Intervistato dopo la sua morte dalla Rai Tv mi chiesero come mai il Pasolini era così benvoluto in Friuli, mentre l’opinione pubblica romana non sempre lo giudicava così. Risposi che tra l’opinione pubblica e l’essere di ogni qualsiasi persona esiste un abisso; specialmente quando questa, intellettualmente, è superiore e nel caso di Pasolini, conosciuto dalla massa solo attraverso le crudeli cronache, che hanno urlato la morte di un perduto, ciò che lui poi in effetti non era, perché lo è soltanto colui che non sa essere o non osa essere se stesso. Anche quando viene rinnegato. Pasolini era amato in Friuli perché lui amava il Friuli e la sua gente. (…) Era amato specialmente per quanto aveva a Casarsa con umiltà, sensibilità e spirito di altruismo, per aver contribuito notevolmente a sollevare le sorti di quella gente nell’immediato dopo guerra.
A Roma non ha avuto modo di fare altrettanto se non in casi limitati, perché era conosciuto solo per le sue opere, ma poco di persona. Eppure non si era mai allontanato dalla vita dei poveri neanche a Roma, facendone una ragione di ispirazione per i suoi capolavori denunciandone le sue miserie e questi, sono certo, gli volevano bene. Polemista accanito poi contro la irrealtà e l’ipocrisia è diventato un po’ scomodo a tutti: comunisti, cattolici, scrittori, intellettuali, politici. Lui continuava a lottare, solo, lavorando sodo e braccato come in una selva, senza pace, attaccando e difendendosi fino alla disperazione. Mi scriveva: «Non mi costa esistere: vivo nella luce di tutti i giorni. Le vecchie inquietudini continuavano a rodermi, l’ansia del nuovo lavoro è superiore alla soddisfazione per quello già fatto». Il suo Eden friulano resiste come un’acuta nostalgia, ma lo vede sempre più lontano e non più raggiungibile. Mi scrive: «è vergognoso che abbia lasciato passare tanto tempo senza risponderti: ma, a parte il fatto che conduco una vita violentissima, non violenta, lo scriverti mi riesce molto difficile, quasi angoscioso: e tu capisci perché, la nostra amicizia, quegli anni quelle estati e quegli inverni, la prima gioventù, quei sentimenti così assoluti è, forse, il momento più alto della vita. Perdonami questa specie di sgarbato silenzio che è invece terrore di guardare indietro. Tanti saluti a tua moglie, e scrivimi, dammi notizie di te». Pasolini idealista, coerente, realista, acuto rivelatore, quindi molte volte scomodo, ha perso, come perdono sempre i poeti.
Ricordo che, dopo i funerali di Pier Paolo scrissi, e fino ad oggi ho tenuto per me, questi pensieri: «Ora sei tornato nel tuo Friuli questa volta accettata unanimemente anche nei tuoi difetti, forse per scolpare la tua partenza. La tua mente acuta ed errabonda si è fermata nella pace della secolare chiesetta di Santa Croce, tra il verde dei nostri campi e l’agrezza della nostra aria, dove “gli usignoli fanno il nido e cantano tra le file degli ontani” come quando ti facevano ritornare il senso della gioia. “Questo sapermi al mondo”. Possono ora latrare i cani tra le acacie e piangere le viti (“A plansin li vis”). Tu ti sei fermato per sempre qui ad ascoltarli. Il Friuli ti ha accolto proprio come una madre accoglie nel suo grembo un figlio che si rifugia martoriato e perseguitato fino alla morte. Ti ha accolto così, in tutta la tua luce, come un emigrato che ritorna dopo aver lavorato sodo per difendere i suoi ideali, combattendo da solo, con tutta la sua personalità difficile ma sempre profondamente umana, la sua vita interiore ed esterna. Ti ha accolto con estrema dignità nel silenzio e nel dolore senza degradare la tua morte. Senza agitarsi per il modo in cui sei morto. Tutti ti hanno pregato, una moltitudine di gente ti ha atteso fuori dal “Glisiut di Santa Crous” per darti l’ultimo saluto in un’immensa manifestazione di affetto e di dolore. Tutti erano presenti: allievi, amici, intellettuali, studiosi, operai, contadini, quei contadini che hai amato e che sono rimasti tali: “Sotto le loro camicie battono ancora cuori sani”. Quei contadini di cui tu dicevi: “Solo con la loro storia e la loro religiosità, l’espressione più viva della civiltà del Friuli”. Ti custodiranno gelosamente nel loro povero cimitero, proprio con la loro rigorosità religiosità. Nell’aria rimarrà la tua meravigliosa “Preghiera” che è stata quasi un presentimento, che è stato forse il tuo ultimo desiderio, l’ultima preghiera rivolta a Cristo, morendo e pregando come sa morire e pregare un Poeta».
Tonuti Spagnol
tratto da Tempi, numero 6, 8 novembre 1995
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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