Un giudizio come si deve sul ddl Zan

Di Alberto Frigerio
28 Giugno 2021
Rilettura ragionata articolo per articolo del disegno di legge del Pd sull'omofobia. Per ritrovare un po' di verità senza complessi verso la mentalità dominante
Strisce pedonali arcobaleno con scritta contro il ddl Zan

Il 4 novembre 2020 la Camera dei deputati ha approvato il disegno di legge (ddl) Zan, volto a introdurre «Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità». Il 5 novembre 2020 il ddl è stato trasmesso al Senato della Repubblica, e si trova in corso di esame in commissione. Il nucleo del ddl Zan è l’estensione dell’ambito applicativo degli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, che puniscono la «propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione raziale, etnica e religiosa», a eventuali discriminazioni legate al genere e all’orientamento sessuale.

Il ddl Zan muove da due presupposti: emergenza sociale, dovuta alla significativa quantità di reati che sarebbero commessi ai danni di persone che si discostano dalla binarietà maschio-femmina eterosessuale; incompletezza del quadro normativo, per la mancanza di norme a tutela delle offese rivolte alle suddette categorie di persone. Alla luce di questi due presupposti, i sostenitori del ddl Zan ritengono necessario intervenire con nuove disposizioni.

Né emergenza, né vuoto normativo

In realtà, come ha rilevato Alfredo Mantovano, magistrato e vicepresidente del Centro studi Livatino, già parlamentare e sottosegretario all’Interno, entrambi i presupposti sono sconfessati dalla realtà: il primo (dell’emergenza sociale) perché, come documenta l’osservatorio del ministero dell’Interno, istituito nel 2010, le segnalazioni per offese dovute a identità di genere e orientamento sessuale sono in media 26,5 all’anno su tutto il territorio nazionale (il che evidentemente non riduce la gravità per ogni singola offesa alla dignità personale, qualunque sia il movente); il secondo (dell’incompletezza del quadro normativo) perché il codice penale sanziona già le offese contro la vita, l’incolumità personale, l’onore, la personalità individuale, la libertà personale e morale, con l’aggravante qualora i motivi siano futili e abietti, a cui possono riferirsi le offese dovute all’identità di genere e all’orientamento sessuale.

Le ragioni sottese al ddl Zan vanno dunque cercate altrove. A tal fine, dopo questa lettura di insieme, è utile passare in rassegna i singoli articoli di cui si compone il disegno di legge in questione, rilevando le questioni culturali sottese e soffermandoci sugli aspetti critici.

Art. 1 – Questione antropologica

L’articolo 1 offre una griglia definitoria di sesso, genere e orientamento sessuale, da cui si evince che al centro del ddl Zan si trova la questione antropologica. Le definizioni proposte, sebbene non prive di imprecisioni, colgono a mio avviso in maniera adeguata i registri di cui si compone la sessualità umana: il sesso, che indica il dato biologico (genetico, gonadico, genitale, cerebrale); il genere, che designa la percezione psicologica interiore della propria identità (identità di genere) e la percezione culturale esteriore di comportamento e abitudini associate alla e adottate dalla mascolinità e femminilità (ruolo di genere); l’orientamento sessuale, che si riferisce all’attrazione sessuale.

Tuttavia, le definizioni mancano di rilevare ogni tipo di connessione tra i diversi piani della sessualità umana, come rileva il testo sottoscritto da numerose attiviste della società civile e da diverse associazioni afferenti al mondo femminista, tra cui Arcidonna, Se non ora quando e Arcilesbica, che chiedono di non scorporare l’identità di genere dal sesso:

«In tutto il mondo l’identità di genere viene oggi brandita come un’arma contro le donne. Non è più il luogo in cui il sesso si coniuga con tutte le determinazioni sociali e storiche, ma il luogo in cui si vuole che la realtà dei corpi – in particolare quella dei corpi femminili – venga fatta sparire. È la premessa all’autodeterminazione senza vincoli nella scelta del genere a cui si intende appartenere, è l’essere donna a disposizione di tutti. È il luogo in cui le donne nate donne devono chiamarsi “gente che mestrua” o “persone con cervice” perché nominarsi donne è trans-escludente. È la ragione per la quale chi dice che una donna è un adulto umano di sesso femminile viene violentemente messa a tacere, come è capitato a molte femministe, tra cui Sylviane Agacinski e Joanne Kathleen Rowling».

