
Per la prima volta da quando Recep Tayyip Erdogan si presenta alle elezioni presidenziali, il “sultano” non ha vinto al primo turno ma dovrà affrontare il ballottaggio, che si terrà il 28 maggio. Il leader dell’Akp ha ottenuto il 49,4 per cento dei voti, mentre lo sfidante Kemal Kılıçdaroğlu, leader del partito laico Chp e alla guida di una coalizione inedita di sei partiti, ha raggiunto il 45 per cento. I due sfidanti si contenderanno i voti del candidato di estrema destra, Sinan Ogan, che ha conquistato il 5,2 per cento dei voti.
Erdogan esulta, ma non sfonda
Nella notte Erdogan ha esultato: «Siamo chiaramente in testa», ha detto parlando alla folla dalla terrazza del quartier generale dell’Akp, forse non aspettandosi di dover affrontare un ballottaggio per la prima volta in vent’anni, ma comunque confortato dalla conquista della maggioranza in Parlamento con 316 seggi su 600 (insieme all’alleato nazionalista Mhp).
Lo sfidante Kiliçdaroglu, dopo aver accusato Erdogan di brogli, si è dimostrato sicuro delle sue possibilità: «Se la nostra nazione chiede un secondo turno, lo accetteremo volentieri. E lo vinceremo assolutamente. Dobbiamo instaurare la democrazia in questo paese».
Kiliçdaroglu ha ottenuto la maggioranza dei voti nel Sud-Est del paese, dove vivono molte comunità curde, e nelle grandi città, comprese Istanbul e la capitale Ankara.
«Non bisogna farsi troppe illusioni»
Il giorno precedente al voto i due candidati hanno cercato di sottolineare le rispettive differenze. Erdogan si è fatto riprendere a pregare a Santa Sofia, dal presidente riconvertita in moschea, per galvanizzare il suo elettorato conservatore e islamista. Kiliçdaroglu ha visitato il mausoleo del padre della Repubblica laica Mustafa Kemal Atatürk.
In realtà, l’eventuale sconfitta di Erdogan difficilmente trasformerebbe la Turchia in un paese allineato alle politiche dell’Occidente. «Non bisogna farsi troppe illusioni», sottolinea in un commento sul Corriere della Sera Paolo Valentino, «né immaginare che tutto diventerebbe più semplice nei rapporti con Ankara».
Sognando la fine della Turchia autoritaria
Lo aveva già scritto Rodolfo Casadei su Tempi:
«Che si tratti della presenza militare della Turchia in Libia e in Siria, dell’ostilità alle Fds siriane considerate emanazione del Pkk, del sostegno militare all’Azerbaigian contro l’Armenia, della protezione della Repubblica turca di Cipro, dell’espansione dell’area di influenza della Turchia nelle acque del Mediterraneo (il progetto “Patria blu”), nel Caucaso e nell’Asia centrale, dell’ambiguità strategica grazie alla quale la Turchia estrae il massimo vantaggio possibile dalla guerra in Ucraina, dove appoggia con armi e mediazioni per l’esportazione dei cereali il governo di Kiev, ma mantiene vantaggiosi rapporti economici e commerciali con la Russia ignorando le sanzioni Usa e Ue, in nessun caso la politica estera di un esecutivo Kılıçdaroğlu si distanzierebbe da quella dell’ennesimo esecutivo Erdogan».
La fine dell’autoritarismo del “Sultano” e magari del suo progetto neo-ottomano, però, sarebbe già una prima confortante notizia. Soprattutto per tutti quei turchi che non hanno mai dimenticato la repressione della protesta di Gezi Park e non sopportano più le purghe di Erdogan e l’accentramento del potere nelle mani di un uomo solo.
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