Cosa pensa dell’“assedio di Ardoyne”?
È incredibile persino per gli standard a cui ci ha abituati l’Irlanda Settentrionale. Nemmeno nei momenti più virulenti di quel settarismo che da tempo funesta la regione si è giunti a rivalersi così sui bambini. L’anno scorso, quelle alunne non ebbero alcun problema, ma quest’anno la situazione è cambiata per quella sorta di fiato sul proprio collo che i protestanti ritengono di percepire. E i gruppi lealisti estremisti sono pronti a sfruttare ogni occasione che possa generare paura fra gli unionisti.
Ma gli sforzi di pace hanno oggettivamente raggiunto risultati senza precedenti…
Le frange protestanti più estremiste sembrano sentirsi fortemente minacciate proprio da ciò. Si sentono esautorate, private del proprio status sociale. Ovviamente parlo degli elementi più radicali, quelli che tendono sempre a creare nuove opportunità di scontro frontale…
E secondo lei questa tensione potrebbe portare a una rottura della tregua?
No, non credo. L’Ira non sarà certo tanto sciocca da cadere nella trappola tesa da questi tentativi di innescare una escalation del confronto. Perché poi dovrebbe farlo? In fin dei conti, la propaganda repubblicana nordirlandese sta funzionando: sia unionisti che lealisti godono di cattiva fama. Del resto, vicende come quelle dell’Holy Cross Primary School finiscono solo per coprire di ridicolo chi le organizza.
Ma allora cosa vogliono ottenere gli estremisti protestanti con queste azioni “dimostrative”?
Beh, una certa parte dei lealisti cerca anzitutto di attirare l’attenzione dei media, nella speranza di tornare a fare notizia e dunque di riguadagnare quel terreno che pensa di aver perduto. Per quanto riguarda altri soggetti, si tratta solo di un gesto totalmente irrazionale: c’è molta gente attratta dai comportamenti irrazionali e i lealisti sfruttano la situazione.
Cosa rimane oggi degli Accordi del Venerdì Santo per il disarmo delle milizie?
Se paragonata alle brusche e sanguinose frenate che il processo di pace ha subito in Medio Oriente, la situazione dell’Ulster è molto meno esplosiva. L’Ira e i gruppi paramilitari lealisti, le due ali estreme dello scenario nordirlandese l’una contro l’altra armata, tacciono. Il “cessate il fuoco” resiste soprattutto a livello macroscopico. A mio avviso, però, l’ostacolo maggiore resta il persistente rifiuto dell’Ira di deporre le armi. Se lo facesse, i timori degli unionisti si smorzerebbero perché mancherebbero i pretesti per gettare benzina sul fuoco che cova sotto la cenere.
Le sue parole mi confermano un dubbio persistente. Definire la questione nordirlandese in termini di “guerra di religione” fra cattolici (tutti da una parte) e protestanti (tutti dall’altra) appare riduttivo persino dal punto di vista sociologico…
È vero. Lo scontro è precipuamente politico. Tanto per cominciare, la maggior parte dei capi della parte nazionalista e repubblicana è completamente secolarizzata. E la tradizione politica a cui si richiama è figlia della Rivoluzione francese. Deriva da Theobald Wolfe Tone (1763-1798), il rivoluzionario filogiacobino che fondò gli “United Irishmen” inaugurando (con il supporto militare del Direttorio di Parigi) la tradizione insurrezionalista irlandese, un Wolfe Tone che nacque protestante e che finì “libero pensatore”… L’Ira viene da questa tradizione. Per quanto concerne le contee contese, la religione non è affatto il nocciolo della questione; lo è invece la domanda (simbolica): “La bandiera dell’Ulster è il Tricolore irlandese o lo Union Jack britannico?” Che i protestanti di quella regione discendano da immigrati di origine scozzese che s’identificavano con l’Inghilterra protestante e che gli altri, figli e nipoti d’irlandesi autoctoni o presenti nella Verde Isola da tempo immemorabile, siano in gran parte cattolici attratti dal Tricolore del Sud è accidentale. La religione viene solo ad aggiungersi a un quadro che di per sé ha altre tinte, complicandolo.