In tal senso, l’art. 1 del ddl pare funzionale a veicolare la visione antropologica promossa dalla gender theory, che denaturalizza la sessualità umana e la riduce a mera costruzione culturale, sostenendo che il dato biologico non avrebbe nulla a che fare con ciò che ci si sente di essere, si prova e si fa, secondo la celebre espressione della filosofa statunitense Gayle Rubin:

«Il sogno che trovo più stimolante è quello di una società androgina e senza genere (ma non senza sesso), in cui l’anatomia individuale sia irrilevante ai fini di chi si è, cosa si fa, e con chi si fa l’amore».

Artt. 2, 3 e 6 – Libertà d’espressione / 1

Gli articoli 2 e 3 estendono il reato di «propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio raziale o etnico, istigazione a delinquere e atti discriminatori e violenti per motivi raziali, etnici o religiosi», punito dagli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, a «motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità». Il limite di questi articoli è duplice e riguarda i due requisiti della legge Reale-Mancino del 1993, trasposta nei suddetti articoli del codice penale: obiettiva erroneità e carattere violento.

Il primo requisito (dell’obiettiva erroneità) non è rispettato, in quanto, mentre la razza, l’etnia e la religione fanno riferimento a chiari, semplici e condivisi valori da proteggere, il genere e l’orientamento sessuale si trovano al centro di un ampio e serrato dibattito scientifico, psicologico e filosofico.

Si tratta di questioni controverse, da non irrigidire normativamente, su cui si possono avere opinioni ragionevoli che si discostano dalla mens sottesa al disegno di legge in esame. È quanto attestano a titolo di esempio tre sentenze della Consulta: 138/2010, secondo cui le unioni omosessuali non sono omogenee al matrimonio; 76/2016, secondo cui è ammissibile la preclusione legislativa alle coppie omosessuali in materia di adozioni; 221/2019, secondo cui è lecito impedire l’accesso alla procreazione medicalmente assistita alle persone omosessuali.

Neppure il secondo requisito (del carattere violento) è rispettato, in quanto si può benissimo esprimere giudizi sul genere e sull’orientamento sessuale per motivi metafisici e morali anziché per motivi d’odio (lo stesso problema si rileva per l’art. 6 del ddl Zan, che invita a considerare la condizione di chi subisce un reato per odio fondato sul genere o sull’orientamento sessuale come condizione di particolare vulnerabilità).

Inoltre, il testo non precisa se e quando un certo giudizio sia da ricondurre all’odio, lasciando una discrezionalità abnorme al giudice, che potrebbe punire un’opinione come reato, pregiudicando la libertà di espressione. È quanto ha rilevato Claudio Cerasa, direttore del quotidiano Il Foglio, in un pezzo del 3 maggio, in cui ha parlato di «pericolo di considerare reati le opinioni».

In un recente incontro tenuto al Centro culturale di Milano, Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Consulta, ex guardasigilli del governo Prodi e docente emerito di Diritto penale all’Università cattolica e alla Luiss, ha detto che

«la legge, in particolare quella penale, dev’essere tassativa e certa, cioè deve porre limiti all’interpretazione del giudice e consentire una ragionevole prevedibilità dei risultati che vengono dalla sua inosservanza»,

al contrario, nel Ddl Zan

«non si è in grado di capire che cosa la legge prescrive, ovvero qual è la condotta vietata per la tutela del bene sesso».

