Utero in affitto “reato universale”, una legge che tutela madri e figli

Di Caterina Giojelli
18 Ottobre 2024
«Ma quale ritorno al Medioevo: con la surrogata la donna perde tutti i diritti. Imbarazzanti i cattodem e la sinistra». Intervista a Marina Terragni
Il tabellone con il risultato del voto finale sul Ddl sulla maternità surrogata in Senato, 16 ottobre 2024 (foto Ansa)
Il tabellone con il risultato del voto finale sul Ddl sulla maternità surrogata in Senato, 16 ottobre 2024 (foto Ansa)

È una norma di un solo articolo, prevede che la maternità surrogata, già reato in Italia, sia punita anche se commessa all’estero (con reclusione da 3 mesi a 2 anni e una multa da 600 mila a un milione di euro), e “ritorno al Medioevo!” è al momento la sentenza più sputata dalle opposizioni in evidente débâcle argomentativa.

Avete ascoltato lo sproloquio della senatrice Pirro (M5s)? «I miei organi sono miei e ne faccio quello che voglio (…) I colleghi arrivati dal Medioevo dicono che l’utero non è mio (…) Siamo al comunismo degli organi. Io posso dare il rene, ma non posso prestare il mio utero, da donna libera, italiana (…) E allora di chi è il mio utero? Di Giorgia? (…) Quindi io donna italiana in pieno possesso delle mie facoltà mentali, indipendente economicamente, non posso fare quello che mi pare del mio corpo. Quindi siamo anche al divieto di aborto perché è lì che vogliamo arrivare». Ma di che diavolo sta parlando Pirro?

Lo sproloquio di Pirro, la predica di Sensi contro la surrogata “reato universale”

Sono passate poche ore dall’approvazione della legge sull’utero in affitto “reato universale” anche in Senato (84 voti a favore e 58 contro): Repubblica si scaglia contro quelle “due parole” «sbandierate dalla maggioranza come una vittoria e contrastate dalle opposizioni, come si può provare a respingere un macigno», e quello di Pirro è il delirio più condiviso dai quotidiani e, va da sé, da migliaia di utenti completamente indifferenti al fatto che cedere un bambino non sia esattamente lo stesso che “donare un rene”, e a ciò che dice la legge italiana a proposito di disporre in toto del proprio corpo.

Per non parlare della magnificata «replica pacata» (copy il Corriere, ma sarebbe stato più appropriato chiamarla predica) del dem Filippo Sensi: «Tutti schierati su schemi simili a un dogma: la mamma contro il gender, le manette contro l’amore. Io invece sogno di essere non un cattolico ma per la gestazione per altri, bensì un cattolico e dunque per la gpa, perché al cuore del messaggio cristiano c’è solo l’amore. Ci vuole forza per fare ciò che è giusto». Ma di che diavolo sta parlando Sensi? E di che diavolo stanno stanno parlando i senatori che hanno votato contro il testo e i gruppi Lgbt chiamandolo “provvedimento da Medioevo”?

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«Ma quale Medioevo, con la surrogata la donna perde tutti i suoi diritti»

«Cosa c’è di medievale nel considerare il fatto che ci sono donne in condizione di deprivazione economica e sociale che rischiano la salute per prestarsi al mercato? Un mercato fiorente che le sfrutta e per partecipare al quale sottoscrivono dei contratti a dir poco vessatori: questa è la maternità surrogata, punto. A meno che – spiega a Tempi Marina Terragni senza cedere un millimetro alla retorica di chi s’inventa “indipendente economicamente e libera di prestare l’utero” – non si intenda per ritorno al Medioevo tutto ciò che esuli dall’assurda difesa di una supposta autodeterminazione delle donne di fare con il loro corpo tutto quello che vogliono. Non funziona così. Non solo la legge italiana riconosce una disponibilità parziale del nostro corpo, ma non si può parlare di autodeterminazione in presenza di contratti e cessione dei diritti».

Giornalista, scrittrice, femminista radicale e soprattutto volto della lotta contro la maternità surrogata, Marina Terragni ha festeggiato l’esito di una battaglia durata oltre dieci anni. E che alle Radfem come lei è costata «l’ostracismo, lo stigma e l’isolamento politico proprio da parte di quella sinistra dalle cui fila proviene la grande parte di noi, dileggiate e definite bigotte, residuali, reazionarie, omotransfobiche per la nostra posizione motivatamente contraria». “Motivatamente”, altro che gridare al Medioevo.

