«Alcuni nemmeno immaginavano che qui in Germania potessimo gioire per più di un’ora». Anche per la cancelliera Angela Merkel i mondiali di calcio 2006 sono stati un pieno successo, malgrado il mancato titolo. Quello se lo sono guadagnato gli italiani, che ci hanno battuto sul campo. “Campioni del cuore”, i tedeschi si sono consolati – ritornati a essere molto romantici – e hanno dato libero sfogo al loro entusiasmo. Davanti alla Porta di Brandeburgo i giovani eroi nazionali si vantavano come top model in passerella e tiravano palloni alla folla urlante. Germania, una fiaba d’estate? Così almeno ha pensato il regista Sönke Wortmann, che ha intitolato così il suo film sui mondiali. Quindi non più Germania, una fiaba d’inverno, come l’aveva descritta Heine nella sua omonima satira in versi? Circa sessant’anni dopo il regime nazista, e a poco più di quindici anni dalla riunificazione, il paese nel cuore dell’Europa torna alla normalità storica, nazionale e internazionale. Lo dimostrano, oggi, anche le grandi aspettative per la presidenza tedesca dell’Unione Europea.
Terminata l’epoca delle ideologie, i tedeschi brancolano alla ricerca di una nuova identità tra le sfide lanciate dalla globalizzazione e dall’islam, il multiculturalismo e una nuova consapevolezza nazionale, la riscoperta di antiche virtù e l’impulso verso la modernizzazione, fra il relativismo e la riflessione sui riti e la religione. Di questa identità nel frattempo è entrato a far parte anche il “Siamo papa” con cui la Bild-Zeitung ha annunciato l’elezione al seggio pontificio del primo tedesco da cinquecento anni a questa parte. Ma prima che i tedeschi potessero dar sfogo al loro tripudio patriottico con le bandiere giallo-rosso-nere, serviva ovviamente un dibattito che saggiasse in modo approfondito il patriottismo, e svariate insistenti campagne pubblicitarie con lo slogan “Tu sei la Germania”. I leader hanno cercato di instillare nuovamente la responsabilità di tutta la nazione in una generazione educata a un individualismo orfano di storia. Auschwitz, il simbolo dell’inaudito crimine dei nazisti, era ancora la “prima pietra” della Germania secondo l’ex ministro degli Esteri Joschka Fischer. Nel frattempo l’Olocausto ha trovato la propria collocazione nella coscienza storica della Germania come costante ammonimento, eppure non costituisce più la base fondante di un’identità negativa. E con la prima commedia su Hitler, Mein Führer di Dany Lavy, i tedeschi stanno imparando al cinema che anche le risate e l’ironia possono rompere l’incantesimo del male.
La Frauenkirche ricostruita
La memoria storica è popolare e risale ben oltre la tardiva riunificazione del 1871. La mostra “Il Sacro Romano Impero. La nazione tedesca dal 962 al 1086” ha visto uno straordinario afflusso di visitatori. E il 30 ottobre 2005 la consacrazione della ricostruita Frauenkirche di Dresda, ridotta in cenere e macerie dai bombardieri angloamericani nel febbraio del 1945, è divenuta un evento nazionale quasi come la visita del Papa.
Anche la Grande Coalizione si colloca nel segno del mutamento di mentalità. Entrambi i partiti popolari avevano parlato nel 2005 di “un’elezione decisiva”. Non tanto dal punto di vista ideologico, quanto per via delle esperienze di vita dei protagonisti: la prima “cancelliera”, una signora che veste in giacca e pantaloni, laureata in fisica e figlia di un pastore protestante, non rappresenta solo la Germania riunificata. Con l’Spd di Schröder e i Verdi di Fischer, infatti, si era schierata da un lato la generazione del Dopoguerra, dall’altro una parte di quell’establishment che aveva imboccato nel ’68 la strada delle istituzioni per influenzare in modo durevole la politica sociale dei decenni a venire.