Art. 4 – Libertà d’espressione / 2

L’articolo 4 dice che «ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti». L’articolo, ribattezzato “salva-idee”, costituisce l’ammissione del rischio liberticida del ddl Zan, come ha rilevato ancora Flick, asserendo che

«l’art. 4 affida alla legge ordinaria ciò che è già previsto dalla costituzione all’art. 21 [possibilità di manifestare le proprie idee], pertanto si tratta di un testo pericoloso, che ha la coda di paglia, perché placa quanto evocato negli articoli precedenti».

Lo stesso ha rilevato il giornalista Fabio Pizzul, consigliere regionale del Partito democratico, il quale, nel medesimo incontro, ha definito l’art. 4 una «excusatio non petita». Tra l’altro, il «purché» apre ancora una volta alla già menzionata discrezionalità del giudice.

Lo sfondo liberticida del ddl Zan traspare dall’intervista che l’onorevole Alessandro Zan, esponente del Partito democratico, ha rilasciato al quotidiano Il Foglio il 16 ottobre 2020, in cui si legge:

«La legge serve a instillare nelle persone un atteggiamento di prudenza. Se dici che una donna trans non è donna è come se dicessi a una persona che non è cattolica».

Il che peraltro confligge col fatto che le pratiche di riassegnazione sessuale possono cambiare la parvenza del sesso, non il sesso stesso, non foss’altro per l’impossibilità di mutare il corredo cromosomico. Il ddl Zan costituisce dunque una sorta d’invito all’autocensura e mette a rischio la libertà di esprimere il proprio pensiero, come attestano anche le dichiarazioni della senatrice Alessandra Maiorino, esponente del Movimento 5 stelle, secondo cui, una volta approvato il ddl Zan,

«parlare contro i due padri sarà considerato crimine d’odio».

Il ddl Zan, più che reprimere eventuali discriminazioni dovute al genere e all’orientamento sessuale, promuove la teoria del genere e crea discriminazioni verso chi sostiene altre letture dell’umano. È quanto ha rilevato il sociologo Luca Ricolfi alla trasmissione di Rete 4 Quarta Repubblica il 17 maggio:

«Io sono in grandissimo imbarazzo e sofferenza, perché io sono una persona culturalmente di sinistra, vengo di lì, sono collocato lì e sono stato abituato tutta la mia vita a pensare che la censura tendenzialmente è una cosa di destra. Invece sono costretto a constatare che la censura è passata da destra a sinistra e simmetricamente la libertà di pensiero è migrata da sinistra a destra».

La stessa denuncia è stata mossa dalla femminista Marina Terragni, nell’incontro con Flick e Pizzul:

«Io ho chiesto al Partito Democratico di essere audita e non ho avuto risposta. In compenso so che mi vuole audire la Lega. Per una donna come me che ha tutta la sua storia politica a sinistra devo dire che è veramente sconvolgente».

Artt. 5 e 7 – Libertà di educazione / 1

L’articolo 5 subordina la sospensione condizionale della pena all’accettazione, da parte del condannato, di svolgere attività non retribuite a favore della stessa categoria di vittime a cui appartiene la persona offesa. L’articolo 7 istituisce la Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, obbligando le scuole a prendervi parte, senza necessità del consenso dei genitori. Come ha dichiarato Ricolfi nell’intervista al quotidiano La Verità del 17 maggio,

«il ddl Zan mira alla rieducazione dei reprobi, in perfetto stile maoista (art. 5) e all’indottrinamento degli scolari (art. 7)».

Volgiamo ora lo sguardo all’obbligo per le scuole di celebrare la Giornata nazionale contro l’omolesbobitransfobia, a prescindere dal consenso dei genitori (che invece è richiesto per la partecipazione all’ora di religione, come ha fatto notare più di un osservatore). Così facendo, il legislatore sancisce il primato dello Stato sulla famiglia e sulla società nell’educazione dei figli, con i rischi che questo comporta per i genitori e le scuole che si opponessero. A fronte di questa pretesa, vorrei avanzare due rilievi.