«È il bambino a riconoscere sua madre. Non chi paga»

«Ci sono anche situazioni in cui la pratica non prevede una contrattazione bensì c’è schiavitù esplicita – continua Terragni -, ma nei paesi cosiddetti “civili” i contratti prevedono che la donna ceda a terzi per tutto il periodo della gravidanza gran parte dei suoi diritti, soprattutto il più grande: il diritto a una relazione con il bambino che ha partorito. E con esso il diritto del bambino stesso ad avere una relazione con la donna che l’ha messo al mondo, il primo di una creatura umana, un diritto che non viene negato nemmeno agli animali. Non c’è alcuna autodeterminazione: al contrario con la surrogata la donna perde tutti i diritti di autodeterminarsi, dall’alimentazione alla vita sessuale, fino alla possibilità di cambiare idea, tenersi il bambino o interrompere la gravidanza».

Non c’è nulla di progressista nemmeno nel sostenere che a partorire non sia la madre, «una stupidaggine. Non solo perché il diritto riconosce mater semper certa nella partoriente, ma perché è il bambino stesso a riconoscerla come sua madre appena nato. Poi, in un secondo momento, dato che spesso viene usato l’ovocita di un’altra donna, il bambino si potrà porre la questione della madre genetica, ma il primo strappo violento è quello con la sua mamma. Chiunque abbia avuto dei figli o abbia visto un bambino appena nato sa che è lui a decidere, appena venuto alla luce, che quei segnali, quell’odore, quella temperatura, quella voce, quell’intimità vissuta nove mesi nel suo grembo, fanno di quella donna da cui si è “diviso”, quel tutt’uno da cui si è distinto, la sua mamma. E si placa sulla sua pancia e si arrampica verso il suo seno spontaneamente. Ebbene: tutto questo con la surrogata viene interrotto in forza di denaro e mi dovete spiegare cosa ci sia di medievale nell’impedire che avvenga questo strappo violento, nel difendere il diritto dei figli alla verità sulle proprie origini e soprattutto a non essere trasformati in oggetti di compravendita».

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«Cattodem imbarazzanti, la sinistra non ci ha mai ascoltato»

L’alternativa al chiamare le cose con il loro nome è la mancanza di argomenti, per questo Terragni ha trovato particolarmente «penosa» la faccia di Graziano Delrio, «persona più che stimabile e che di genitorialità se ne intende avendo avuto tanti figli» e dei cattodem che si sono smarcati dalla legge o, peggio, si sono rifugiati nei loro “no con riserva” alla gpa («Io sono contrarissimo alla maternità surrogata, ma è già vietata dalla legge 40, questo nuovo reato è solo un vacuo esercizio retorico», dice Delrio, mood condiviso da Beatrice Lorenzin a Raffaella Paita): «Sui loro “ma” si dovrebbero attentamente interrogare perché quando si parla di maternità le posizioni di schieramento non possono bastare. Su questo la sinistra è in difficoltà e a corto di argomenti e non da poco. In questi anni (idealmente dall’uscita de L’anima del corpo. Contro l’utero in affitto di Luisa Muraro, e Temporary Mother. Utero in affitto e mercato dei figli, della stessa Terragni, entrambi del 2016, ndr) abbiamo fatto di tutto per interloquire con la sinistra, non solo perché la maggior parte di noi è da lì che proviene, ma anche perché era sempre la sinistra a tenere il punto sulla Gpa. Ma ogni tentativo è stato respinto, salvo rarissime eccezioni, con assoluto sprezzo dai segretari, dai responsabili dei diritti e dalle portavoce delle donne dei partiti di quell’area».