Dopo la disintegrazione dei valori fondati sulla tradizione e dei doveri costitutivi dell’uomo, i Verdi erano divenuti schiavi dell’ideale di una società multiculturale, per così dire una Woodstock globale all’insegna del relativismo culturale. Fu a causa dello choc dell’11 settembre che per la prima volta anche loro, pacifisti e “femministi”, giustificarono l’impiego delle truppe in Afghanistan, per la lotta contro il burqa e la società patriarcale. Poi l’idea del multiculturalismo cominciò a vacillare definitivamente quando giunsero a Berlino o a Colonia donne totalmente velate, e famiglie che uccidevano le figlie in nome dell’onore. Il culmine del di-sorientamento di quel periodo è rappresentato dall’autocensura preventiva della Deutsche Oper di Berlino: nel timore di attentati islamici la direzione del teatro ha cancellato l’Idomeneo di Mozart. Nella sceneggiatura non esattamente tradizionale si potevano vedere le teste mozzate di Poseidone, Gesù, Buddha e persino di Maometto.
Con il declino dei rosso-verdi, gli intellettuali tedeschi di sinistra hanno perduto l’egemonia nell’interpretazione delle questioni sociali. E dopo che Günther Grass, il custode del politically correct, ha confessato nelle sue memorie di essere stato un membro delle SS, sembra essere svanita definitivamente la superiorità morale, apparentemente innata, della sinistra.
Il successo dei neoconservatori
Quindi dopo anni di silenzio torna alla luce una classe intellettuale conservatrice che chiede la parola in modo chiaro e polifonico. I suoi rappresentanti hanno in comune la critica alle conseguenze della rivoluzione culturale sessantottina, all’educazione antiautoritaria, alla sfrenata realizzazione di sé e all’avversione contro tutto ciò che ha a che fare con la tradizione, la nazione o le istituzioni fino alle convinzioni religiose e all’appartenenza ecclesiale (in questo, tuttavia, i sessantottini non di rado vengono presentati come capro espiatorio universale, come se la società imborghesita, contro la quale gli studenti erano insorti allora, non avesse avuto la sua parte nel trionfo del nichilismo edonista). Con il suo polemico La festa è finita. Basta con la società del divertimento, Peter Hahne emerge come uno degli esponenti più popolari di questa nuova categoria di intellettuali (vedi l’intervista a pagina 48). Celebre moderatore televisivo, Hahne è un esponente di spicco della Chiesa protestante, quindi gli ammonimenti dell’anchorman della Zdf, peraltro un tipo pieno di gioia di vivere, hanno quasi il tono di un quaresimale. Ma dal numero di copie vendute (quasi un milione) è evidente che i tedeschi accettano volentieri una lavata di capo.
La pedagogia del ’68 è oggi ritenuta dai più responsabile anche dello scarso successo degli studenti tedeschi nel test internazionale di comparazione Pisa. Scarso successo che rappresenta un autentico smacco per una nazione di cultura e mette in discussione il futuro del primo paese al mondo per esportazione. È a causa degli imbarazzanti risultati Pisa che la Germania ha avviato una riforma del sistema dell’istruzione in ciascuno dei suoi Land. Persino i pedagoghi riformisti antiautoritari nel frattempo non parlano più di autorealizzazione, ma di “esigere e incoraggiare”. Purtroppo, però, non si dice nulla dei contenuti e degli obiettivi della vera formazione. E in mancanza di un serio dibattito su questi temi lo stesso test Pisa, che saggia esclusivamente le competenze formali nel calcolo e nella scrittura, diviene l’unità di misura dell’apprendimento e dell’insegnamento. Ma anche il compito educativo della scuola viene rimesso in discussione da una generazione di genitori per i quali i contenuti educativi sono smarriti. Quindi non si punta sulle antiche virtù prussiane, dette anche “virtù secondarie”, come la diligenza e il senso dell’ordine. I libri sulla buona creanza fanno tendenza quanto i balli tradizionali o i rituali quotidiani. Anche la tanto oltraggiata famiglia tradizionale è tornata di moda: per la maggioranza è, e resta, una meta cui aspirare, malgrado l’alto tasso di separazioni. E così quasi altrettanti giovani affermano che il problema principale per la formazione di una famiglia e per la nascita dei figli è l’incertezza sulla durata e la stabilità del legame.
