Utero in affitto, da quando denunciare la donna-cosa è ossessione della destra?
Il Parlamento europeo, la Corte Costituzionale, la Francia di quella sorta di Internazionale laica e femminista guidata dalla filosofa Sylviane Agacinski o dell’ateo e post anarchico Michel Onfray, la Spagna del governo Psoe-Podemos, Germania, Svezia: tutti manutengoli di Torquemada e Goebbels? Ma per favore.
La Commissione giustizia della Camera ha adottato il testo base di Giorgia Meloni per perseguire la maternità surrogata (già vietata in Italia dalla legge 40 e punita con reclusione da 3 mesi a 2 anni e con la multa da 600 mila a un milione di euro) come reato anche se commesso all’estero, e la reazione di radicali, lgbt ed editorialisti di casa nostra è dagli alla marmaglia fascista, reazionaria, oscurantista, bigotta, omofoba, illiberale e cattostronza.
Da quando comprare bambini è diritto e non reato?
C’era bisogno di aggiungere quella minuscola postilla all’articolo 12 della legge del 2004 come richiesto dalla leader di Fdi, «Le pene stabilite dal presente comma si applicano anche se il fatto è commesso all’estero»? Sì. Ignorare le dimensioni e le conseguenze del turismo procreativo, in primis l’imposizione delle trascrizioni all’anagrafe da parte dei tribunali (valga per tutti il caso Milano), non è più possibile. Così come ignorare paginate e servizi quotidiani a tema “giù le mani dalla gestazione per altri”, “nessuno giudichi”, “non conta la tecnica ma l’amore”, “legalizziamo la surrogata solidale e scompariranno gli illeciti” che stampa e tv hanno dedicato a casi terribili (vedi quello della bambina dal nome di fata o dei bambini di Kiev, conservati in hotel o intrappolati nei bunker) per rivendicare anche in Italia il “diritto” universale al bambino.
Ma da quando dire che “comprare un bambino non è un diritto ma è un reato”, è una turba cattolica? O dire che una donna non è uno “strumento di produzione” (copy Karl Marx) è di destra? Quella per rendere l’utero in affitto reato universale è una battaglia portata avanti dalla gran parte della sinistra europea, paesi che dal nord al Mediterraneo poco hanno da imparare sull’estensione selvaggia del concetto di laicità dei partiti e dello Stato. A guidarla, al grido “i bambini non si vendono e non si comprano, le donne non si usano e gli uteri non si affittano”, senza usare mezze parole o sciocchezze semantiche, non sono i preti bensì atei, laici, femministe, intellettuali, lesbiche. E a considerarla un crimine, duramente sanzionato in patria, non è solo l’incivile bigotta e vaticana Italia: produrre bambini è legale solo in 20 stati del pianeta terra. Venti su oltre duecento stati. Ma di cosa stiamo parlando?
La “donna-cosa” e Meloni più avanti di Marzano
Stiamo parlando di una pratica contro la quale si è pronunciato il parlamento europeo, e contro la quale la Corte Costituzionale ha lanciato un affondo esplicito («L’utero in affitto offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane», sentenza Giuliano Amato, non Guido Cristini), e di cui sono documentate tutte le storture, là dove è legale, da fior fior di movimenti internazionali, a partire da Stop Surrogacy Now di Jennifer Lahl, e da giornalisti (vedi i servizi di Monica Ricci Sargentini dall’America, il Guardian sulle surrogate ucraine, i viaggi di Abc per ritrovare i piccoli Gammy e Bridget). Stiamo parlando di una pratica denunciata da alfieri dei diritti del calibro di Aurelio Mancuso, Luisa Muraro, Marina Terragni, Paola Tavella, da Arcilesbica e Se non ora quando, e che ha già mostrato dove porti l’impeccabile teoria del piano inclinato, quando, aperta la porta alla bioingegneria applicata al corpo, ci si ritrova inevitabilmente davanti a ciò che resta alla fine della narrazione dell’amore favolistico: la “donna-cosa” (copy Miriam Mafai, non Costanza Miriano), un ventre svuotato e una fattura in mano.
Stiamo parlando di una questione pubblica, non di ciò che succede nel tinello, sul divano o sul tappeto dei giochi di casa: non c’è nulla di ragionevole, a questo proposito, nell’ennesima difesa sentimentale di biografie personali intentata da Michela Marzano per scagliarsi contro Meloni. Una difesa fondata sul circuito di “gratitudine” innescato da una mamma surrogata altruista che voleva solo pagare l’università alle figlie e rendere felici due papà. Perché non è a tema né in discussione la felicità degli adulti (e certamente dei bambini), ma il cammino per arrivarci.
Surrogata è amore? No, è mercato
Perché, chiede Marzano alla Meloni, «quando si parla di questa pratica, non si riesce semplicemente a nominarla per ciò che è, e si deve per forza connotarla negativamente utilizzando espressioni come “utero in affitto” o “maternità surrogata”?». Perché bisogna chiamare le cose col loro nome e quando si compra o cede un essere umano stiamo parlando di mercato. Non se ne esce con le trappole semantiche e l’adozione del linguaggio (“dono”, “amore”) di cui si serve il marketing. «Vorrei tanto che l’onorevole Meloni, e tutti coloro che hanno votato questa legge, mi dicessero con chi hanno parlato, con quali donne sono entrate in contatto, con quanti bambini nati per Gpa hanno mai giocato. – continua Marzano -. Conoscono la realtà oppure imbastiscono odio sul nulla?».
Nessun paese in cui la maternità surrogata è legale è sfuggito allo scandalo, non è vero che l’assenza di regolamentazione porta dritta al mercato nero (come sostiene Cappato: è vero piuttosto il contrario), e non sono “nulla” le storie delle donne sfruttate o dei bambini scartati, come avviene in ogni mercato. Ma la questione resta: quale sarebbe il punto di caduta di un ragionamento sul diritto al figlio in un contesto di compravendita (mandare a memoria la risposta di Marina Terragni alle fanatiche della “surrogata solidale” e gli improvvidi paragoni con l’adozione) che stima un giro d’affari da 27,8 miliardi entro il 2025? Chiedere allo Stato di eliminare ogni ostacolo di natura materiale e sostanziale per goderne?
Bambini beni preziosi uguale a bambini usa e getta
Infine stiamo parlando della produzione artificiale di essere umani. Non di gesti individuali motivati da amore, gratitudine, altruismo, bensì di persone giuridiche che non possono essere messe in vendita o regalate ed è giusto punire chiunque abbia preso parte al mercato della nascita (è la strada della Spagna che ha annullato i contratti di utero in affitto sottoscritti all’estero decretando, per i “fatti consumati”, che il riconoscimento della relazione materno-filiale della madre non biologica avvenga solo mediante l’adozione).
Perché non importa quanto sia bello, pulito e controllato il packaging, il biglietto di accompagnamento, la gioia lungo la catena di montaggio, trattare i bambini come beni preziosi da donare e ricevere non è che il rovescio della medaglia del trattarli, appunto, come beni, cose usa e getta. In 22 stati strappare i cuccioli alla madre prima delle 8 settimane è illegale, vietare la creazione intenzionale di un quadro giuridico in cui questo avvenga per i bambini alla nascita è di destra, omofobo e oscurantista? Ma per favore.
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1 commento
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giustissimo
da leggere l’intervento chiarissimo e coraggioso di Martina di LEU su Avvenire di oggi