Il primo lo riprendo da Camille Paglia, professoressa universitaria, lesbica dichiarata e paladina del Sessantotto, che nel testo Gay ideology in public school ha denunciato l’intrusione di militanti gay nelle scuole pubbliche, che papa Francesco, allargando lo sguardo a tutta la galassia delle così dette minoranze sessuali, chiamerebbe colonizzazione ideologica del gender. Secondo la pensatrice statunitense non si deve riempire qualsiasi disagio giovanile con una certa lettura della sessualità, come attestano queste sue parole, davvero sorprendenti se si pensa da chi sono pronunciate:

«L’orientamento sessuale è fluido e ambiguo, e l’omosessualità ha cause multiple. Esso certamente non è innato […] L’intrusione di attivisti militanti gay nelle scuole primarie fa più male che bene incoraggiando gli adolescenti a definirsi prematuramente come gay, quando in realtà molti sono dilaniati da instabilità, insicurezza e dubbio. Discutibili e esagerate statistiche sui suicidi dei teenagers sono gravemente abusate. In molti casi, i tentati suicidi sono probabilmente dovuti non alla persecuzione omofoba ma a relazioni famigliari problematiche, che potrebbero essere la sorgente di disadattamento sociale e impulsi omosessuali […] I professori dovrebbero smettere di porsi come terapisti e benefattori e dovrebbero tornare a introdurre alla vasta distesa di arte, letteratura, storia e scienze gli studenti, che hanno un disperato bisogno di arricchimento culturale e sviluppo intellettuale».

Il secondo rilievo lo riprendo dal documento «Maschio e femmina li creò». Per una via di dialogo sulla questione del gender, pubblicato nel 2019 dalla congregazione per l’Educazione cattolica, che invita a riconoscere la famiglia come società naturale che precede l’ordinamento socio-politico e gode di due diritti fondamentali: della famiglia a essere riconosciuta come spazio pedagogico primario per la formazione del figlio, rispetto a cui le altre realtà educative devono agire in via sussidiaria; del figlio a crescere in una famiglia con un papà e una mamma capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo affettivo.

Infine, il testo ribadisce che le scuole cattoliche hanno la giusta aspirazione di mantenere la propria visione della sessualità fondata su un’antropologia integrale, che armonizza tutte le dimensioni costitutive dell’identità (fisica, psichica, spirituale), e afferma che uno stato democratico, tanto più in una materia così delicata, non può ridurre la proposta educativa a pensiero unico. È dunque auspicabile che la società, in nome dello stesso principio liberale di autonomia, garantisca alle persone fisiche (genitori) e giuridiche (scuole) la libertà di coscienza e di espressione, e consenta alle famiglie e alle realtà educative di operare secondo la visione della sessualità che ritengono più adeguata all’educazione dei giovani.

Artt. 8, 9 e 10 – Libertà di educazione / 2

Gli articoli 8, 9 e 10 esortano l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) a istituire una strategia per prevenire e contrastare le discriminazioni legate al genere e all’orientamento sessuale. Al riguardo vale la pena richiamare le parole pronunciate alla manifestazione pro ddl Zan, tenutasi il 14 maggio a Milano, da Marilena Grassadonia, esponente di Sinistra italiana, già presidente delle così dette famiglie arcobaleno:

«È giusto che chi commetta violenza e discriminazioni venga punito. Ma c’è una parte ancora più importante forse per noi che è quella dell’istituzione della giornata del 17 maggio come giornata contro l’omolesbobitransfobia, oppure la strategia nazionale dell’Unar: ecco queste sono le azioni importanti che fanno di una legge di realtà una legge di prospettiva che guarda al futuro. E noi è questo quello che vogliamo […] È importante entrare nelle scuole, fare l’educazione alle differenze e al rispetto. Abbattere gli stereotipi di genere: è questa la vera forza. Il disegno di legge Zan è solo l’inizio».

