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Fermiamo i talebani dell’ambientalismo

Come è nata la geologia? Intervista a tutto campo al luminare (cattolico) Gian Battista Vai. Da Galileo a Darwin, fino al global warming e alle trivelle

Francesco Agnoli
10/04/2016 - 2:00
Ambiente, Società
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Gian Battista Vai è il direttore del Museo Geologico Cappellini di Bologna. Cioè della città in cui è nata la parola “geologia”, oltre quattrocento anni fa, nel 1603. Vai è un geologo di fama internazionale, già rappresentante nazionale presso l’Iugs (International union of geological sciences) e capo delegazione italiana all’International geological congress di Pechino 1996, Rio de Janeiro 2000, Firenze 2004 e Oslo 2008.

Professor Vai, lei è, tra i geologi, un’autorità. Ma la geologia non gode, tra le scienze, di grande prestigio mediatico.
È vero. Però la rivoluzione industriale l’hanno fatta i geologi con il carbone. Pochi pensano che quando parliamo di evoluzione, di energie (carbone, petrolio, gas), di acqua e aria, di terremoti, di riscaldamento climatico, parliamo anche di geologia.

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Anche quando parliamo di evoluzione?
Certamente. Lo stesso Darwin fu anche geologo, ed è la geologia che fornisce all’evoluzione i tempi necessari. Il testo Princìpi di geologia di Charles Lyell fu, a detta di Darwin, decisivo per i suoi stessi ragionamenti.

Lei è cattolico, crede nell’evoluzione?
Certamente. Però apprezzo di più il Darwin geologo da quello biologo, nel quale non si possono non vedere cedimenti alla filosofia del tempo, con tutti i rischi che ciò comporta. Sembra impossibile separare del tutto certe affermazioni filosofiche di Darwin da considerazioni di tipo razzista, social-darwiniane. Ma ciò non riguarda il tema dell’evoluzione: bisogna distinguere il “creazionismo”, un concetto protestante legato alla rigidità letteralista, dalla “creazione”, concetto compatibile con l’evoluzione.

Ci dice qualcosa del museo che dirige?
Esso deriva, attraverso inevitabili cambiamenti, da quello fondato da Ulisse Aldovrandi nel Cinquecento. Aldovrandi è la persona che ha creato il neologismo “geologia”. Ma soprattutto è il fondatore del primo museo e della prima biblioteca, dopo quelle ellenistiche e benedettine, intesi come strumenti pubblici a uso scientifico.

I primi musei naturalistici al mondo sono nati in Italia? Concorda con l’affermazione secondo cui l’Italia è stata la “culla della scienza sperimentale”?
Rispondo sì a entrambe le domande. Qui sono nate le università. Qui è nato il mio amato Aldovrandi, la cui influenza sulla scienza italiana ed europea si è mantenuta per due secoli, visto che i suoi lavori hanno goduto della stima di Harvey, Linneo, Buffon, Diderot, Cuvier, Darwin. Qui, in Italia, è nato Galileo Galilei, riguardo al quale, però, si dicono molte inesattezze. Non solo perché se ne dimenticano i rapporti con autori passati, tra cui lo stesso Aldrovandi, ma anche perché si è cercato di farne una sorta di rivoluzionario, avversato dalla Chiesa e avversario della Chiesa. L’Italia aveva già da tempo grandi pionieri, e Galilei è un figlio della civiltà cristiana, non un suo nemico; neppure un prodigio nato dal nulla.

Secondo lei Galilei è un figlio della civiltà cristiana?
Guardi, le cito un altro di questi figli, Niccolò Stenone, beato. È considerato il padre della geologia, oltre che della prima legge della cristallografia. Stenone, danese, era un grandissimo anatomista, ma nella sua terra, protestante, gli fu rifiutata la cattedra universitaria. Venne in Italia, dove ebbe due conversioni: dall’anatomia alla geologia; dal protestantesimo al cattolicesimo. Un protestante come lui, pieno dei pregiudizi propri di quell’epoca, rimase affascinato dalla fede e dalla devozione dei discepoli diretti di Galilei, da lui frequentati e stimati, anche umanamente; ammirò la fisicità della fede latina sino a convertirsi. Dopo aver enunciato i tre princìpi della stratigrafia, Stenone si fece prete, poi divenne vescovo. La Chiesa lo ha riconosciuto beato.

Riguardo a Stenone lei ha scritto un lungo articolo sulla rivista The Geological Society of America. Mi ha colpito che parla di Stenone, ma anche dei pittori italiani del Quattrocento e del Cinquecento. Cosa c’entrano con la geologia?
In quel testo parto da Giotto. Non bisogna credere alle fesserie sul “Medioevo buio”. Il Medioevo è stato un periodo di magnificenza, di grandi intuizioni; dal Medioevo cristiano occidentale, con Giotto, nel solco di una visione del corpo e della materia diversa dallo spiritualismo orientale e bizantino, dobbiamo partire per comprendere le origini remote di un certo atteggiamento verso la corporeità, in tutti i sensi.

