Pubblichiamo il Te Deum scritto per il primo numero del mensile Tempi da Savio Hon, arcivescovo cattolico cinese, nunzio apostolico in Grecia, già segretario di Propaganda Fide
Te Deum laudamus per i cattolici cinesi, soprattutto per quei vescovi e sacerdoti che in mezzo a mille difficoltà rimangono «sale della terra e luce del mondo», senza dividersi.
Restare uniti non è semplice dal momento che fin dagli anni Cinquanta la Repubblica popolare cinese ha imposto una politica che prevede una Chiesa nazionale indipendente, non permettendo ai vescovi in Cina di essere in comunione con il Papa. Il regime ha fondato la cosiddetta Associazione patriottica, un’organizzazione che ha il compito di implementare tale politica all’interno della Chiesa. Questo ha portato alla divisione dei fedeli in due comunità, ciascuna alla ricerca del proprio spazio di sopravvivenza. Così sono apparse la cosiddetta comunità sotterranea (comunità non ufficiale) e quella di superficie (comunità ufficiale). Il regime riconosce soltanto la comunità ufficiale e la governa con l’Associazione patriottica cattolica, il Comitato degli affari religiosi e la Conferenza dei vescovi. Il centro del suo potere è chiamato yi hui yi tuan (una associazione, una conferenza).
Nonostante la tolleranza del regime verso le religioni sia molto migliorata, la politica statale nei confronti della Chiesa cattolica è rimasta praticamente invariata. Per quanto riguarda la comunità ufficiale, la yi hui yi tuan spinge i fedeli ad appoggiare la politica statale secondo cui la Chiesa cinese deve essere indipendente e autonoma, ordinando vescovi senza mandato apostolico. La suprema autorità di questa comunità non è il Papa ma la cosiddetta Assemblea nazionale dei rappresentanti cattolici, controllata dal regime. Dunque, la politica statale di una Chiesa cinese indipendente e il principio ecclesiale di comunione con il Papa non sono conciliabili. Speriamo che un simile stallo possa essere risolto attraverso il dialogo tra Cina e Santa Sede.
Te Deum laudamus per i cattolici cinesi che, in molte situazioni concrete, riescono a sopravvivere mantenendo un atteggiamento verso il regime “né compiacente, né ribelle”. Un atteggiamento non compiacente è quello che rifiuta gentilmente di obbedire a direttive del governo che violano i princìpi della Chiesa. Un atteggiamento non ribelle è quello che non mostra resistenza a direttive del governo che non violano i princìpi della Chiesa. I fedeli sono sopravvissuti barcamenandosi in questo modo per oltre tre decenni. Anche mostrando un atteggiamento “non compiacente né ribelle” i problemi però non scompaiono. Non è sempre facile capire quando essere “compiacenti” e quando “ribelli” a seconda delle circostanze. Questo porta a incomprensioni e dispute tra le comunità. La Santa Sede è sempre stata preoccupata per questo e ha incoraggiato i cattolici, sia quelli della comunità ufficiale che quelli della comunità non ufficiale, a trattarsi gli uni gli altri con amore e a fare del proprio meglio per rimanere tutti in comunione perché senza amore ogni sforzo è vano. Ma un problema come la nomina dei vescovi, diritto che il governo vorrebbe arrogarsi creando così maggiore divisione tra le comunità, non è di facile risoluzione.
I funzionari del governo cercano futuri candidati in base a quattro standard: affidabilità politica, doti religiose, buona reputazione morale tra i fedeli e capacità di risultare utili al momento opportuno. Questi quattro standard, in sé, non contraddicono la legge della Chiesa. Però i pastori per la Chiesa devono essere uomini di virtù e competenza, laddove la virtù viene per prima. E la virtù più importante per i pastori è che siano saldi e fedeli uomini di Dio, piuttosto che uomini del mondo. È questo lo standard che spinge la Chiesa ad affidare il popolo di Dio nelle loro mani. Del resto, il tema di “appartenere a Dio o al mondo” è esistito fin dagli inizi della Chiesa.
La domanda su “chi” sia un uomo di Dio attiene puramente al piano religioso e solo coloro che credono in Dio possono rispondere. In particolare, oggi è il Santo Padre che deve nominare uomini di Dio come vescovi con un mandato pontificio per l’ordinazione episcopale e non è molto sensato che un governo ateo come quello cinese pretenda di decidere chi è “un uomo di Dio”. Ma il regime usa le ordinazioni episcopali per implementare le politiche del Partito comunista: realizzare una Chiesa “autonoma e indipendente”. Inoltre, questi vescovi illegittimi (ordinati senza mandato pontificio) per il governo diventano utili “al momento opportuno” e modelli di “vescovi patriottici”, dimostrando di non temere la scomunica. Questi vescovi illegittimi, così, possono essere usati come standard per misurare se altri vescovi legittimi sono “patriottici” o meno. Ogni vescovo legittimo che concelebra la Messa con vescovi illegittimi è considerato un vescovo patriottico “compiacente e non ribelle”, oltre che politicamente affidabile. Ma agli occhi dei cattolici questi vescovi, siano essi consacranti o consacrati, non fanno che spaccare l’unità della Chiesa proprio mentre celebrano il sacramento dell’unità.
Il pesce e la zampa dell’orso
Ed è a causa di queste azioni che loro stessi incorrono automaticamente nella scomunica e si separano da soli dalla comunione ecclesiale, squalificandosi dall’esercitare il ministero episcopale. E fino a quando la Santa Sede non leva la scomunica, ogni volta che amministrano un sacramento, non commetteranno solo un atto illegale ma anche un sacrilegio. Come potrebbero non soffrire i cuori dei cattolici? Come ha detto papa Benedetto XVI, i vescovi devono radicarsi nel «vero amore» per «amare veramente». Nessuno dovrebbe ricevere l’ordinazione episcopale senza mandato apostolico. Come recita una massima di Mencio, un antico saggio cinese: «Quando non puoi avere sia il pesce che la zampa dell’orso devi fare la scelta giusta. Quando non puoi avere sia la vita che la giustizia, la scelta giusta è sacrificare la vita per la giustizia». Questo è lo spirito dell’essere sale e luce.
Te Deum laudamus per quegli innumerevoli cattolici che hanno dato la loro fedele testimonianza con il sangue, il sudore e le lacrime; per quei cattolici che vivono la fede lealmente anche a costo di grandi sofferenze; per coloro che mantengono senza compromessi la loro fedeltà al Soglio di Pietro.
Presiedere nella carità
Nonostante tutte le difficoltà per i cattolici cinesi, papa Benedetto XVI è sempre rimasto vicino a loro con amore e affetto, scrivendo nella sua lettera del 2007: «Chiesa cattolica in Cina, piccolo gregge presente ed operante nella vastità di un immenso Popolo che cammina nella storia, come risuonano incoraggianti e provocanti per te le parole di Gesù: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno”! “Voi siete il sale della terra, (…) la luce del mondo”: perciò “risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli”».
La notte della sua elezione, papa Francesco disse: «E adesso incominciamo questo cammino, vescovo e popolo insieme. Cominciamo questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità a tutte le chiese». Questo mi ha ricordato le parole di sant’Ignazio di Antiochia: «La Chiesa di Roma presiede nella carità». Ciò significa che il Papa, Vescovo di Roma, Successore di san Pietro è il Pastore Universale godendo sempre del Primato nella fede e nella carità. Te Deum laudamus per il Papa, il vescovo di Roma, che viaggerà sempre insieme ai cattolici cinesi e “presiederà nella carità” anche la Chiesa in Cina.
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