Te Deum laudamus per il mio popolo mite e fantasticante

Di Antonia Arslan
03 Gennaio 2016
Antonia Arslan immagina la notte dell’inverno del 1915 in cui l’illusoria quotidianità degli armeni di Turchia maturò all’improvviso nella cosciente rassegnazione dei martiri. Un secolo fa nella cattedrale di Costantinopoli

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Questo articolo è tratto dal numero di Tempi in edicola a partire dal 31 dicembre (vai alla pagina degli abbonamenti), che è l’ultimo numero del 2015 e secondo tradizione è dedicato ai “Te Deum”, i ringraziamenti per l’anno appena trascorso. Nel “Te Deum” 2015 Tempi ospita, tra gli altri, i contributi di Antonia Arslan, Sinisa Mihajlovic, Luigi Brugnaro, Marina Terragni, Totò Cuffaro, Gilberto Cavallini, Luigi Negri, Costanza Miriano, Mario Adinolfi, Marina Corradi, Roberto Perrone, Renato Farina.

Tra le più celebrate scrittrici italiane, armena di origini, Antonia Arslan è stata docente di Letteratura italiana all’Università di Padova. Con il suo primo romanzo, La masseria delle allodole, uscito nel 2004, ha inaugurato una grande indagine “storico-familiare” sulle tragiche (e a lungo censurate) vicende recenti del suo popolo, a partire dal genocidio perpetrato dall’Impero ottomano. Il terzo capitolo della serie, Il rumore delle perle di legno (Rizzoli, 17 euro), è di quest’anno.

Scenario: una notte dell’inverno 1915, a Costantinopoli, la capitale dell’impero ottomano, ma scossa dalla pesante sconfitta che l’onnipotente ministro della Guerra, Enver Pasha, aveva subìto intorno a Natale a Sarikamish, in mezzo alle nevi del Caucaso.

[pubblicita_articolo]Le truppe russe avevano avuto facilmente ragione della terza armata turca, male armata e male equipaggiata, e dei visionari e fragili sogni di vittoria di quel presuntuoso incapace del ministro, ansioso di emulare le gesta di Alessandro Magno e di Cesare, di cui teneva i busti nel suo studio. Confidando nel suo genio militare, si era gettato a corpo morto nella folle impresa di conquistare il Caucaso d’inverno, sfidando l’esercito russo, ben più assuefatto a quei luoghi e a quei climi. Ormai accerchiato dai cavalieri cosacchi, Enver si era visto perduto, ma era stato salvato all’ultimo istante da un manipolo di soldati armeni che lo avevano circondato e tratto in salvo.

Di ritorno a Costantinopoli, il patriarca della Chiesa armena fece celebrare in suo onore un solenne Te Deum nella cattedrale. Non solo Enver partecipò al rito, ma elogiò pubblicamente il valore dei soldati che lo avevano salvato: eppure in quegli stessi giorni, con gli altri due triumviri che governavano il paese, Talaat Pasha e Djemal Pasha, stava progettando la “soluzione finale” per tutto il popolo armeno, che sarebbe iniziata nel successivo gennaio 1915, proprio con il disarmo, la destinazione a campi di lavoro forzato e il successivo annientamento dei soldati e ufficiali di etnia armena arruolati nell’esercito ottomano.

Ho sempre pensato con strana attrazione a quell’inverno gravido di oscuri presagi e di minimi eventi luttuosi, che la minoranza armena cercava di esorcizzare facendo finta di niente, tirando avanti giorno per giorno, come se l’aggrapparsi alla quotidianità con le sue abitudini e i suoi riti immutabili, il lavoro giornaliero e il ritorno a casa, il calore della famiglia e del rassicurante cerchio esteriore del villaggio, rappresentassero un potente esorcismo che la racchiudeva in un cerchio magico dove nessun male sarebbe potuto penetrare.

te-deum-2015-tempi-copertina-kMi commuoveva l’ingenuità mite di mio zio Sempad il farmacista, della bellissima zia Noemi dagli occhi profondi che morì annegata nel Mar Nero perché aveva rifiutato di sposare l’assassino di suo marito, dei fratelli carpentieri che sognavano di andare in America: mi pareva impossibile che non avessero davvero capito niente del terribile futuro che incombeva su di loro, mi angosciava quella loro serena cecità che si rifletteva ai miei occhi nelle foto composte e solenni negli abiti della festa. Avrei voluto ritornare indietro, scuoterli dalla loro quiete sognante…