E Leonardo, Mantegna?
Leonardo, Mantegna, Pollaiolo, Bellini. Sono stati capaci di dipingere con precisione marmi, pietre, colline. Dai tempi di Giotto il paesaggio italiano ha stimolato la visualizzazione della geologia, prima della geologia stessa. Osservi che capacità di descrivere i dettagli nella Madonna delle cave di Mantegna o nel Battesimo di Cristo di Verrocchio, Leonardo e altri. Tenga presente che il paesaggio italiano in quei secoli aveva caratteristiche straordinarie: anzitutto l’Italia è una bella vetrina, con una geologia molto varia; inoltre, allora era tutto molto più spoglio di vegetazione, si vedevano meglio le caratteristiche geomorfologiche. Questo anche perché là dove oggi ci sono boschi che coprono, allora non c’erano perché si tagliava tutto per fare il fuoco e di conseguenza le rocce erano ben visibili.

E dopo Aldovrandi, Galilei, Stenone? Quando l’Italia ha perso importanza nel campo delle scienze?
La vulgata vuole che sia accaduto dopo il processo a Galilei. Ma non è vero. L’Italia mantiene un primato in molti campi della scienza per altri 150 anni. In campo medico la ricerca sperimentale post galileiana si sviluppa con successo con Marcello Malpighi e Giambattista Morgagni; in campo biologico è don Lazzaro Spallanzani a essere considerato, in pieno Settecento, il “Galilei della biologia”. È stato soprattutto Napoleone, con i saccheggi di chiese, castelli, musei, le sue guerre e le sue riforme a segnare il vero tracollo dell’Italia (a cui contribuì più tardi anche un Risorgimento fatto senza il popolo, e contro il popolo, dannoso soprattutto per il sud). Per esempio, per l’Emilia-Romagna Napoleone è stato un disastro: sino a quel momento c’era in questa terra un’industria della canapa e della seta fantastica. Invece lui decise che occorreva farne il granaio dell’impero. Quanto al primato nella geologia, passa agli inglesi dopo la fondazione della Società geologica di Londra, nel 1809.

Torniamo all’energia. Mi fa il nome di un geologo italiano importante in questo campo?
Vorrei citare Michele Gortani (1883-1966), mio predecessore alla guida di questo museo. Gortani fu un esimio geologo, deputato del Partito popolare nel 1913; nella Prima Guerra mondiale si distinse per essersi opposto a Cadorna, quando costui era ancora generale, e poi, a guerra finita, per l’aiuto dato ai profughi della Carnia. Nel ventennio fu antifascista, ufficiale degli alpini nella Seconda Guerra mondiale, poi democristiano, membro della Costituente, presidente della Società geologica italiana nel 1926 e nel 1947 e fondatore dell’Istituto italiano di speleologia (1903). Per quanto ci interessa ora, fu amico e consulente di Enrico Mattei, lo aiutò nello sviluppo dell’Agip e nella creazione dell’Eni, contribuendo così in modo decisivo al miracolo economico italiano del Dopoguerra. Quando Gortani parlava, il grande Mattei ascoltava.

Un suo parere sull’annosa questione del riscaldamento climatico?
Siamo di fronte a una moda. I cambiamenti climatici sono sempre esistiti. Nel Medioevo abbiamo avuto periodi piuttosto caldi, come il Duecento (si parla di optimum climatico medievale); poi periodi di maggior freddo. Pensi che la peste nera del 1347 e la peste di Milano del Seicento coincidono con periodi di raffreddamento. Il Seicento e il Settecento sono stati due secoli freddi, il che è testimoniato dal grande uso che si faceva di pellicce.

Cosa pensa del prossimo referendum sulle trivelle?
Sul referendum sono contrario perché rischio e pericolo sono minimi rispetto ai vantaggi. Se l’estrazione superficiale di fluidi a terra (acqua compresa) incrementa la subsidenza, la stessa in mare aumenta la capienza del bacino e quindi di conseguenza riduce l’ingressione del mare sulla terra ferma e l’analoga penetrazione verso terra del cuneo salino. La Cei in questo caso brilla per incoerenza e disinformazione. A Ravenna, a Gela e non solo, sostiene lavoratori e sindacati che chiedono a Eni di non vendere i petrolchimici. Poi, sostenendo di fatto i talebani dell’ambientalismo e il loro referendum, spinge e convince l’Eni ad abbandonare l’Italia. La riuscita dei “sì” sarebbe un altro vero disastro italiano.

Foto Ansa

Tags: Climatrivelle
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