È arrivata la settimana delle unioni civili. Il Parlamento si è riunito e entro venerdì, forse già giovedì, è previsto il voto finale. come annunciato in tv da Fabio Fazio, Matteo Renzi ha annunciato la fiducia alla Camera sul provvedimento già passato al Senato. «I giochi sono chiari da tempo», dice a tempi.it l’onorevole Eugenia Roccella, del gruppo parlamentare Idea. Reduce dall’intervento in aula, dove ha ribadito la sua netta contrarietà all’operazione della fiducia che ha tolto ogni possibilità di dibattito, la deputata risponde a qualche nostra domanda.
Onorevole Roccella, cosa si aspetta da questa settimana?
Non mi aspetto niente, non ci si può più aspettare niente. La storia di questo disegno di legge inizia sotto il nome di Monica Cirinnà e finisce con la coppia Renzi-Alfano. È stato tutto un pasticcio, che termina bruscamente, con il capo del Governo che decide di saltare la parte della discussione. Che ne è stato degli emendamenti che erano stati proposti dai parlamentari? Non ha più importanza, perché la legge delle unioni civili è stata legata alla fiducia. Perciò si vota seccamente, o con un sì o con un no.
Cosa non le piace della mossa di Renzi?
L’articolo 72 della Costituzione dichiara che ogni disegno di legge presentato alle Camere deve essere esaminato da una commissione e poi dalle Camere stesse, che approveranno o bocceranno gli articoli. Con il semplice richiamo al voto di fiducia si sta bypassando l’iter legislativo, in barba all’incostituzionalità di un procedimento del genere. Cito testualmente le parole di Renzi, pronunciate davanti alla platea giovani democratici, a fine marzo: «Se non metto la fiducia col cavolo che passa la legge delle unioni civili». Ha addirittura dichiarato pubblicamente che sta facendo un colpo di mano. In questo senso, fanno riflettere le parole di Massimo Gandolfini, che recentemente ha sottolineato la pericolosità del referendum costituzionale di ottobre, che darebbe ancora più poteri al Governo. Visto il modo di comportarsi di Renzi sui cosiddetti temi etici, viene da chiedersi dove andremo a finire.
Strettamente legato al tema delle unioni civili c’è quello dell’utero in affitto. Serve una legge?
In Italia c’è già una legge che vieta questa pratica, solo che si cerca in tutti i modi di rimuoverla: si chiama legge 40. C’è chi ricorre al mercato estero, come Nichi Vendola e il suo compagno. Io sostengo che non si debba dimenticare le mamme. Se si vuole riconoscere all’anagrafe italiana quel bambino come figlio, allora deve essere indicato anche il genitore biologico o i genitori biologici. Visto che è stato tutto ridotto a un mercato, con tariffe, allora ritengo serva una “tracciabilità” delle mamme, di chi ha prestato l’utero o di chi ha donato l’ovocita. Nell’anagrafe italiana dovrebbe essere indicati quei nomi, per il bene del bambino, che avrà diritto a conoscere le sue origini. In Italia chi è stato adottato, una volta maggiorenne, potrà chiedere al tribunale di essere messo a conoscenza delle sue origini, perché i figli dell’utero in affitto non dovrebbero avere questo diritto?
È servito che nella votazione del 25 febbraio venisse bocciato il comma 20, quello relativo alla stepchild adoption?
Quella è stata un’altra stortura. Solo dopo il 25 febbraio ci sono state cinque sentenze di giudici che hanno sancito l’adozione in famiglie omogenitoriali. Il comma 20 non è stato del tutto stracciato, ha solo spostato la delega di giudizio ai tribunali. Che sono praticamente indirizzati a riconoscerla. Non c’è stata una netta presa di posizione contraria alla stepchild adoption, ma in fondo è tutto in linea con il modo in cui è finita la legge sulle unioni civili. Legata alla mozione della fiducia, svuotata del tutto dall’eventuale protesta del Parlamento.
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