Fra i più importanti rappresentanti del neoconservatorismo si può senza dubbio citare Frank Schirrmacher, condirettore della Frankfurter Allgemeine Zeitung, annoverato dal Time Magazine fra le cento personalità più importanti al mondo, che nel suo bestseller Minimum mette in guardia contro la crisi demografica e il declino della famiglia. Schirrmacher mormora di «forze primordiali il cui controllo minaccia di sfuggirci», e perfino la rivista Bild ha fatto propri tali ammonimenti: «Se la tendenza perdura, fra dodici generazioni saremo estinti». Così i tedeschi hanno di nuovo la loro “paura”. Dopo l’olocausto nucleare e il collasso ecologico del pianeta, ora temono l’inverno demografico, una società che mangia pappine e gira con il deambulatore. Al punto che ancor prima di aver trovato una professione, gli studenti già si angosciano per garantirsi la sicurezza economica nella vecchiaia.
Ma c’è ancora una preoccupazione fra i tormenti del ceto medio: il timore del declino sociale. Come tutti i paesi della Ue, infatti, la Germania si trova di fronte alla necessità di riformare il sistema sociale, da un lato a causa dell’invecchiamento della popolazione, dall’altro a causa della sfida posta dalla globalizzazione economica.
Esito della frammentazione socioculturale del paese descritta finora è la rinascita della religione. E grande catalizzatore di questo rinnovato interesse è stata sicuramente l’elezione al soglio pontificio di Benedetto XVI. Jürgen Habermas, il filosofo più noto della seconda generazione della scuola di Francoforte, aveva già sdoganato anche per la sinistra il fenomeno religioso. E lui stesso, pur definendosi, secondo le parole di Max Weber, «privo di orecchio religioso», si è lasciato trascinare in un dibattito pubblico insieme all’allora cardinale Ratzinger.
«Abbiamo perso la fede nell’ateismo»
«La patria di Lutero, Marx e Nietzsche ha perduto la fede nell’ateismo», ha dovuto constatare persino l’ultralaico Spiegel. Che nell’ultimo numero speciale sul tema “Religione potenza mondiale” si chiede: «Come mai un antimodernista reazionario bavarese in abito bianco affascina i nostri più illuminati illuministi?». Da tempo gli illuministi illuminati hanno riconosciuto che la sola critica non è in grado di creare identità. Mentre sempre più spesso genitori non credenti chiedono di battezzare o accostare alla comunione i figli, per il desiderio di appartenenza, per un diffuso senso religioso, per la nostalgia di una via d’uscita dalla triste modernità.
Wolfgang Weimar, fondatore e redattore capo del nuovo, fortunato mensile Cicero, dopo il «XX secolo senza Dio» non solo vede un ritorno alla religione, ma nel suo saggio Credo, fresco di stampa, spiega anche perché tale ritorno è positivo. Come molti dei nuovi “cattolici da terza pagina” adduce argomentazioni culturali, sociologiche e politiche. L’aspetto che pare affascinarlo maggiormente è tuttavia la forza creativa del cattolicesimo, capace di fondare cultura e identità. La curiosità viene risvegliata non da un’etica astratta, bensì da un’estetica dei sensi. Martin Walser, il grande contraltare letterario di Grass, lo descrive a livello esistenziale nel suo volumetto appena uscito, Der Lebensroman des Andreas Beck. Parlando del noto letterato e pittore Walser afferma: «La sua pittura e i suoi scritti mostrano in modo quasi immediato quanto sia bello credere. Quella sorta di invidia che sorge nel lettore non lo fa diventare verde, bensì fa nascere in lui il desiderio di sentirsi allo stesso modo. Un pio desiderio». Per Matthias Matussek, direttore del supplemento dello Spiegel, ciò descrive con precisione «la situazione malinconica e poetica della fede odierna per molti di noi». Ma tra i best seller tedeschi del 2006 è approdato anche un altro autore: il popolare comico televisivo Hape Kerkeling. Il suo Ich bin dann mal weg, diario del pellegrinaggio lungo il cammino di Santiago in Francia e Spagna, ha venduto 1,1 milioni di copie. La Germania è di nuovo in cammino.