbagliando, Silvia Agatone. Già al primo anno di Medicina lo si studia in Embriologia e tutti i futuri medici chirurghi lo capiscono. Da notare poi che la terza settimana di gravidanza (quando comincia il battito cardiaco) coincide con la prima settimana di “ritardo” della mestruazione che fa capire alla donna la possibile gestazione. E quando la donna si presenta al consultorio per “interrompere” ciò che è già iniziato, il cuore ha una forma quasi completa perché al 2° mese gli organi sono formati. Molte donne che rinunciano all’aborto… ringraziano se diciamo loro la verità e nessuna è ritornata indietro accusando di “tremenda intromissione”.
Gabriele Soliani Reggio Emilia
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È tempo di bilanci, di giudizi e di riflessioni. Anche sui sistemi di valutazione adottati (più o meno consciamente) nelle scuole italiane. La docimologia è quella branca della pedagogia che pretende di essere una disciplina scientifica che si occupa dei criteri e dei parametri applicati nella valutazione scolastica. Malgrado la presunta obiettività scientifica delle tecniche di verifica all’insegna dei criteri docimologici in voga, la valutazione è un’operazione globale, costante e formativa, nella misura in cui esige l’analisi di un ventaglio di fattori dinamici e motivi di ordine soggettivo ed interiore e socio-affettivo, da cui non si può astrarre e che non sono misurabili in termini matematici. In sostanza, nel processo di verifica e di valutazione dei discenti occorre tener conto di una molteplicità di fattori di origine psico-emotiva, morale e caratteriale, che interferiscono inevitabilmente nel rapporto dialettico tra docenti e discenti e nella prassi didattica quotidiana. Per cui l’adempimento della valutazione costituisce l’aspetto più arduo e complesso, ingrato e spiacevole della professione docente. Ciò non può ridursi ad un mero esercizio di calcolo incentrato sui famigerati quiz con le crocette. Ormai, quando mi chiedono: “che lavoro fai?”, rispondo con amara ironia: “addestro piccoli concorrenti per i quiz INVALSI”. Benché sia sarcastica, la risposta non è affatto distante dalla realtà. Il guaio è che, in qualunque scuola insegni, si incontrano colleghe a cui una simile “mansione” aggrada. O, perlomeno, è accettata supinamente. Mi riferisco all’obbligo di somministrare i quiz calati dall’INVALSI. L’ideologia più fanatica ed ottusa che mai si sia vista nel mondo della scuola è l’ideologia assolutistica ispirata alla docimologia ed alla sua pretesa di oggettività scientifica, ma in realtà pseudo-scientifica. Una velleità autoritaria, che si incarna nel sistema di valutazione INVALSI. Un modello fallito ovunque sia stato applicato. Un carrozzone clientelare, inutile e costoso, gradito soltanto ai funzionari, ai burocrati ministeriali ed ai dirigenti scolastici. Ormai fare scuola si riduce a mansioni di sorveglianza degli alunni, “parcheggio” di giovani disoccupati permanenti, una sorta di “ufficio di collocamento” per futuri precari cronici. L’opera educativa è mortificata da chi per decenni ha malgovernato la scuola. Ad esempio, l’animatore digitale è l’ultima delle demagogiche invenzioni lessicali del nostro ministero, impegnato da oltre vent’anni a diffondere nelle scuole “cultura digitale”. Per “cultura digitale” hanno inteso il fatto di dotare le nostre scuole di qualche strumento tecnologico in più e di fornire qualche istruzione per poter smanettare con un approccio prettamente funzionale. In tal senso, l’utilizzo del registro elettronico costituisce l’esempio più evidente e paradigmatico della balordaggine e dell’insignificanza ai fini culturali, educativi e pedagogici della cosiddetta “dematerializzazione”. Ma la cosa che rattrista maggiormente è vedere gli insegnanti, che dovrebbero avere come “unico” pensiero quello della didattica, ossia del metodo e delle strategie per stimolare meglio l’apprendimento dei loro allievi, adoperarsi per mostrare la loro fedeltà al dirigente. A dispetto della celebre frase di Piero Calamandrei, il “miracolo” compiuto dalla scuola è esattamente l’inverso: anziché formare dei cittadini, la scuola italiana sforna dei sudditi, nella misura in cui gli stessi insegnanti sono ridotti in uno stato di sudditanza. È una situazione esasperata ulteriormente dalla legge n. 107 del 2015: la discrezionalità dei DS è eccessiva ed esiste un concreto rischio di “feudalizzazione” del mondo della scuola, una crescente condizione di subalternità dei lavoratori della scuola nei confronti del capo. D’altronde, questa è la funzione che il potere capitalistico assegna ad un “apparato Ideologico di Stato” qual è la scuola. Come ben spiegava Louis Althusser e come seppe intuire, alla sua maniera, Pier Paolo Pasolini.
Lucio Garofalo
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Ciao Raffaele. Dal 1976 ho lasciato un partito politico per seguire l’esperienza di amicizia di persone coinvolte nel Movimento popolare di Formigoni e dei cattolici popolari. Mi hanno educato che il destino è il solo che libera l’umano dal suo istinto utilitaristico: Cristo. L’antifascismo… Non voglio fare lo storico, è vero il fascismo è stato una dittatura, non un totalitarismo che azzera ogni diversità in una nazione (vedasi la Chiesa Cattolica, le varie liste civiche contadine, i vari leaders delle opposizioni mandati al confine o in carcere, e anche senza le immancabili uccisioni che accadono di chi sta al potere). Non dimenticare, è vero. Ma i massacri dei partigiani bianchi ad opera dei stalinisti delle brigate Garibaldi, le Foibe dei titini, i preti e i seminaristi massacrati e odiati da chi aveva fede nella classe operaia…. Volevano l’Italia nel blocco del socialismo sovietico. Ho partecipato ad assemblee in fabbrica-sono ex operaio – e ai cortei . Non ho dimenticato dal fatto che votavo DC gli sputi e le aggressioni dandomi del mafioso. Ho dovuto usare la forza fisica per non avere la peggio contro gli antifascisti rossi. In tutto ciò, credo che vanno riletti gli articoli a riguardo, di Luigi Amicone. Ciao Raffaele. “Quid est Veritas?”.
Marco Ciarfaglia
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