Ma in questi giorni, mentre l’anno del centenario del genocidio, della Aghèt (la catastrofe), sta per concludersi, e tanta gente in tutti paesi del mondo si è stretta agli armeni per ricordare quella tragedia lontana cent’anni ma ancora così attuale, credo di aver finalmente capito. Forse intuivano molte cose, quelli che parteciparono a quel Te Deum. Ma forse si abbandonarono alla volontà del Dio che invocavano, affidando a lui la loro salvezza. E divennero rassegnati martiri quando la scure del Grande Male si abbatté su di loro, e «morirono di tutte le morti del mondo», come scrisse il testimone tedesco Armin Wegner. La Chiesa apostolica armena li ha proclamati tutti santi, le vittime del genocidio: avevano l’umiltà di una minoranza sottomessa, ma anche la fierezza di essere stato il primo popolo a proclamarsi cristiano.

E nel suo capolavoro Notte sull’aia, una delle più struggenti poesie del Novecento, la voce straordinaria di Daniel Varujan tutto questo lo esprime perfettamente, attraverso la sua limpida parola di contadino-poeta:

«È squisito per il mio spirito tuffarsi nell’onda luminosa di azzurro/ naufragare – se è necessario – nei fuochi celesti;/ conoscere nuove stelle, l’antica patria perduta,/ da dove la mia anima caduta piange ancora la nostalgia del cielo».

Foto bambini armeni deportati da Shutterstock

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8 commenti

  1. Raider

    Bellissima e commovente testimoniaza delle fed e in Dio e di amor patrio da parte di Antonia Arslane del suo popolo. Dovrebbero leggerla tutti, leggerla nelle scuole, leggerla la Parlamento dell’Ue, contro – sì, proprio così: contro – tutti coloro che vogliono negare o minimizzare la portata di quello sterminio – in cui va detto, furono trucidati altri cristiani non solo gli Areni: oltre a alcune migliai di Ebrei, per essere esatti – o vorrebbero attribuirne la responsabilità ad altri.
    A tentare di cancellare o alterare la memoria di quei fatti sono gli stessi che li commisero o che vorrebbe dare un seguito a quel crimine che continua ancora oggi in altre parti del mondo. I musulmani turchi e i loro eredi, che vogliono restaurare il Califfato o contiuarne l’opera, la conquista e l’islamizzazione dell’Europa, non fecero che mettere in pratica, nel tentato genocidio della prima nazione cristiana al mondo, l’obiettivo della instaurazione della Umma mondiale.
    Noi abbiamo il dover di fare di tutto per impedire che il genocidio armeno sia negato nella sua realtà o nelle sue proporzioni o addirittura, che sia giustificato: allo stesso modo, dobbiamo reagire per impedire che sia portato a termine il programma di islamizzazione dell’Europa che è sempre stato il principio-guida dei musulmani in tutta la loro storia.
    In questo, oltre che lodare Dio, dobbiamo pregarLo di darci la determinazione necessaria per batterci contro tutti i nemici della fede cristiana.

    1. SUSANNA ROLLI

      Raider,
      “tutti i nemici della fede cristiana” e ce ne sono tanti!, sono anche i falsi cristiani, o gli atei che dicono di non credere e calpestano la morale dalle anime in mille e più modi, i nemici del cristianesimo son di tanti tipi!
      non è così?

      1. Raider

        Certo che è così. Ma in mezzo a un mare in tempesta di ostilità, abbiamo la nostra Stella Maris. E oggi, nel giorno dell’Epifania, riconosciamo nel Bambino il nostro Re.

        1. SUSANNA ROLLI

          Raider, mi hai fatto venire in mente le mie passeggiate di anni fa sul lungomare, e la statua della Madonna su un pilastro che sembra in piedi tra le onde, mi pare sia Cesenatico…Che bella! Chissà se c’è ancora o l’hanno tolta (sappiamo l’aria che tira!!).
          Ciao Raider!

          1. Raider

            Un saluto dalla Sicilia, Susanna Rolli. Prega anche per me la Nostra Regina.

          2. SUSANNA ROLLI

            OK!

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