Da ultimo, vale la pena rilevare quella che pare essere una truffa compiuta ai danni dei disabili, menzionati negli articoli sulle norme penali ma non in quelli successivi. L’estensione del ddl ai disabili sembra dunque riconducibile al tentativo, a dire il vero maldestro e malriuscito, di rendere accettabile un testo di per sé difficilmente condivisibile.

La valenza culturale della legge

Le criticità insite nel ddl Zan, in particolare l’adesione alla visione della sessualità promossa dalla teoria del genere (che è altra cosa dal rigetto di discriminazione per genere e orientamento sessuale) e la compromissione della libertà d’espressione e d’educazione, lasciano trasparire il rischio di livellamento ideologico in corso, che viene praticato anche e soprattutto tramite lo strumento giuridico. A partire dagli anni Sessanta del Novecento si assiste infatti alla rivendicazione e al progressivo riconoscimento dei così detti nuovi diritti, di ambito bioetico e delle nuove tecnologie: diritto alla salute riproduttiva (aborto, contraccezione), diritto a nascere sano e avere un figlio sano (eugenetica), diritto alla buona morte (eutanasia), diritti sessuali (same-sex marriage, procreazione assistita, maternità surrogata, manipolazione della corporeità).

L’insistenza con cui questi diritti sono reclamati è dovuta al fatto, ben noto ai loro sostenitori, che le leggi, oltre a essere repressive o permissive, sono sempre anche e innanzitutto espressive, nel senso che recepiscono (rappresentano) e veicolano (modellano) un certo modo di guardare alla realtà. È quanto attesta il libro De la vie avant toute chose del 1979, in cui Pierre Simon, ginecologo ex gran maestro della Gran Loggia Massonica di Francia, dichiarava la volontà di sovvertire la visione sacra della vita, di matrice classica e giudeo-cristiana, e introdurre la nozione di vita come materiale, tramite la legalizzazione di contraccezione, aborto ed eutanasia. Ed è quanto attesta l’intervista rilasciata da Emma Bonino al Corriere della Sera il 10 luglio 2020, in cui la nota attivista ha ripercorso le battaglie condotte dal Partito Radicale, dichiarando che l’introduzione dell’aborto e del divorzio ha cambiato l’Italia.

I nuovi diritti, che pure incidono fortemente sulle coscienze, per la forte valenza culturale della legge, non dispongono di un potere assoluto e trovano quale ultimo ostacolo alla loro piena accettazione la riproposizione ragionata, rispettosa e decisa, della verità sull’umano. Per questo i sostenitori dei nuovi diritti mirano a censurare quanti dissentono dalle loro idee con leggi che prevedono una sanzione penale, proprio come nel caso del ddl Zan. È quanto evocano le parole dell’onorevole Ivan Scalfarotto, esponente del partito Italia viva, che nella seduta parlamentare del 6 giugno 2013 dichiarava che la criminalizzazione dell’omofobia costituisce

«uno di quei casi in cui la norma penale ha un effetto simbolico e contribuisce a costruire la modernità di un paese e la cultura di una comunità».

Ed è quanto comprova la situazione dei paesi in cui leggi simili al ddl Zan sono già in vigore, come rileva l’indagine della pensatrice e saggista statunitense Mary Eberstadt, la quale nel testo It’s Dangerous to Believe. Religious Freedom and Its Enemies del 2016 descrive il progressivo affermarsi in Occidente di quella che chiama ortodossia secolarista, secondo cui quanti dissentono dal dogma progressista sulla rivoluzione sessuale costituirebbero una minaccia per la società e andrebbero puniti.