Diritti: perché tra i principali argomenti polemici della sinistra sulla presunta incostituzionalità del rendere la surrogata “reato universale”, la sua difficile applicabilità, l’autodeterminazione delle donne, il diritto dei bambini nati da Gpa ad avere una famiglia legalmente riconosciuta (respinto l’emendamento del senatore Iv Ivan Scalfarotto che chiedeva fossero «garantiti in ogni caso gli adempimenti previsti in materia di stato civile ai fini del riconoscimento del rapporto filiale instauratosi con i genitori di fatto, cui è attribuita la responsabilità genitoriale»), c’è anche l’intento “omofobico”: «Secondo i suoi detrattori, la legge toglie alle coppie gay “l’unico modo per avere un figlio”. E siccome la modernità di un paese si misura oggi sul riconoscimento dei diritti Lgbtq sopra ogni cosa, questa sarebbe una ulteriore prova del “ritorno al Medioevo”».

«Quando tocchi la maternità comprometti la civiltà»

Eppure in questi anni la realtà ha ben mostrato che tra agenda di sinistra a tema diritti, autodeterminazione, amore cristiano e maternità surrogata non c’è alcuna parentela. Pensiamo ai 46 bambini commissionati da cittadini europei, agghindati come balocchi e stoccati nell’hotel Venezia a Kiev durante la pandemia. E alla “cerimonia” di consegna come fossero coppe o medaglie ai loro committenti. A quelli stipati in un bunker malandato appena scoppiata la guerra in Ucraina con la rassicurazione ai ricchi occidentali che i loro interessi fossero “al sicuro”. Pensiamo al tragico caso della “bambina dal nome di fata”, pagata e abbandonata, e a tutti i casi in cui una donna, specie negli Stati Uniti, in California, «ha provato a contravvenire a quanto sottoscritto nel contratto per tenersi il bambino. O ancora a tutti i rapimenti che avvengono in zone del mondo come in Nigeria, sia a scopo di prostituzione che a scopo di riproduzione, alle “farm” delle surrogate del terzo mondo».

Tolti i lustrini, le gallery al miele, gli slogan urlati dalle fanatiche del mercato dei figli, è questo che resta della surrogata: un business disumano. «Perché è questo che succede quando tocchi la maternità: comprometti la civiltà intera. È da una madre che mette al mondo un bambino che nasce la comunità; è una madre col suo bambino il cuore delle comunità che si aggregano per proteggere e custodire ogni madre e ogni bambino. È il fondamento della storia umana e anche il fondamento della storia cristiana: ovunque e dappertutto le immagini di una ragazza che tiene in braccio suo figlio sono lì a ricordarcelo: la comunità nasce da quella relazione primaria. E nel momento in cui si entra e calpesta questa relazione con gli scarponi chiodati per fare soldi salta tutto il resto».

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Nessun essere umano ha un prezzo

Marina Terragni lo ha spiegato spesso a Tempi: l’adozione sana una ferita, la surrogata la procura. Per questo il giorno dell’approvazione al Senato è stato un giorno di festa anche per le decine di associazioni e di femministe di tutto il mondo – Stop Surrogacy Now, Ciams, Finnrage, Women’s Declaration International, Japan Coalition Against Surrogacy, Feminist Legal Clinic, Prostitution Research & Education, Finaargit, Jennifer Lahl, Pyllis Chesler, Gena Corea, Sylviane Agacinski e molte altre – che insieme alle Radfem hanno sostenuto e atteso con grande speranza la legge sull’utero in affitto “reato universale”, quale modello possibile per legislazioni di tutti i paesi. «E tra i compagni di battaglia, a tre anni dalla morte, non posso non citare anche Luigi Amicone. Il mio ricordo è pieno di gratitudine perché ci ha sostenuto in ogni modo. E questa vittoria è anche sua».

Una vittoria mai data per scontata: «Siamo rimaste stupite anche anche noi, temevamo restasse un annuncio di intenzioni e invece adesso sarà molto interessante capire cosa accadrà. Io penso che il primo risultato sarà un crollo cospicuo del numero degli aspiranti genitori-committenti. Non per paura del carcere ma dei costi: la sanzione scoraggerà la maggior parte delle persone che aveva in programma di rientrare in Italia con un neonato». Non tutto si risolverà grazie a una norma penale, lo abbiamo scritto molte volte. Ma per chi ancora pensa che le donne non siano solo un “mezzo” per ottenere bambini e i figli un “prodotto” da acquistare, questa legge è un punto di svolta in difesa di un diritto fondamentale: nessun essere umano ha un prezzo.

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