L’importanza di giudicare

La situazione così descritta apre la domanda su come far fronte al progredire di una mentalità dominante, a tratti dispotica e coercitiva, denunciata da autori di diversa estrazione (A. Del Noce, P. P. Pasolini, A. Solzenicyn, M. Onfray). Si pone così la domanda, ben sintetizzata dal poeta, dissidente e politico ceco Václav Havel nel libro Il potere dei senza potere: è possibile perseguire «il tentativo di vivere la vita nella verità»?

Per offrire una pista di risposta, vorrei richiamare un brano di don Luigi Giussani, fondatore del movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione, tratto dal testo Il senso religioso:

«Se si vuole diventare adulti senza essere ingannati, alienati, schiavi di altri, strumentalizzati, ci si abitui a paragonare tutto con l’esperienza elementare [complesso di esigenze e di evidenze con cui l’uomo è proiettato dentro il confronto con tutto ciò che esiste]. In realtà così propongo un compito non facile e impopolare. Di norma tutto viene affrontato secondo una mentalità comune: sostenuta, propagandata da chi nella società detiene il potere. Cosicché la tradizione famigliare, o la tradizione del più vasto contesto in cui si è cresciuti, sedimentano sopra le nostre esigenze originali e costituiscono come una grande incrostazione che altera l’evidenza di quei significati primi, di quei criteri, e, se si vuol contraddire tale sedimentazione indotta dalla convivenza sociale e dalla mentalità ivi creatasi, si deve sfidare l’opinione comune […] Incominciamo a giudicare: è l’inizio della liberazione».

Come suggerisce Giussani, la persona ha la responsabilità di giudicare la realtà alla luce di ciò che la tradizione chiama legge naturale, per riconoscere e aderire a ciò che è bello, buono e vero. Per questo, il primo compito è di educarci e di educare al vero per essere liberi (Gv 8,32), avvalendoci di tutti gli strumenti a disposizione (es. rivista Tempi, associazione culturale Esser-ci). Si tratta di favorire e alimentare ambiti di amicizia entro cui maturare una posizione capace di proporsi con ragionevolezza, come attesta il tema in esame, in cui si assiste al convergere dei credenti (cfr Nota della Segreteria di Stato vaticana, che invita la parte italiana a «trovare una diversa modulazione del testo normativo» in esame non in forza di argomentazioni confessionali, ma laiche, in quanto fa valere norme pattuite in maniera concordataria tra lo stato italiano e quello vaticano, che si radicano sul principio liberale di libertà di espressione e di educazione, previsto dalla stessa costituzione italiana) con figure di mondi differenti (non credenti, femministe, sinistra, destra, centro). Si veda, in proposito, l’articolo di Giulio Meotti “Piano con l’“Italia arretrata”. In tutta Europa c’è una frenata sul gender”, apparso il 25 maggio sul quotidiano Il Foglio, in cui si riferisce che Spagna, Germania e Inghilterra stanno rallentando le politiche sull’auto-determinazione in materia di sessualità.

Nell’odierna società plurale, abitata da soggetti portatori di mondovisioni differenti e non di rado conflittuali, la Chiesa e i cristiani, al pari di ogni altro, hanno il diritto e anzi il dovere di avanzare la propria proposta di vita buona. Qualora l’orientamento primario contrastasse con le proprie convinzioni e il legislatore mettesse in discussione principi irrinunciabili per la coscienza, si devono perseguire tre vie: dell’obiezione di coscienza, in alcuni casi riconosciuta dalla legislazione e, laddove non lo fosse, spendersi perché sia garantita; politica, con iter volti a modificare la legge; della partecipazione, di tipo culturale e pre-politico.

* * *

Alberto Frigerio, autore di questo contributo, è sacerdote, medico e professore di Bioetica presso l’Istituto superiore di Scienze religiose di Milano. Ha scritto per Cantagalli Corpo e lógos nel processo identitario (qui la nostra recensione-intervista).

Foto Ansa

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